SALUTE MENTALE: QUANTO È IMPORTANTE LA CASA PER L’AUTONOMIA
Se ne è discusso in un convegno a Roma. Ecco le proposte delle associazioni
di Redazione
31 Gennaio 2019
Si è svolto il 23 gennaio scorso il convegno “L’abitare nell’ambito della salute mentale”. Organizzato da Aresam, Avo Roma, Habita, Immensamente, Oltre le Barriere, Riconoscere, Si può fare di più e Spazio disponibile con il supporto del Csv del Lazio, il convegno su salute mentale e abitare aveva l’obiettivo di evidenziare l’importanza della residenzialità – uno degli elementi primari di autonomia – per chi soffre di gradi disturbi psichici. E di offrire, al contempo, un quadro dei servizi per l’abitare nella Capitale e nell’Area Metropolitana.
Vi proponiamo il documento che ha aperto il convegno, in cui le associazioni spiegano l’importanza del tema.
Il significato di questo convegno è un invito ad affrontare con rinnovata energia il tema della residenzialità per chi soffre di gravi disturbi mentali. Il problema è complesso quanto urgente e richiede di essere affrontato adeguatamente per non favorire condizioni di abbandono, sovraccarico emotivo per tutto il nucleo familiare e la conseguente riproposizione di realtà neo manicomiali.
Chi soffre di disturbi mentali, sebbene all’interno di un progetto terapeutico corretto, non sempre è in grado di raggiungere una completa autonomia sociale che comporti capacità di previsione, progettazione, inserimento in un lavoro proficuo, auto-accudimento. L’emancipazione dal nucleo familiare d’origine è una caratteristica d’importanza vitale per ogni essere umano, ed è una funzione di grande valore etico, psicologico e sociale. Le persone affette da gravi disturbi psichici rischiano, in mancanza di questo risultato, di aggiungere ai disturbi individuali, anche disturbi relazionali diffusi nel nucleo di appartenenza.
Uno dei punti cardine dell’autonomia è legato alla possibilità di avere un luogo da “abitare” intendendo con questo termine: l’esercizio delle scelte e delle responsabilità inerenti alla propria quotidianità. Le comunità alloggio e le case-famiglia cercano di venire incontro a queste esigenze costituendo un luogo di protezione a diversi livelli. Oltre a queste, sono importanti le case protette, in cui continuare un percorso di autonomia e socializzazione.
L’offerta di “protezione” vuole aiutare le persone colpite dai disturbi psichiatrici, a raggiungere la completa autogestione. Occorre considerare che abilità e disabilità sono fra loro in un rapporto cangiante essendo caratteristiche che si modificano con il tempo e nel tempo. La protezione è pertanto un parametro che può oscillare in funzione di molte variabili e che, quindi, deve essere valutato dagli operatori del Dipartimento in diversi momenti con l’obiettivo di raggiungere la migliore capacità abitativa possibile, attraverso la costante verifica del rapporto autonomia / qualità della vita.
LE PROPOSTE DELLE ASSOCIAZIONI. Per questo motivo riteniamo di grande importanza la presenza, nel proprio territorio, di una rete di strutture a diversa capacità di protezione che svolgano, allo stesso tempo, una funzione sociale e terapeutica integrata.
Allo stato attuale, come vedremo nel corso di questo convegno, esistono diversi progetti sull’abitare: da un lato quelli pubblici sanitari e dall’altro quelli del settore privato e privato-sociale. La complessa situazione fa emergere anche un differente utilizzo della terminologia delle varie situazioni alloggiative. Ci riferiamo a “gruppi appartamento”, “appartamenti protetti”, “appartamenti supportati”, “casa famiglia”. A tale proposito, è necessario rendere più chiare le differenze tra le diverse proposte che variano nei tempi di permanenza e nelle modalità di finanziamento.
Inoltre, si aggiungono le iniziative realizzate dalle famiglie che hanno aperto case di proprietà o date in affitto, come abitazione del proprio congiunto, anche ad altri utenti con problematiche simili.
La nostra esperienza ci insegna che è fondamentale il collegamento dell’abitazione con il territorio da cui proviene il paziente, sia della Comunità terapeutica che del Centro di Salute mentale di riferimento. Il territorio, infatti, offre punti di riferimento essenziali per la costruzione di una “mappa psichica interiore” (quel bar, quel giornalaio, quel tabaccaio etc.). Per questo è fondamentale che il servizio territoriale sia aperto alla comunità circostante dove le persone in difficoltà possano mantenere le loro relazioni affettive e sociali.
A questo proposito, riteniamo urgente l’abrogazione del Decreto della Regione Lazio n. 468 /2017 che parifica la residenzialità a una struttura sanitaria rendendo in tal modo impossibili molti interventi fondamentali per la costruzione dell’autonomia dell’utente e la crescita di un legame relazionale di gruppo fra gli utenti che abitano la stessa casa.
L’abitare non avviene una volta per tutte, abitare è vivere nel mutamento, un cammino in un luogo dove si costruiscono relazioni, dove si incontrano persone, dove si è conosciuti e riconosciuti. La salute mentale non può costruirsi in un solo luogo: ciò che rende terapeutico un luogo, ovvero fonte di benessere, è un luogo dove ciascuno possa sentirsi accolto in quanto persona, non stigmatizzato.
Perciò il lavoro sul territorio è alla base di ogni progetto, ovvero un lavoro di interconnessione, permeabilità, che stimoli l’accettazione e il sostegno dei vari contesti per permettere alle persone in cura di vivere nella normale società, creando servizi che tengano conto della variabilità individuale.
Sono percorsi lunghi e faticosi, a volte frustranti sia per gli utenti che per gli operatori e per le famiglie stesse. Occorre avere costanza, imparare a tener duro, ma anche a mantenere la fiducia nelle risorse delle persone, riconoscendo il lavoro comune. Solo così si può trasformare un problema privato in una risorsa condivisa.
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