SALUTE MENTALE: IL PREGIUDIZIO NASCE DALLA NON INFORMAZIONE
Accesso ai servizi, tagli, prevenzione: contro lo stigma servirebbero meno silenzi. Aristodemo: «Dovremmo tornare al giornalismo d'inchiesta»
14 Novembre 2018
Riproponiamo l’intervento della giornalista Paola Aristodemo al corso di formazione per giornalisti “Salute mentale, l’informazione che fa male e l’informazione che fa bene”, organizzato dai CSV del Lazio il 20 ottobre 2018.
Affrontando il tema salute mentale, e calandolo nel periodo storico che ci troviamo a vivere, due sono gli elementi che, a mio avviso, meritano particolare riflessione: il pregiudizio – lo stereotipo peggiore – e la non informazione.
Se penso alla mia esperienza, alla Rai, ma anche alle testate giornalistiche, è molto difficile che il tema della salute mentale venga trattato dai media, o almeno è difficile che se ne parli così come si parlerebbe, ad esempio, di prevenzione dei tumori. Si è mai posto il problema di occuparci di prevenzione nell’ambito della salute mentale? Se in un ospedale chiudesse un reparto di chirurgia o venisse meno un servizio territoriale, allora lì assisteremmo ad una vera insurrezione dei sindacati, dei medici e via discorrendo.
Se invece, nel Lazio, mancano i servizi per i pazienti di salute mentale, c’è un silenzio tombale. E questo è un pregiudizio. La salute mentale resta, così, la Cenerentola dei servizio sanitario: i tagli stabiliti nel Piano di rientro del disavanzo in sanità che hanno toccato i servizi territoriali sono stati spaventosi. Nei dipartimenti di salute mentale laziali a marzo 2017 mancano la bellezza di 2.241 operatori; nella Asl Roma 2 – Asl con un bacino di utenza enorme – ne mancano 549; nella Asl Roma 1 366. Questi sono dati forniti dalla Consulta regionale per la salute mentale, organismo che da anni continua a richiamare l’attenzione delle istituzioni sulle carenze del sistema sulla salute mentale. Dati che, ad oggi, mi confermano peggiorati.
Allora va bene parlare di stereotipi, va bene porre attenzione alle parole da non usare, ma ci sono stati dei tagli di organico, c’è carenza di organico, parliamone. Perché siamo operatori dell’informazione, e abbiamo una responsabilità enorme. Nel Lazio, nei reparti di SPDC mancano 312 posti letto: ne parliamo di questo?
IL CASO SANTA MARIA DELLA PIETÀ. Ancora. Santa Maria della Pietà a Roma: silenziosamente le istituzioni lo stanno riconvertendo – uso il termine coniato dalla Regione – nella “Cittadella del Benessere”, una sorta di padiglioni con ambulatori, spazi di ricerca, eccetera. Di contro, le associazioni della salute mentale e tutti coloro che da anni lavorano al Santa Maria della Pietà stanno lottando con forza per cercare di rendere giustizia alla Legge Finanziaria del 2001, che vincola l’utilizzo del patrimonio degli ex ospedali psichiatrici alla produzione di redditi per finanziare progetti obiettivo della salute mentale. Il Santa Maria della pietà dovrebbe essere utilizzato per creare servizi per i pazienti di salute mentale, di qualunque genere, siano essi residenze, comunità, centri diurni o quant’altro, oppure, laddove questo non sia possibile, dovrebbe essere messo a reddito, affittato per reperire finanziamenti per tutti quei servizi che nella nostra regione sono in sofferenza.
Ogni anno celebriamo gli anniversari della chiusura dei manicomi e della legge Basaglia, ci raccontiamo che i manicomi sono chiusi sapendo che non è vero, ci ricordiamo del tema per la Giornata mondiale per la salute mentale, ci mettiamo la coscienza a posto in questo modo e finisce lì. Lo trovo terribile. Accolgo l’appello lanciato dalla presidente della Fondazione Basaglia Grazia Giannichedda di ritornare al giornalismo di inchiesta. Certamente la nostra professione è molto cambiata: prima c’erano il tempo e i mezzi per andare di persona nei luoghi degli accadimenti, delle notizie; oggi chi lavora in televisione sa benissimo quanta fatica si faccia ad ottenere una troupe per uscire, girare, andare a fare servizi perché oggi le troupe, tutte in appalto, si pagano e, ovviamente, le aziende, come anche la Rai, tendono a risparmiare.
25 anni fa ho avuto la possibilità di andare al Santa Maria della Pietà e di essere testimone, come giornalista, della dimissione degli ultimi pazienti dell’ex manicomio che venivano trasferiti nelle comunità. Oggi tutto questo diventa molto difficile: non ci sono le risorse, la professione è cambiata e spesso ci limitiamo a raccogliere telefonicamente le informazioni. Ebbene: anche se si è perso il contatto diretto, anche se non si riesce ad essere presenti personalmente sul posto, ciò non toglie che la notizia che mancano gli operatori di un servizio ospedaliero o che mancano i posti letto, noi dobbiamo darla e cerchiamo di farlo. Se sentiamo dire che il Santa Maria della Pietà lo stanno riconvertendo a discapito dei malati e delle associazioni, cerchiamo di dare visibilità a questo fenomeno.
E LA PREVENZIONE? A chiusura, una riflessione sulla prevenzione. Quando si affronta il tema salute mentale, si parla sempre della fase acuta della malattia ma l’accesso ai servizi in termini preventivi è possibile? Chi oggi ha dei campanelli d’allarme, ha vissuto un disagio, un trauma, un lutto, una separazione e ha bisogno di un colloquio, di avviare un percorso di psicoterapia riesce ad ottenerlo? La risposta è no, a meno che non si rivolga al circuito privato. Allora, non facendo prevenzione, non intervenendo sui campanelli d’allarme, sono molte le persone destinate ad ammalarsi, a divenire un carico per i servizi. Anche di questo non si parla.
Io non spettacolarizzerò mai un paziente, neanche con il linguaggio, ma non voglio neanche creare una bolla sul tema dei linguaggi giornalistici: l’essere qui denota già di per sé un’attenzione al tema. Anche noi giornalisti soffriamo delle difficoltà che incontriamo nel tentativo di dare il meglio. Se sbagliamo ci prendiamo tutte le responsabilità del caso e chiediamo scusa. Oggi, se io ho sbagliato, chiedo scusa.
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