SALUTE MENTALE: L’INTEGRAZIONE DEI SERVIZI A ROMA
Sul tema della salute mentale occorre collaborazione, confronto, conoscenza, comprensione. In una parola, rete. Se ne è parlato a Roma, al convegno “Integrazione dei servizi per la Salute Mentale nella Città di Roma”
25 Novembre 2022
Collaborazione, confronto, conoscenza, comprensione le chiavi di Integrazione dei servizi per la Salute Mentale nella Città di Roma, il convegno promosso da Avo Roma, Aresam, Salviamo La Mente, Castel di Guido e… Altro con Progetto Itaca Roma, Agave, Cittadinanza Attiva, Oltre le Barriere, Scalea 92, Fondazione Di Liegro, Habita, Atelier del Possibile, Riconoscere, Si può fare di più, Spazio Disponibile, Insieme con Te, Solaris con il supporto di CSV Lazio ETS e il patrocinio dell’Assessorato alle Politiche sociali e alla salute del Comune di Roma, che il 23 novembre scorso si è svolto all’Ospedale Santo Spirito in Sassia a Roma. “Co” è stata una locuzione ricorrente, così come “rete”, così come “Nessuno riesce da solo”. Lavorare insieme allora, scambiarsi informazioni, unire le forze, altrimenti ogni intervento rischia di essere isolato, incompleto, debole. Un incontro pensato per mettere in evidenza i bisogni degli utenti, nell’interesse della persona, agendo sempre nell’ottica della sussidiarietà, con nuove strategie di collaborazione, a partire da una fotografia dello stato dell’arte dei servizi periferia-centro, delle problematiche, delle buone pratiche nella città di Roma. Un incontro che è solo l’inizio di un confronto, che vedrà una pubblicazione e una serie di azioni concrete. Tante proposte sono già state fatte. Ora si tratta di metterle in pratica: Ma serve farlo insieme.
Housing sociale, deistituzionalizzazione, integrazione nel tessuto urbano
Questo l’argomento del primo focus group presentato da Marinella Cornacchia di Aresam. È un tema chiave, perché l’abitare costituisce in primo luogo la conquista di un diritto di cittadinanza e completa il processo di riacquisizione dell’identità della persona compromessa dalla patologia psichiatrica. Il supporto all’abitare deve essere una modalità di intervento appropriato in termini economici, assistenziali e di cura. Non c’è bisogno di interventi a pioggia, per tamponare le emergenze, ma di un percorso creato ad hoc per ogni paziente, coerente con la sua storia. Un tema importante è il dopo di noi, cioè il preparare l’utente ad affrontare il distacco dalla famiglia. Ed è importante il tema del dove. Che, se possibile, dovrebbe essere nel tessuto sociale dove la persona è abituata a vivere, in luogo di eventuali trasferimenti in strutture lontane semplicemente perché c’è posto.
Riguardo agli alloggi, è importante supportare la persona nella quotidianità. È un’esigenza pressante all’inizio, un impegno che poi va a scemare perché la persona acquista fiducia, capacità e competenze. L’Unità Operativa Complessa definisce le ore impiegate negli appartamenti cercando di rispondere a progetti terapeutici riabilitativi personalizzati, secondo l’evoluzione dei bisogni assistenziali. L’assegnazione oraria può essere prima più costante e poi seguire una flessibilità secondo i bisogni. L’housing sociale si rivolge a utenti con problematiche di convivenza con la famiglia, che necessitano di un aiuto per sostenere la quotidianità nei suoi diversi aspetti, o che, ancora, hanno terminato un percorso in comunità terapeutica e necessitano di un supporto poiché hanno difficoltà a svolgere una vita autonoma. Oppure a utenti che risultano inseriti da parecchi anni in strutture residenziali. Lavorare per la deistituzionalizzazione significa evitare un ricovero perenne che diventa un parcheggio, ma trovare delle sistemazioni secondo le esigenze delle persone. Il Comune di Roma oggi dispone di 36 appartamenti in convivenza e 22 appartamenti individuali, per un totale di 58 e 113 utenti. Ma, come si può immaginare, ci sono grandi liste d’attesa.
In materia di alloggi sono molte le criticità. Su tutte spicca la carenza di personale e di risorse economiche nei servizi territoriali, che limitano la possibilità di deistituzionalizzazione dell’utente o di sviluppare un progetto personalizzato. Ci sono delle evidenti difficoltà a reperire nuovi appartamenti dal libero mercato, per i costi elevati. Come si può immaginare, c’è un pregiudizio che pone un ulteriore freno: se negli appartamenti ci sono pazienti psichiatrici, la gente teme che si abbassi il valore dello stabile. Tra le proposte per migliorare l’attuale situazione si fa riferimento a modelli come quello dell’Emilia Romagna, dove gli appartamenti supportati, non essendo strutture sanitarie, non devono essere soggetti all’obbligo di autorizzazione da parte della Regione.
Riabilitazione e inserimento lavorativo
Il secondo focus group, presentato da Guido Alberto Valentini del Progetto Itaca Roma, era dedicato ai temi della riabilitazione e dell’inserimento lavorativo. Anche da questo punto di vista “nessuno riesce da solo”, ma occorre fare rete, per sostenere i pazienti che desiderano lavorare. Centri di orientamento per l’impiego, Asl, Dsm, centri diurni, comunità, privato sociale, aziende e terzo settore devono allora collaborare. L’obiettivo comune è l’autonomia sociale e lavorativa del paziente, che da utente diventa lavoratore. Serve allora una maggiore conoscenza per gli operatori della salute mentale della rete presente sul territorio, di quali siano le opportunità e a chi siano rivolte. Per questo, ad esempio, è nato il Portale Salute Mentale di Asl Roma 2, che fornisce on line una mappatura nazionale delle realtà che si occupano di salute mentale. Molti medici, infatti, chiedono dove mandare il paziente una volta uscito dalle strutture sanitarie. E spesso non c’è una conoscenza per municipio delle cooperative, degli inserimenti, dei laboratori professionalizzanti e dei laboratori creativi.
Laboratori che – è ormai imprescindibile – devono essere collegati al mercato del lavoro: gli operatori spesso si muovono sulla base di esperienze personali, che sono preziose, ma possono non essere in linea con l’attualità del mondo del lavoro stesso. Per fare un’esempio, oggi si potrebbe puntare di più sull’informatica. Gli ostacoli maggiori, in ogni caso, sono la burocrazia, la concorrenza e l’abbassamento del costo del lavoro. La cooperativa sociale Abecedario ha parlato del suo caso. Mentre il mercato del catering è in netta crisi ed è aumentata la concorrenza, i ragazzi con problemi psichiatrici sono pronti per lavorare. Ma non è possibile e competitivo immetterli nel mercato delle mense, dove ci sono ritmi stressanti che i ragazzi non reggono. Serve allora una condizione di lavoro protetta: un centro diurno così potrebbe diventare un servizio mensa all’interno, eliminando la fornitura della mensa esterna e utilizzando i ragazzi che conoscono questa struttura, dove si sono formati e si sentono a loro agio. Non è facile, infatti, fare un lavoro esterno, e certe condizioni di lavoro protette sono l’ideale. Spesso, però, è la burocrazia che ferma tutto, e le persone che si formano e non trovano uno sbocco si sentono tradite. Le aziende, inoltre, hanno bisogno di sostegno da parte dei servizi invianti, perché spesso hanno paura di assumere persone con disagio mentale. Le difficoltà legate allo stigma, al pregiudizio, quindi, restano: le persone spesso sono prevenute, hanno un preconcetto. Serve quindi un supporto alla persona assunta durante l’arco della vita lavorativa qualora dovesse entrare in crisi. Manpower, ad esempio, che lavora con Progetto Itaca, fornisce un numero di telefono, una persona da contattare nel caso il lavoratore con disagio mentale abbia dei problemi. Il rischio, altrimenti, è che questi interiorizzi lo stigma e si blocchi. Tra le buone prassi, in questo caso, c’è anche il volontariato aziendale: una giornata non serve a molto, ma è un’occasione per formare queste persone a superare uno stigma. Ci sono le piattaforme informative sulle opportunità presenti nel territorio e dei percorsi di alfabetizzazione alla ricerca attiva del lavoro. Serve una collaborazione più diretta tra i centri di orientamento e gli operatori e una rete di lavori in prossimità territoriale, in modo da essere inseriti nel proprio territorio.
Salute mentale: gli emarginati degli emarginati
Il terzo focus group, presentato da Pierpaola Parrella di Avo Roma, era dedicato alle persone senza fissa dimora, agli stranieri con disagio mentale, ai pazienti con problemi giudiziari, che devono affrontare criticità e difficoltà ulteriori a partire dalle barriere linguistiche, di fatto, barriere nell’accesso ai servizi o nella comprensione delle diagnosi in ambito sanitario. Senza contare che disturbi dissociativi o di stress post traumatico possono essere scambiati per disturbi psicotici. Il rischio è che si ricorra a trattamenti psico-farmacologici del tutto inadatti. O, d’altra parte, che si possa sottovalutare una situazione che possa anche portare al suicidio. Poi ci sono le barriere burocratico-amministrative: persone comunitarie o extracomunitarie, o italiane che non hanno una residenza hanno difficoltà ad avere accesso ai servizi sanitari. E ancora le difficoltà di continuità: se un paziente viene accolto in un servizio e non ha la sponda sociale necessaria la persona si perde. C’è una carenza di strutture alloggiative socioassistenziali integrate coi servizi sanitari territoriali. C’è il problema delle malattie croniche: i pazienti psichiatrici possono avere anche altre malattie, e la presa in carico in questo caso dovrebbe essere multidisciplinare, intersettoriale. C’è anche la difficoltà dei detenuti ad accedere alle visite, perché servono autorizzazioni e accompagnamento. Nel focus group sono emerse varie proposte, dall’implementazione del servizio di mediazione interculturale presso le Asl, gli istituti penitenziari e presso tutti i servizi competenti con formazione specifica sulla salute mentale alla rimozione delle barriere burocratico-amministrative. Dalla necessità di una nota della Regione Lazio che validi il domicilio sanitario come residenza per il completo accesso ai servizi di Dsm, alla rimozione della barriera della residenza, all’implementazione della capacità di accoglienza e relazione dei professionisti coinvolti con formazione specifica. E una diversificazione dell’offerta alloggiativa e terapeutico-residenziale con implementazione dei posti disponibili. Perché le strutture sanitarie, ad esempio, non riservano un posto a un senza fissa dimora? Tra le altre proposte c’è anche la creazione di un modello interdisciplinare per la valutazione e la costruzione del post pena con tutti i professionisti coinvolti. È necessario anche ottimizzare le risorse umane e implementare il lavoro di rete e l’estensione del budget salute a persone senza risorse. È sempre utile, inoltre, lo scambio di buone prassi cittadine ed extracittadine. Una delle richieste più importanti è l’estensione di misure alternative alla detenzione. Serve, inoltre, condividere informazioni sulle persone detenute, costruire insieme un progetto che renda l’uscita dal carcere maggiormente assistita e collegata al territorio. Serve creare all’interno delle carceri delle cabine di regia, in modo che le persone che stanno per uscire dal carcere possano trovare un progetto per loro. La stessa cosa per il senza fissa dimora che esce dall’ospedale e si trova senza casa. Costruire dentro i progetti per il fuori, che non avviene mai. Le buone prassi ci sono, sono tante: basta collegarsi.