LE ASSOCIAZIONI E LA SANITÀ PARTECIPATA: CHE FATICA!
Poche associazioni si sono registrate per partecipare alle consultazioni della Regione Lazio. Perché? Intervista a Silvana Zambrini
08 Gennaio 2020
Sono ormai passati quasi tre mesi da quando la Regione Lazio ha pubblicato la Determinazione che fissa «strumenti e modalità per promuovere la Partecipazione delle organizzazioni dei cittadini nella programmazione e valutazione dei servizi sanitari regionali» e istituisce «la Cabina di regia e le modalità di registrazione delle associazioni di tutela dei pazienti e dei loro familiari ai gruppi partecipazione attiva». Un passo avanti verso la sanità partecipata e un’occasione importante, per le associazioni, per fare sentire la voce degli utenti ed entrare in un percorso di vera coprogettazione. Ma le associazioni stanno cogliendo questa possibilità? Ne abbiamo parlato con Silvana Zambrini, responsabile volontari di Antea e vicepresidente FAVO, impegnata da sempre nel volontariato in particolare nell’ambito della sanità.
«Questa Determinazione è molto importante», spiega. «Non è un’iniziativa solo della regione Lazio, come sappiamo: deriva da una determinazione della Conferenza Stato-Regioni, che obbliga tutte le Regioni a fare questo passo. Il dato positivo è prima di tutto il riconoscimento della necessità di ascolto del paziente, che deve essere protagonista della propria patologia. L’abbiamo sempre sostenuto, ora non si tratta più soltanto di una frase: comincia ad essere qualche cosa di concreto. Ed è una grossa opportunità per le associazioni di volontariato. Quindi il mio parere è che si tratta di un’occasione ricca. Però naturalmente bisogna stare molto attenti a come viene sfruttata».
Per quello che ne sa, le associazioni hanno risposto? In che misura?
«Mi risulta che hanno risposto, fino ad ora, soltanto una trentina di associazioni, ma non si tratta di un dato ufficiale. Uno dei motivi è che la partecipazione è stata molto burocratizzata, ma questa pignoleria nella documentazione per l’iscrizione era anche una cosa necessaria. Bisognava essere sicuri che si trattasse di associazioni regolarmente costituite, con attività concretamente in atto (anche se spesso le risposte date a documentazione non sempre corrispondono alla realtà). Ci sono state ad esempio associazioni che si sono trovate molto imbarazzate sulla richiesta della firma digitale. In realtà non è un problema così grande, ma ci fa capire come la capacità organizzativa delle associazioni non è ideale. Ce ne sono molte che fanno un’attività meravigliosa sul territorio, ma che ci sia una grande struttura secretariale, dirigenziale, amministrativa, con una capacità di programmazione… questo non è».
Faccio l’avvocato del diavolo: il volontariato denuncia una crescente burocratizzazione dei rapporti e l’imposizione di procedure sempre più complesse, non solo quando si tratta di pubblica amministrazione, ma anche quando ci sono bandi o iniziative di enti privati. Non c’è al fondo anche una sfiducia nel volontariato?
«In effetti lo abbiamo sospettato tutti, che alla base ci fosse una mancanza di fiducia nei riguardi del volontariato. Ma allora, faccio io l’avvocato del diavolo: il volontariato la merita questa fiducia? Forse il volontariato deve crescere con un’ottica culturale diversa».
Non è abbastanza preparato?
«Questa determina è un’opportunità per il volontariato, per avere non soltanto una rappresentatività nei tavoli di concertazione e nei tavoli decisionali, ma anche un’opportunità per crescere. Deve assolutamente essere capace di accedere alle istituzioni, in modo paritario. Prima di tutto, come sempre nella comunicazione, bisogna conoscere se stessi, per farsi riconoscere, e bisogna essere capaci di riconoscere l’altro. Per stare ad un tavolo di concertazione, devi sapere, esattamente, quali sono i ruoli degli altri componenti del tavolo, quelli istituzionali, e poi puoi farti conoscere solo se hai la competenza necessaria per poter parlare. Fatto questo, poi tutto va da sé. Nel momento in cui l’istituzione si accorge di avere, da parte del volontariato e dei suoi rappresentanti, un utile elemento per poter capire meglio quello che si deve fare e per poterlo insieme decidere, allora l’istituzione è ben felice. Ma se tu vai soltanto a dagli fastidio e a pretendere, allora non funziona. C’è un passo indispensabile: la preparazione. Quindi io prenderei questa occasione al volo per far capire quanto devono crescere in formazione e competenze le associazioni. Soprattutto i loro dirigenti, per potersi assumere questo grosso impegno. Perché è un impegno, posso testimoniarlo personalmente: bisogna leggere documenti, studiare, fare riunioni…».
Ma la maggior parte delle associazioni di volontariato ha dimensioni molto piccole. Dobbiamo rassegnarsi al fatto che per loro la partecipazione sarà impossibile?
«Assolutamente no, anche perché nella delibera sono stati istituiti gruppi di lavoro per patologia. È vero che ci sono associazioni, che non sono specificamente attivate per una patologia specifica, in quanto sono attive a tutto tondo nella sanità. Però se l’associazione è piccola può rivolgersi alle associazioni, oppure può appoggiarsi ad un’altra associazione più grande. È il famoso problema delle reti: lo diciamo da anni, che le reti sono un buon strumento per mettere il naso fuori, nel pubblico. Però l’associazione deve essere capace di uscire fuori dal suo giardinetto. Altrimenti continuerà a fare il suo meraviglioso lavoro nel territorio, ma il passo in più, cioè l’accesso presso le istituzioni, non lo potrà fare: è una scelta. Non è detto che l’associazione piccola, che sul territorio fa un ottimo lavoro, debba per forza impegnarsi anche su questo fronte. Ma se vuole rappresentare o essere rappresentata, si deve guardare intorno e vedere su quale altra associazione si può appoggiare, anche per condividere competenze e saperi».
Quindi il messaggio alle associazioni potrebbe essere: non abbiate paura della burocrazia, ma non abbiate neanche paura di crescere…
«E poi c’è un fatto: se metti i piedi per terra, non è che il salto lo fai in un attimo. Un campione sportivo si deve allenare per molto tempo, per riuscire ad ottenere un risultato. Questo vale anche per noi volontari: dobbiamo avere l’umiltà di dire che mi devo allenare piano piano (conoscere le leggi, andare ai convegni, partecipare). Devo mettere il naso fuori dalla mia associazione, andare a sentire cosa fanno gli altri, cosa c’è fuori. Dopo ben 52 anni che faccio questo meraviglioso lavoro che è il volontariato – perché per me è un lavoro – continuo a stupirmi di quante cose apprendo, che non sapevo. Questo è il segreto: continuare a imparare».
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2 risposte a “LE ASSOCIAZIONI E LA SANITÀ PARTECIPATA: CHE FATICA!”
Interessantissima intervista. Brava Zambrini e’ assolutamente importante essere formati per meglio rappresentare i bisogni delle nostre aree di competenza anche se è molto faticoso
Bella ed interessante intervista, convengo che con il tempo è sempre più importante la preparazione e la comunicazione tra volontariato ed istituzioni. È pur vero però che le associazioni o meglio i volontari oltre all’impegno come volontario deve adempiere alla sua formazione/informazione ed i tempi non sempre sono compatibili.