LA POVERTÀ NELLE AREE URBANE DELLE STAZIONI DI ROMA E MILANO
Questo il tema al centro del seminario Caritas diocesana di Roma e Caritas Ambrosiana. Trincia: «La questione delle persone senza dimora intorno alle stazioni della Capitale è un problema strutturale che si sta aggravando. Stiamo pagando decenni di abbandono»
23 Giugno 2023
La questione delle persone senza dimora, concentrate soprattutto intorno alle stazioni della Capitale, «non è un’emergenza ma un problema strutturale che si sta aggravando. Stiamo pagando decenni di abbandono su queste tematiche». Lo ha denunciato a chiare lettere Giustino Trincia, direttore della Caritas diocesana di Roma, a conclusione del seminario “Giustizia e promozione umana per una città inclusiva” svoltosi giovedì 22 giugno nella sala mensa dell’Ostello Don Luigi di Liegro in via Marsala, a due passi dalla stazione Termini. Un appuntamento promosso in collaborazione con Caritas Ambrosiana e incentrato sul disagio nelle aree urbane delle grandi stazioni di Roma e Milano. Se è cruciale «coordinare servizi di accoglienza e primo soccorso», al tempo stesso «serve una rete di servizi per stranieri privi di documenti da regolarizzare (spesso hanno problemi psichiatrici), per cittadini comunitari sprovvisti di documenti, per chi ha perso la casa e per chi ha un lavoro “povero” che non gli consente di pagare una stanza o un affitto, per chi ha problemi di dipendenze da alcol e droghe: il ruolo delle Asl è fondamentale, non si può demandare la presa in carico alle parrocchie e al buon cuore delle associazioni». Fra quelle presenti e che collaborano costantemente con la Caritas romana, Comunità di Sant’Egidio e Binario 95, oltre ai Comitati di quartiere del Rione Castro Pretorio ed Esquilino.
Superare i pregiudizi securitari
Quindi, acclarato da tempo che quella degli homeless non è un’emergenza, occorre sgombrare il campo da pregiudizi che fanno gridare a una nuova emergenza, quella della «sicurezza» messa in pericolo secondo alcuni proprio dalla presenza di chi vive per strada: sempre più cittadini romani e italiani, oltre ai migranti. «La povertà estrema non è una colpa: le persone che la vivono sono in un mondo non bucolico ma drammatico», ha chiarito monsignor Benoni Ambarus, vescovo ausiliare della diocesi di Roma e referente per gli ambiti carità, salute, carcere. «Esiste la malattia della poverofobia di cui tutti siamo affetti, almeno io lo sono. È la paura del sopravvivere che viviamo tutti nella nostra precarietà. Ho visto un palazzo senza porte e finestre dove il vano dell’ascensore è diventato la latrina pubblica: un’offesa alla mia dignità». E Serafina Nascolo, viceprefetto di Roma, ha sottolineato «la necessità di coniugare l’aspetto securitario e quello del disagio». Mario Tancredi, urbanista del Politecnico di Milano, ha suggerito possibili soluzioni per aumentare la sicurezza: dai «presidi sanitari all’illuminazione delle strade».
Le sette Rome
E Salvatore Monni, economista dell’Università Roma Tre e direttore del Dipartimento Decentramento, servizi delegati e Città in 15 minuti di Roma Capitale ha ricordato il suo progetto avviato nel 2016 con Keti Lelo e Federico Tomassi sulle disuguaglianze della città, «a seconda del quartiere in cui si nasce, in termini di opportunità di essere istruito, occupato, di aver accesso ai servizi». Un lavoro confluito nel volume “Le sette Rome. La capitale delle disuguaglianze raccontata in 29 mappe” (Donzelli 2021). «Sette città, sette Rome, un numero che torna come un destino. La città storica, colma di testimonianze artistiche, architettoniche e archeologiche; la città ricca, che unisce quartieri benestanti anche lontani fra loro; la città dell’automobile, disposta lungo i principali assi di viabilità di scorrimento veloce; la città-campagna, che si estende su ciò che resta dell’Agro romano; la città compatta, dei quartieri residenziali intensivi costruiti negli anni dell’espansione post-bellica; e infine la città del disagio, dove si trova gran parte dei complessi di case popolari circondati da periferici quartieri abusivi, e la più sfuggente, sebbene diffusa, città degli invisibili: due città in cui la pandemia ha mostrato la sua faccia più feroce», scrive nel libro. Nella città degli invisibili, sparsa in tutto il territorio, vivono «anziani soli, detenuti, campi rom, homeless. Sono ovunque».
Dietro la povertà non solo limiti individuali
Della frammentazione del disagio è consapevole il sindaco Roberto Gualtieri, che ci ha tenuto a confutare «la teoria bizzarra ma molto diffusa per cui la presenza dei centri Caritas alimenti quella dei poveri che vi trovano accoglienza». Sapendo che «non esiste una soluzione magica», la sua Giunta ha lanciato «un grande censimento con l’Istat per avere i dati sui senza dimora, premessa fondamentale. Abbiamo aperto 4 nuove strutture di housing first e destinato oltre 2 milioni di euro ai Municipi per l’apertura di centri di accoglienza temporanei, creando 100 posti disponibili». Per quanto riguarda le politiche sulla casa, il primo cittadino ha assicurato che si stanno investendo «risorse senza precedenti per aumentare la dotazione di edilizia popolare pubblica. E la quantità va unità alla qualità: housing first, alloggi temporanei… Voglio esprimere la riconoscenza e il sostegno dell’amministrazione nei confronti di Caritas e di tutti i volontari per una città coesa e solidale dove tutti i cittadini siano cittadini», ha concluso. Sul sito della Caritas diocesana di Roma viene continuamente aggiornato il Manuale operativo dei diritti, spesso calpestati quando si tratta di persone in difficoltà, come ha ribadito Luana Melia, in servizio alla Caritas dal 2001 e dal 2007 coordinatrice dell’Ostello nato nel 1987, che oggi accoglie 185 persone adulte in condizioni di «grave emarginazione. Dietro a una persona in povertà estrema non ci sono solo limiti e fragilità individuali, ma anche condizioni sociali e culturali come politiche abitative inadeguate, limiti di accesso ai servizi sanitari, carenza di progetti di inclusione lavorativa destinata a soggetti più deboli. Persone con disagio psichiatrico grave, anziani soli e senza alcun legame familiare in attesa di entrare in Rsa o case di riposo, italiani di 50-60 anni che perdono il lavoro, giovani e migranti che lavorano, ma che non soddisfano i criteri per affittare una stanza e un appartamento». Quindi, ha chiarito, «non siamo un covo di sbandati: spesso c’è una narrazione che criminalizza chi è vulnerabile. Non siamo quelli che forniscono prestazioni: l’Ostello è un’osservatorio privilegiato in grado di leggere spesso in anticipo i bisogni. Siamo voce culturale, non solo braccio operativo». Realtà che conosce bene anche Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di Strada, nata 22 anni fa a Bologna per garantire la tutela giuridica gratuita e organizzata delle persone senza dimora. «Oggi siamo presenti con oltre mille volontari in 59 città, a Roma al San Gallicano; finora abbiamo seguito circa 43mila pratiche e ci occupiamo di circa 3mila persone all’anno. Quello che leggiamo su giornali – notizia recente è quella dell’omicidio di un homeless a Pomigliano D’Arco – è sola la punta dell’iceberg di violenze quotidiane. Ma ringrazio il sindaco Gualtieri per il provvedimento amministrativo sulla residenza: Roma è la prima città in Italia a stabilire che è un diritto da dare a tutti e tutte. Tutelare i diritti delle persone più deboli significa tutelare i diritti di tutti noi».
Immagini Caritas diocesana di Roma