SERVE THE CITY. A ROMA IL MOVIMENTO AL SERVIZIO DELLA CITTÀ
La sezione romana del movimento internazionale punta sulla gentilezza, sulla collaborazione tra realtà di volontariato, sulla partecipazione dei cittadini
29 Maggio 2020
Non è ancora nata e già fa parlare di sé. Si tratta della sezione romana di Serve the City, il movimento transnazionale di giovani volontari che ha come finalità la soddisfazione dei bisogni primari delle persone più fragili. Il suo punto forte è l’attenzione al contesto locale e urbano in cui gli associati operano. Infatti, nonostante il progetto originario sia internazionale, filosofia e metodologia del quartier generale di Bruxelles vengono declinati in base alle esigenze del territorio. L’estrema vicinanza permette un riscontro immediato della propria azione e l’eventuale correzione in corso d’opera di quanto non risulta efficace. La possibilità inoltre di migliorare la comunità in cui si vive, funge da incentivo alla partecipazione.
Come si legge nella pagina Facebook, Serve The City mobilita volontari per «fare benevolenza in modi semplici: attraverso lo sport, la musica, l’arte e l’artigianato, il cibo, l’amicizia e molto altro. Collaboriamo con rifugi per senzatetto, orfanotrofi, centri per migranti e altre associazioni, offrendo loro il nostro aiuto e supporto…».
Ad oggi c’è ancora spazio nelle unità operative dell’associazione e la chiamata alla partecipazione, nella Capitale, arriva da Caterina Berardi, referente del progetto.
Berardi, come è entrata in contatto con Serve the City?
«Ho conosciuto Serve the City durante un soggiorno a Bruxelles e sono rimasta con loro per tre anni. Ero impiegata come volontaria presso un centro per rifugiati richiedenti asilo e ogni mercoledì sera, per un’ora e mezza, passavo il tempo con i residenti, provenienti soprattutto da Iran, Afghanistan e Siria. Non facevamo nulla di complicato: giocavamo a carte, intrattenevamo i bambini, ci mettevamo lo smalto con le donne. L’importante era riuscire a creare un’atmosfera amichevole e serena. E a volte per farlo bastava aggiungere un sorriso durante la distribuzione di un pasto».
A chi è destinato il vostro servizio?
«I destinatari sono le persone sole, quelle lontane da quel clima di amicizia e supporto sul quale la maggior parte di noi può contare. Ci dedichiamo a tutti coloro che hanno bisogno, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali. Quel che più manca a questa gente è la possibilità di vivere una vita dignitosa».
Perché utilizzate l’inglese sui vostri canali di comunicazione?
«Il nostro è un progetto inclusivo e vogliamo dare spazio alla comunità internazionale di Roma, fornendo un canale di comunicazione utile alle persone arrivate da poco in Italia e che, pur non parlando perfettamente la lingua, vogliono comunque fare volontariato. Il modello da raggiungere è quello di Bruxelles, dove i progetti a cui dedicarsi vengono scelti in base alla lingua».
Il movimento è internazionale, ma le sedi cittadine. Che equilibrio c’è tra generale e locale?
«Ogni città ha le sue esigenze e Serve the City non replica modelli precostituiti, calandoli con forza sui territori. Ogni gruppo crea un proprio portfolio di progetti per dare delle risposte specifiche ai territori. Il primo passo è prendere contatti con gli attori istituzionali già presenti e con loro stringere partnership per condividere iniziative alle quali fornire sostegno. In pratica creiamo ponti per trasferire risorse e supporto operativo».
Quindi possiamo dire che Serve the City fornisce forza lavoro per supportare iniziative di altri enti?
«Esatto. Tuttavia, essendo ad oggi ancora in uno stadio embrionale, oltre ai volontari abbiamo bisogno di persone esperte in sviluppo delle partnership, della comunicazione, e nei campi amministrativo e legale».
Perché un giovane dovrebbe avvicinarsi alla vostra realtà?
«Occorre responsabilizzare i giovani alla cura del tessuto sociale delle realtà in cui vivono. Serve the City permette di fare esperienza diretta di che cosa significa essere un anziano in una casa di risposo o un senzatetto in strada, al di là di quanto si possa leggere sui giornali o vedere in televisione. Chi vuole seguirci si prepari a una straordinaria esperienza di maturazione personale e civica. Le attività richiedono davvero poco tempo: basta rinunciare a una puntata di una serie tv».
Che differenza c’è tra Roma e le altre capitali europee in termini di volontariato?
«I problemi sono simili, ma le risposte sono diverse. La nostra sezione di Lisbona, ad esempio, organizza una cena comunitaria una volta al mese, dove volontari e senzatetto siedono, mangiano e parlano allo stesso tavolo. A servirli sono altri volontari e persone che sono state accolte in passato e, dopo aver riacquistato un equilibrio nella loro vita, sono tornati a mettersi a servizio dei più poveri. Un modo originale per rompere gli schemi».
Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazionecsv@csvlazio.org
Una risposta a “SERVE THE CITY. A ROMA IL MOVIMENTO AL SERVIZIO DELLA CITTÀ”
Laureata in matematica all’università degli studi di Roma “La Sapienza”.
Ho varie esperienze di volontariato su Roma, Milano e anche a livello internazionale (Germania) dal 2006 ad oggi (Peter Pan Onlus Roma, Dynamo Camp Limestre, Mani Tese Roma e Milano, Caritas Roma, VJF Berlin, Open Houses Network Weimar).
Parlo l’inglese e lo spagnolo.
Ho fatto teatro a livello amatoriale e seguito corsi di teatro con un attore professionale (Maurizio Palladino).
Mi piace cucinare, i dolci in particolare.
Ho insegnato per 7 anni nelle scuole secondarie superiori. Attualmente lavoro nel settore bancario e finanziario dove mi occupo di rilevazioni statistiche