SERVIZIO CIVILE: COSA CAMBIA CON LA PROGRAMMAZIONE TRIENNALE
L'obiettivo è fare sistema e lavorare ai grandi temi emergenti, per incidere davvero. La proposta di Raffaele De Cicco
di Redazione
14 Luglio 2016
Una programmazione triennale e un nuovo modo di progettare per il servizio civile universale. Il ddl di riforma del Terzo settore (legge 106/2016, “Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio Civile Universale), e le prospettive del servizio civile secondo Raffaele De Cicco, direttore dell’Ufficio nazionale del Servizio civile, intervenuto ad un corso di formazione per giornalisti organizzato dal Cesv (il testo non è stato rivisto dall’autore).
Illustrerò velocemente la riforma in 10 passaggi, anche se non è facile, e poi arriverò alla proposta di programmazione triennale, che può cambiare molte cose.
Una prima cosa che si può dire è, che questa riforma rappresenta il precipitato di tutta una serie di problemi, che lungo i 15 anni di vigenza della Legge 64 e del decreto legislativo 772 – che è quello di applicazione – si sono evidenziati. Si è cercato di tenere conto di tutte le cose che erano perfettibili, o che non hanno funzionato o che hanno dimostrato debolezza in questi 15 anni di applicazione.
1. Servizio civile universale. Nel testo di legge delega non c’è una definizione. Perché servizio civile universale e non servizio civile nazionale? Qualcuno potrebbe rispondere da giornalista: “perché sulla stampa è stato detto che il servizio civile universale dovrebbe dare la possibilità a tutti i ragazzi che lo richiedono di fare il servizio civile”. Però questa definizione non c’è nella norma delega.
2. La difesa della Patria. nel testo c’è il richiamo all’articolo 52 – la difesa civile della Patria – e all’art. 11 della Costituzione, che sancisce che l’Italia ripudia la guerra. Nella precedente norma si parlava di pace, ma non c’era un richiamo esplicito all’art. 11 della Costituzione. Questo è un grande passo avanti, molto importante per il servizio civile, perché lo qualifica rispetto a tutta una serie di altre esperienze.
3. I corpi civili di pace. Tenete presente un’altra cosa: l’Italia è l’unico Paese in Europa che ha una norma sui corpi civili di pace, che s’innestano sul servizio civile internazionale: si sta quindi cercando di creare un corpus normativo che spinge ad andare oltre i confini nazionali e ad impegnarci nelle aree belliche, visto che la norma sui corpi civili di pace parla di “aree di conflitto aperto o potenziale”. L’Italia è l’unica: gli altri parlano, fanno gruppi di studio, fanno consulenze alla commissione europea su come comportarsi in aree di crisi, noi ci mandiamo i ragazzi tra i 18 ed i 28 anni. Su questo siamo all’avanguardia.
4. Gli stranieri. Finalmente siamo giunti al capolinea di un lungo percorso: c’è stata la richiesta che anche gli stranieri potessero partecipare, ci sono state varie sentenze dei tribunali a volte contrastanti, poi la pronuncia della Corte Costituzionale, secondo la quale possono partecipare tutti gli stranieri che a qualsiasi titolo risiedono regolarmente in Italia, senza distinzione. Ed il legislatore ha ripreso quanto detto dalla Corte.
5. Status giuridico dei volontari di servizio civile. C’è una diatriba annosa su questa questione: i volontari percepiscono una somma di 433 euro mensili e da qui è iniziata la discussione sul fatto, che non è volontariato perché non è gratuito, però non è neanche lavoro, perché non è inquadrato come tale. Se non è volontariato e non è lavoro, che cosa è? Alcuni hanno fatto quello che in filosofia si chiama diallele, cioè hanno spiegato la stessa cosa riportandolo alla spiegazione: è un volontario di servizio civile perché fa il servizio civile… Io non sono un giurista, ma mi auguro che i nostri giuristi trovino una soluzione.
6. Il ruolo dello Stato centrale. La riforma dà più “potere” allo Stato centrale, perché si sono registrati una serie di problemi con la gestione regionale, ma restano alle Regioni una serie di prerogative per realizzare progetti anche finanziati a livello centrale.
7. La valutazione. Noi non abbiamo mai fatto la valutazione della attività di servizio civile. Abbiamo fatto il monitoraggio, ma la valutazione dei progetti e delle attività è una cosa più complicata, che tra l’altro presuppone delle conoscenze di carattere metodologico e statistico molto sofisticate. Quindi questa parte della riforma va osservata, perché gli enti di servizio civile non sono attrezzati, non hanno le competenze per fare la valutazione.
8. La flessibilità della durata del servizio. Su questo una diatriba si sta innestando tra Istituzioni ed Enti. La norma parla di una durata tra gli 8 ed i 12 mesi: in base a che cosa si decide? Qualcuno dice: lo Stato per spendere meno soldi può fare tutti progetti di 8 mesi e così far partire più ragazzi. Questo non sarebbe giusto, ma si potrebbe, invece, legare la durata dei progetti alla loro tipologia. Ad esempio, nelle scuole c’è una certa difficoltà per giustificare i 3 mesi estivi – quando sono chiuse – dei ragazzi in servizio presso gli istituti: la soluzione potrebbe essere di fare progetti di 9 mesi, che terminano quando le scuole chiudono. Nell’ambito dell’avvistamento incendio nelle stagioni umide, è possibile calibrare i progetti sulla stagione secca e farli durare 9 mesi? Insomma, in alcune situazioni si giustificano progetti che durino meno di 12 mesi e che permettano di far partire più ragazzi.
In altri casi è diverso: nei progetti in cui si prevedono attività di assistenza, ad esempio, occorre privilegiare la continuità e quindi i progetti di 12 mesi.
9. Il servizio all’estero. Bisognerebbe implementare la possibilità di fare servizio civile in altri Paesi europei: quest’anno sono 700 ragazzi che fanno il servizio civile in Europa, l’obiettivo è aumentare questo numero.
In questo momento sto dirigendo un progetto europeo sulla sperimentazione di servizio civile o volontariato destinati a giovani con minori opportunità dal punto di vista economico, culturale e linguistico. L’idea è sempre quella di ragionare sulla promozione di una vera cittadinanza europea, anche per i meno fortunati. I ragazzi di questo progetto si stanno preparando con corsi di lingue in base a al Paese in cui andranno. L’idea è, che una quota significativa di questi ragazzi possano fare almeno gli ultimi due mesi di servizio civile all’estero (naturalmente per chi vuole).
10. La valorizzazione e certificazione delle competenze acquisite dai ragazzi nel corso del loro progetto di servizio civile. Su questo entrano in campo pesantemente le Regioni, in base all’art. 117 della Costituzione. Il tema è importante perché le certificazioni vengono riconosciute a livello europeo; il problema è che ogni Regione si è creato il proprio repertorio. Ciò nonostante è un tema su cui bisogna insistere, anche perché i giovani sono la categoria più penalizzata da questa crisi iniziata nel 2008 e se si spezza il rapporto tra ragazzi e istituzioni avremo un danno irreparabile per il nostro Paese. Compito del Servizio Civile Nazionale oggi è anche questo: creare e rafforzare questi rapporti.
Perché la programmazione triennale
Qual è il problema vero da affrontare? È la programmazione triennale, di cui si parla del ddl di riforma del Terzo settore.
Il SCN fino ad oggi ha assunto gli enti di servizio civile – di Terzo settore, ma anche pubblici – come sentinelle sul territorio: tu vedi cose che non funzionano e fai un progetto, quindi tu sei la sentinella dello Stato sul territorio.
In questi 15 anni il servizio civile ha avuto più luci che ombre, ha dimostrato che funziona. Tra l’altro molte associazioni si sono rivitalizzate, alcuni giovani sono rimasti come volontari e a volte come operatori.
Ora però c’è una nuova idea, che è interessante, ma implica un cambiamento culturale, non solo negli enti, ma anche nella amministrazioni: invece di lasciare agli enti l’iniziativa di essere la sentinella del territorio, perché non proviamo a mettere in piedi una serie di azioni che fanno sistema con il Paese sui problemi più urgenti? A questo punta la programmazione triennale.
Prendiamo per esempio il tema immigrati e profughi: invece di lasciare alle singole associazioni di Pantelleria o di Crotone la gestione degli sbarchi, si fa un piano nazionale con il concorso delle Regioni e degli enti di SCN, centrato su mediazione culturale, accoglienza, integrazione. Naturalmente non può essere una progettazione di corto respiro: deve durare 10 anni, articolandosi su piani triennali.
Oppure potremmo prendere il tema ambiente, sul quale ci sono forti differenze regionali. Ad esempio, la Liguria potrebbe proporre di affrontare il tema del dissesto geologico del territorio, Napoli la raccolta differenziata: questo significa fare sistema con il Paese.
L’idea di fondo è bella. Putroppo gli enti di servizio civile sono troppo autoreferenziali ed anche l’amministrazione deve modificare il proprio modo di guardare al problema.
Si pone anche il problema dei finanziamenti, per i quali si potrebbe anche fare una proposta del tipo: il 50% delle risorse stanziate per un anno è destinato a interventi prioritari stabiliti da Governo e Regioni con un d.p.c.m, con la cui programmazione si aiutano Comuni, Regioni e Governo. L’altro 50 % è destinato al servizio civile normale. Così si eviterebbe anche di mettere in difficoltà gli enti di Terzo settore: se un ente non rientra nella materia della programmazione individuata per il triennio, rischia di non avere volontari in servizio civile per 3 anni. Poi magari rientra nella programmazione del successivo triennio, ma anche nel servizio civile la continuità è un valore, perché gestirlo significa avere personale dedicato, formatori, OLP…
Ecco il video dell’intervento di Raffaele Di Cicco su servizio civile nella riforma del Terzo settore: