SERVIZIO CIVILE: TRA CITTADINANZA ATTIVA E OCCUPABILITÀ
Presentata ieri a Roma l'indagine Isfol su giovani e Servizio civile. Le priorità del Governo sul tema nei cinque telegrammi del ministro Bobba
05 Agosto 2016
Due su tre sono donne, in prevalenza tra i 22 e i 25 anni. Arrivano soprattutto dal Sud Italia (30%) e dal Nord (27,4%); hanno un background familiare alle spalle medio-alto, sia in termini di istruzione che di reddito; vivono in famiglia e dimostrano una spiccata propensione alla mobilità (maggiore tra coloro che arrivano dal Nord Italia e da famiglie a reddito medio-alto).
Tre su cinque sono diplomati e tre su dieci sono inseriti in percorsi universitari di primo o secondo livello, dimostrando un livello di istruzione più elevato rispetto ai coetanei. La quasi totalità conosce una lingua straniera a livello di base e uno su quattro ha già avuto un’esperienza di lavoro continuativa. Sono i giovani così come vengono fotografati dall’indagine Isfol “Il servizio civile nazionale fra cittadinanza attiva e occupabilità”, la prima ricerca sistematica sui un campione di mille dei 28mila ragazzi partiti a seguito del Bando di Servizio civile 2015.
«Il nostro obiettivo», ha spiegato ieri la coordinatrice del gruppo di ricerca Sandra D’Agostino durante la conferenza stampa di presentazione della ricerca, «è cogliere le due dimensioni della cittadinanza attiva e dell’occupabilità: capire quanti e chi sono i giovani in servizio civile, quanto sono occupabili e quanto il servizio civile stesso riesca ad aumentare tale grado di occupabilità e di cittadinanza attiva».
Giovani, come emerge dallo studio, che usano internet e i social network per molte ore al giorno (praticamente la totalità ha una connessione disponibile) , che si tengono informati (più della metà seguono quotidianamente l’attualità, in particolare le notizie di politica e cronaca nera) e per farlo usano in prevalenza la rete.
Servizio civile nazionale: come sono cambiate le motivazioni dei giovani
Sono giovani preoccupati di non trovare lavoro o di restare precari per tanto tempo e che al servizio civile nazionale arrivano per spinte e motivazioni personali diverse, analizzate dai ricercatori introducendo la distinzione tra motivazioni di carattere sociale e motivazioni di carattere individuale. A prevalere sono proprio queste ultime – due ragazzi su tre hanno scelto il servizio civile come strumento per arricchire le proprie competenze , formarsi, avvicinarsi al mondo del lavoro – rispetto al quelle di tipo sociale (prima fra tutte l’ingiustizia, seguita da discriminazione, salute, povertà), che prevalgono al Sud e tra i giovani con titoli di studio più bassi e background familiari meno favorevoli.
Tra le priorità per il Paese spicca , infatti, il lavoro, seguito con un certo distacco da sanità, scuola, immigrazione, giustizia , ambiente, sicurezza. Nel 65% dei casi si dichiarano attivi o sostenitori di un’associazione e nei 12 mesi precedenti il servizio civile hanno aderito a realtà associative. «Un elemento di analisi questo», ha spiegato D’Agostino, «pensato per comprendere il grado di cittadinanza attiva tra i giovani coinvolti nello studio. E proprio sulla cittadinanza attiva emergono dati interessanti. Il 25% del campione dichiara di non averne mai sentito parlare, il 9% sa cos’è ma non si sente cittadino attivo, ma il 66% ne ha sentito parlare e si sente cittadino attivo (tuttavia solo per metà di loro alla percezione di se stessi come cittadini attivi corrispondono comportamenti tali da giustificare questa percezione, primo tra tutti il volontariato con una percentuale di incidenza del 59,4%).
Quella dell’Isfol, secondo il Ministro Bobba, è un’indagine che può dare coordinate utili alle future scelte del Governo, in particolare rispetto al decreto legislativo sul servizio civile previsto in applicazione dell’articolo 8 della legge delega di riforma del terzo settore. «Negli ultimi tre anni», ha affermato ieri durante la conferenza stampa, «c’è stata una progressione nel numero dei soggetti che hanno svolto o che svolgeranno il servizio civile. Siamo passati dai 15mila del 2014 ai 35mila del 2015, ai circa 42mila giovani a cui arriveremo nel 2016. Tre anni in cui la strada percorsa va nella direzione di un investimento forte del Governo su questo strumento». La riforma, ha continuato, «parla di servizio civile universale, nel senso che abbiamo preso l’impegno di garantire che tutti i giovani che liberamente scelgono di fare il servizio civile lo possano effettivamente fare. Un obiettivo ambizioso e tutt’altro che realizzato: anche quest’anno, nonostante il numero dei posti sia aumentato, quello delle domande è sempre poco più del doppio. Inoltre, negli ultimi due anni abbiamo sviluppato una serie di collaborazioni affinché il servizio civile sia finanziato anche da progetti legati ad altre amministrazioni, la più importante delle quali è stata la scelta del ministro Poletti di inserire il servizio civile nelle misure applicative di Garanzia giovani e grazie alla quale più di 9mila ragazzi hanno potuto fare questa esperienza».
Il servizio civile, a 15 anni, aveva bisogno, per il Ministro, di “fare il tagliando”: «La ricerca è parte di un programma che il Dipartimento ha messo a punto per una conoscenza più puntuale del fenomeno, che è cambiato dal 2001: i ragazzi sono diversi, il numero degli enti accreditati è cresciuto, i progetti si sono diversificati. Dopo questo primo studio dedicato ai giovani, ne seguirà uno dedicato agli enti – per due terzi non profit, per un terzo pubblici – per capirne l’evoluzione e costruire una collaborazione virtuosa con tutte le realtà coinvolte. E un ultimo dedicato ai progetti – quali hanno funzionato meglio e quali risultati hanno permesso di raggiungere – per sapere dove puntare la prua: nel nuovo decreto, infatti, dovremo fare una programmazione triennale che darà modo di individuare strategie e modalità più efficaci e di miglioramento dello strumento».
I cinque telegrammi del ministro Bobba
Durante la conferenza stampa il ministro Bobba ha riassunto in cinque telegrammi le priorità che il Governo di pone rispetto al servizio civile, anche in vista del decreto applicativo della riforma.
Neet. Primo fra tutti «l’imperativo di motivare verso il servizio civile i ragazzi con meno opportunità. Abbiamo avuto la conferma che tra i giovani Neet la conoscenza del servizio civile è piuttosto scarsa e la partecipazione ancora più bassa. La popolazione di quei 9mila giovani che hanno fatto il servizio civile con Garanzia giovani – Neet per definizione – deve essere destinataria di un’attenzione prioritaria».
Mobilità. «Il secondo punto», ha continuato il Ministro, «è che abbiamo giovani con un buon orientamento alla mobilità e che se la cavano con le lingue. Nella legge di riforma abbiamo aperto una prospettiva europea: cittadini che, attraverso il servizio civile, servono la loro comunità, non solo a livello nazionale, ma anche europeo».
Interconnessione. «Parliamo di giovani interconnessi, una potenzialità da usare bene perché l’identità del servizio civile non sia solo un’identità progettuale, locale, ma abbia una valenza di carattere generale».
Personalizzazione delle scelte. Se avessimo fatto questa indagine trent’anni fa, per Bobba non avremmo riscontrato un così accentuato fenomeno di personalizzazione nella scelta di fare il servizio civile, specchio di un cambiamento più generale. «E non guardiamo alle scelte strumentali alzando il sopracciglio: su questa personalizzazione si può fare una scommessa positiva, trasformarla in un’opportunità. Il lavoro fondamentale in questo senso sta agli enti: se fanno un investimento su questi giovani, lo fanno sulle persone, sulle loro sulle reti associative, sulla comunità verso cui si indirizza il progetto».
Competenze. Bobba ha riaffermato la connessione tra servizio civile e mondo del lavoro. «È questo il motivo della presenza del servizio civile nella legge delega: se vogliamo che anche per i giovani meno favoriti questo sia un’opportunità, dobbiamo strutturare questo lavoro».