AFFETTIVITÀ E SESSUALITÀ NELLE PERSONE DISABILI: TANTI STEREOTIPI, NESSUNA LEGGE
Il tema del diritto alla sessualità non può essere eluso. Un convegno a Roma lo ha rilanciato
20 Giugno 2019
«Dobbiamo cercare di fare rete tra le realtà coinvolte, perché tutta la società diventi consapevole del problema della sessualità e dell’affettività nelle persone con disabilità: è un tema trattato troppo poco», spiega Virginio Massimo, Presidente del Coordinamento Nazionale Insieme uguali e diversi, che cerca di portare avanti le argomentazioni e i problemi legati, insieme, alla disabilità fisica e a quella mentale.
Il Coordinamento, che ha organizzato il convegno “Affettività, Sessualità, Disabilità: libertà, stereotipi, leggi” a Roma, è nato per essere uno strumento in grado di dare una risposta alla situazione di difficoltà in cui versano due categorie di soggetti: le persone che hanno una disabilità (motoria, sensoriale, intellettiva) e quelle che soffrono di un disagio mentale. Tra i tanti interventi e le numerose testimonianze del convegno, almeno tre i fili conduttori: il bisogno di spazi di confronto e di incontro per i familiari, la necessità di formazione specifica per gli operatori, l’urgenza di una legislazione.
IL DIRITTO AL BENESSERE SESSUALE. «L’identità si struttura sulla base del modo in cui gli altri ci vedono, prima ancora di come noi stessi ci percepiamo: nella relazione tra genitori e figli con disabilità intellettiva spesso si crea una propensione, prolungata nel tempo, ad accudirli senza permettere loro di crescere», dice Samantha Pastore, psicologa e psicoterapeuta. «La creazione di un sé adulto rappresenta il presupposto per poter vivere, relazionarsi e percepirsi come adulto. È indispensabile che i genitori abbiano spazi di incontro con altri genitori per confrontarsi e formarsi. E che abbiano spazi per sé: devono capire che non tolgono nulla a nessuno se dedicano a sé un po’ di tempo».
Per le persone con disabilità, per i loro familiari e per gli operatori sociali e sanitari coinvolti il diritto al benessere sessuale è ancora troppo spesso un argomento tabù o un fatto poco importante. A Reggio Emilia è stata portata avanti la ricerca “Sessualità e disabilità”, che ha coinvolto 740 persone in sei settimane, tra operatori, familiari e amici, e persone con disabilità (motoria, intellettiva e psichica). La ricerca è stata realizzata nell’ambito di “Reggio Emilia Città Senza Barriere”, un progetto del Comune, che ha come scopo quello di contribuire al superamento delle barriere architettoniche e mentali, realizzando un nuovo modo di pensare la città. Questa ricerca si sarebbe potuta realizzare in qualunque città, rappresenta un po’ lo specchio dell’Italia: è diffusa nel nostro Paese la scarsa consapevolezza del problema del rapporto tra affettività, sessualità e disabilità.
Molti i dati interessanti. Alla domanda “Sei favorevole o contrario all’assistenza sessuale?”, mentre il 57% degli operatori è favorevole, il 22% non sa cosa sia. Per quanto riguarda la propria vita sessuale, per il 63% delle persone con disabilità è “assente e desiderata”. I dati della ricerca sono raccolti nel libro “Il diritto alla sessualità e la disabilità, tra bisogni e desideri. Il punto di vista delle persone con disabilità, dei loro familiari e degli operatori”, di Daria Dolfini (Edizioni Centro Studi Erickson). «Bisogna usare la salute sessuale come “cavallo di Troia” per portare le famiglie anche più reticenti ad affrontare il tema della sessualità. Siamo a conoscenza di donne con disabilità che in più di 30 anni di vita non fanno una visita ginecologica. Bisogna cambiare cultura, superare i tabù, consultarsi e condividere, parlare e fare di più», dice Daria Dolfini, psicologa, sessuologa e ricercatrice.
GLI OPERATORI ALL’EMOTIVITÀ, AFFETTIVITÀ E SESSUALITÀ. L’Italia è uno dei pochi paesi che non ha una regolazione in materia di sessualità. «Questo rappresenta un rischio, a prescindere dalla disabilità. Nel nostro paese è illegale il modo in cui si fa prostituzione, non la prostituzione in sé», afferma Fabrizio Quattrini, psicologo e psicoterapeuta, fondatore e vice presidente del Comitato promotore per l’Assistenza Sessuale in Italia LoveGiver. «L’assistenza alla sessualità a persone con disabilità rappresenta un concetto che racchiude allo stesso tempo “rispetto” e “educazione”, che solo per un paese civile può rappresentare la massima espressione del “diritto alla salute e al benessere psicofisico e sessuale».
Nel 2014 sono iniziate le selezioni per gli operatori Oeas (Operatori all’Emotività, all’Affettività e alla Sessualità). Su 70 richieste, sono stati selezionati 46 soggetti. L’assistente sessuale è un operatore professionale (uomo o donna) con orientamento bisessuale, eterosessuale o omosessuale, che deve avere delle caratteristiche psicofisiche e sessuali “sane”: è molto importante una selezione accurata degli aspiranti Oeas. «Vivono la dimensione dell’Assistenza Sessuale come una “missione”: la sessualità non è solo una risposta fisica meccanica: è salute sessuale, relazione, contatto, emozioni. Non esiste un servizio del genere in Italia». Il corso di 200 ore per formare un Oeas è organizzato dal Comitato LoveGiver, sono già state svolte 100 ore, a settembre inizieranno le restanti 100, nel frattempo è necessaria una legislazione in materia, è necessario un decreto legislativo per riconoscere le figure che vengono formate.
IL PROGETTO SENSUABILITY. La formazione è necessaria non solo per gli operatori, ma anche per tutta la società. Bisogna creare una cultura che aiuti ad abbattere gli stereotipi, questo è l’obiettivo del progetto Sensuability, che nasce nel 2016 da un’idea di Armanda Salvucci, presidente dell’Associazione Nessuno tocchi Mario. “La prima volta siamo tutti disabili” è il motto di Sensuability, che sta raccogliendo fondi per girare un mockumentary sul tema della sessualità e disabilità.
«Il progetto nacque anni fa, quando lessi l’annuncio di un casting in cui si cercava un “nano che facesse tenerezza”. Le persone con disabilità devono essere viste per quello che sono, i mezzi di comunicazione esaltano il corpo, soprattutto il corpo sessuato, a scapito della vera natura. Voglio portare alla luce, con uno stile ironico (a me l’ironia ha fatto veramente comodo nella vita) e spiazzante, gli stereotipi e i pregiudizi legati alle persone con disabilità e alla sessualità», racconta Armanda Salvucci, affetta da acondroplasia.
Il progetto Sensuability comprende un film, un concorso e mostra di fumetti (dal 5 luglio a Roma), una mostra fotografica. «Bisogna alleggerire, per far sì che l’altro non si spaventi. Mi capita di vedere mamme che, quando i figli piccoli chiedono perché sono così bassa, li strattonano. Io dico loro che è un altro modo di essere: solo così gli stereotipi possono essere combattuti. Se anche solo una persona, dopo aver visto il film, una foto o un fumetto del mio progetto, dirà “ma non è un problema come mi avevano fatto credere”, allora avrò raggiunto il mio obiettivo.»
«Tutti lavoriamo, in diversi modi, per uno stesso obiettivo», conclude Virginio Massimo. «Bisogna dare continuità alle tematiche affrontate oggi, in un terreno condiviso di idee e di proposte. Propongo un Forum Permanente».
Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazionecsv@csvlazio.org
Una risposta a “AFFETTIVITÀ E SESSUALITÀ NELLE PERSONE DISABILI: TANTI STEREOTIPI, NESSUNA LEGGE”
bene, mi interessa, dove lo trovo?
grazie
Martina Peracino
psicologa