AGROMAFIE E CAPORALATO. 230MILA OCCUPATI IRREGOLARI, 55MILA SONO DONNE
Presentato il Sesto Rapporto Agromafie e Caporalato. Il Lazio tra le regioni dove si concentra il lavoro agricolo irregolare. Bilongo: «Lo sfruttamento lavorativo comincia a valersi di strumenti nuovi e più affinati»
01 Dicembre 2022
«Siamo ancora in un anno di fase post pandemica complicata, con la guerra in Ucraina e una grande crisi economica. Dal Sesto Rapporto Agromafie e Caporalato, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto/FLAI-CGIL, emerge che ci sono ampie sacche di irregolarità, dove si annida lo sfruttamento lavorativo», ha detto Jean Renè Bilongo, Presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto, la cui principale attività è la redazione del Rapporto, stilato ogni due anni.
157,4 miliardi di lavoro sommerso
Sono circa 230mila gli occupati impiegati irregolarmente nel settore primario, oltre un quarto del totale degli occupati del settore. La media dei compensi è di circa 7800 euro annui. «Inferiori a quelli degli assegni sociali», sottolinea Bilongo. Su circa 820 milioni di ore effettivamente lavorate, i due quinti non sono regolari: oltre 300 milioni di ore. Il lavoro non regolare agricolo si concentra in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Lazio con tassi di irregolarità che superano il 40%. Nel 2020 il complesso dell’economia sommersa vale 157,4 miliardi e i reati penali e amministrativi sono stati oltre 40mila. Nel settore primario il valore aggiunto sommerso, generato solo dalla componente irregolare, rappresenta il 16,9% del totale.
«Lo sfruttamento lavorativo comincia a valersi di nuovi e più affinati strumenti di sfruttamento. Spesso viene perpetrato attraverso cooperative spurie e caporali, che aprono una partita iva in cui viene appaltato il grosso del lavoro. Si verifica un “gioco di sponda” di figure professionali altamente qualificate, i “colletti bianchi” giocano un ruolo fondamentale nello sfruttamento lavorativo e nel caporalato», continua il Presidente dell’Osservatorio. «Abbiamo voluto ancorare il Rapporto all’Agenda 2030, il cui obiettivo 8 è il lavoro dignitoso: “Fare in modo che la crescita economica sia sicura”. Almeno altri otto obiettivi dell’Agenda 2030 interessano la Flai Cgil: sconfiggere la povertà una volta per tutte, obiettivo fame zero, raggiungere la parità di genere, garantire a tutti l’accesso a una fonte d’acqua potabile, introdurre modelli responsabili di produzione e di consumo, intervenire per contrastare i cambiamenti climatici, tutelare la vita marina, tutelare la vita sulla terraferma».
Lo sfruttamento delle donne
Raggiungere la parità di genere è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 che interessa molto la FLAI-CGIL. Secondo il Sesto Rapporto Agromafie e Caporalato, la componente femminile irregolare è pari a circa 55mila unità: una realtà numericamente consistente ma fino a poco tempo fa quasi del tutto ignorata. «Solo in anni recenti è cresciuta la consapevolezza di una rilevante presenza delle donne nel settore agroalimentare e della necessità di adottare un’ottica di genere per comprendere le caratteristiche del loro sfruttamento», si legge nel Rapporto. «La conoscenza degli aspetti quantitativi della presenza delle donne nel settore agroalimentare è ostacolata dalla endemica mancanza di dati ufficiali e di studi sull’economia informale». In base ai dati Inps, nel 2019 gli operai agricoli (donne e uomini) erano 1,07 milioni. Le donne braccianti erano il 41,9% del totale al Sud, il 31,5% nel Nord-Est e il 25,9% nel Centro; costituivano, negli anni scorsi, il 32,1% dei lavoratori agricoli dipendenti e il 33,7% dei lavoratori autonomi. È una presenza significativa, ma i dati sulla percentuale femminile sono tendenzialmente in diminuzione per le lavoratici agricole dipendenti, ciò potrebbe nascondere uno scivolamento verso una totale irregolarità. «Lo sfruttamento delle donne in agricoltura è un tema pregnante. Spesso le lavoratrici subiscono doppi o triplici sfruttamenti, nel lavoro e anche di natura sessuale» ha detto Jean Renè Bilongo. «Offese verbali, palpeggiamenti, ricatti, molestie e violenze a sfondo sessuale fanno drammaticamente parte della quotidianità di molte lavoratrici agricole. Questo avviene in tutta l’Italia, dalla Sicilia al profondo Nord», è scritto nel Sesto Rapporto Agromafie e Caporalato, che dedica anche un’ampia parte ai casi di studio territoriali.
La Rete del Lavoro agricolo di Qualità
ReLaQ, Rete del Lavoro agricolo di Qualità, è stata istituita presso l’INPS per selezionare imprese agricole e altri soggetti indicati dalla normativa vigente che, su presentazione di apposita istanza, si distinguono per il rispetto delle norme in materia di lavoro, legislazione sociale, imposte sui redditi e sul valore aggiunto. I numeri disponibili sulla ReLaQ rappresentano le condizioni di difficoltà che caratterizzano la Legge 199/2016, relativa alle Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. In casi anche significativi, le adesioni alla rete sono molto recenti. «Sono solo poco più di 6mila le imprese agricole iscritte alla ReLaQ, solo il 32% delle sezioni territoriali. Nel Lazio, le imprese aderenti sono il 6,5% e il 47,6% di esse ha aderito nel 2020», ha spiegato Bilongo. «C’è ancora tanto da fare nella lotta allo sfruttamento e al caporalato e noi non arretriamo di un millimetro».
Serve un’alleanza con l’associazionismo, le istituzioni, le università
«L’Osservatorio Placido Rizzotto è nato più di 10 anni fa, avevamo bisogno di uno strumento teorico, di riflessione sociologica, di altri punti di vista che andavano analizzati», ha affermato Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil, durante la presentazione del Rapporto. «I fenomeni dello sfruttamento e del caporalato non possono essere affrontati solamente con la leva sindacale della contrattazione, della lotta, che utilizziamo spesso. C’è bisogno di un approccio multilivello, su vari aspetti della nostra società. Abbiamo bisogno di una pluralità di idee e di approcci perché il nemico che abbiamo davanti, lo sfruttamento, è così grande che da soli non riusciamo a sconfiggerlo, si può agire se siamo tutti uniti e, soprattutto, se facciamo alleanze con il mondo dell’associazionismo, con le istituzioni, con le università», ha continuato Mininni. «Piano piano ci siamo trovati ad essere, in maniera consapevole, un contenitore che si è messo a disposizione di tutti questi mondi che ormai dialogano. Insieme si può fare tanto». Inevitabile un riferimento ai recenti fatti che hanno coinvolto Aboubakar Soumahoro. «Questo dovremmo dirlo ad una certa stampa che invece pensa che un uomo solo possa combattere questo problema. Non voglio far polemiche, avete capito a cosa alludo».