CARO MONDO, LA SFIDA DEL CLIMA SI PUÒ VINCERE
Continua la riflessione dopo il vertice di Parigi. WWF: rivedere gli accordi prima del 2020. Oxfam: pensare ai Paesi più poveri
31 Dicembre 2015
Dopo l’articolo pubblicato ieri, riprendiamo la nostra riflessione su Cop21, il vertice sul clima di Parigi, e sulla valutazione che ne danno le Ong. Sembra essere piuttosto ottimista Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia di Wwf Italia: «Noi ci siamo spesi – afferma Midulla – per ottenere una verifica dell’accordo di Parigi prima del 2020. Tale verifica è prevista nel testo, in particolare nella decisione. È bene sottolineare, infatti, che l’accordo è in allegato alla decisione. I due strumenti, quindi, sono strettamente connessi. Nella decisione, al comma 20, si stabilisce che nel 2018 ci dovrà essere una revisione. Naturalmente, non sarà un momento obbligatorio, ma sarà comunque un momento di verifica molto importante. Anche se questo non è il massimo, abbiamo cercato di anticipare i tempi, tant’è che nel 2020 gli impegni dovrebbero essere già aggiornati. Per quanto riguarda l’accordo, è abbastanza vincolante nell’intenzione di rimanere ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, tendenti ad 1,5 gradi. Questo implica delle scelte, ma sulla suddivisione di queste scelte l’accordo è poco chiaro. Che ci sia, però, un impegno comune in questo senso è abbastanza vincolante per tutti».
Dobbiamo decarbonizzarci entro il 2030
«Ci troviamo ad avere a che fare», sottolinea l’esponente del Wwf, «con uno strumento diverso dal protocollo di Kyoto, che dava più certezze. Avendo fatto in modo che questo impegno sia comune a tutti, naturalmente con responsabilità diverse, il percorso sarà un po’ più tortuoso, ma sicuramente sarà in grado di dare una prospettiva positiva. Qualcuno vede nell’inclusione di tutti questi Paesi un elemento negativo, perché si ritiene che la responsabilità appartenga solo ed esclusivamente ai Paesi di antico sviluppo. È vero che c’è questa responsabilità storica ed è per questo che devono essere i Paesi più forti a sostenere dal punto di vista finanziario quelli più vulnerabili. L’obiettivo è tenere tutti insieme nello sviluppo futuro».
«Questa è la grande scommessa», prosegue Midulla. «E molta importanza avrà la questione dell’accesso all’energia, contemplato nel capitolo degli impegni pre 2020, che dovranno promuovere delle iniziative in questa direzione. Naturalmente, abbiamo contestato che nel main stream siano stati accolti come positivi anche aspetti non propriamente innovativi, come il limitare le emissioni di metano durante le attività estrattive. Per noi non si sarebbe dovuto parlare di attività estrattive. Chiaramente, la strada vedrà elementi non completamente confacenti, anche perché queste cose si sarebbero dovute fare 25 anni fa. Oggi le grandi industrie del gas dovrebbero pensare al domani e a scegliere una strada completamente diversa. Comunque, il segnale c’è ed è fortemente positivo. Spetterà, poi, ad ogni Paese fare in modo che i piani e gli impegni vengano rispettati e portati avanti nel miglior modo possibile. Quello che abbiamo imparato dal passato è che non bisogna agire o solo a livello globale o solo a livello nazionale per risolvere la questione del clima, ma bisogna agire sulle due strade in modo complementare».
«Auspichiamo», conclude Midulla, «che nell’immediato tutti si mobilitino per assumere iniziative pre 2020. Aumentare, quindi, i target. Nel caso dell’Unione europea, ad esempio, c’è una palese contraddizione, insita nel fatto che noi abbiamo un target che è stato già superato nel 2014. Da questo punto di vista, dunque, i target hanno una pregnanza dal punto di vista delle emissioni, ma anche dal punto di vista della spinta all’innovazione e allo sviluppo di nuove tecnologie. Gli impegni per il periodo che va dal 2025 al 2030 vanno aumentati, perché in fondo quello che c’è scritto nell’obbiettivo a lungo termine è che noi dobbiamo tendere a decarbonizzarci entro il 2030. Tutti tendono a dare un interpretazione conservativa di ciò, ma in fondo se noi vogliamo davvero perseguire l’obiettivo di stare ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, e cioè non giocarci l’Amazzonia ed altre elementi essenziali per l’equilibrio del Pianeta, non possiamo negoziare con il clima. Il clima non negozia e, quindi, dobbiamo negoziare tra di noi».
È stato trascurato il problema dei paesi più poveri
Un richiamo alle responsabilità degli impegni presi da parte dei Paesi firmatari dell’accordo proviene da Giorgia Ceccarelli, policy advisor su cambiamenti climatici e sicurezza alimentare di Oxfam: «Non abbiamo un giudizio», afferma Ceccarelli, «che propende per un estremo piuttosto che per un altro. Sicuramente, a Parigi è stato importante raggiungere un accordo che, comunque, dal punto di vista diplomatico e politico si può definire storico, perché dopo tanti anni di attesa tutti i Paesi partecipanti sono riusciti a trovare un’intesa sul problema dei cambiamenti climatici. Dall’altra parte, però, il testo dell’accordo è abbastanza vago, poco ambizioso e non sufficiente a mantenere il surriscaldamento della temperatura globale entro i 2 gradi centigradi. Anzi, al meglio, entro 1,5 gradi. Si tratta, però, di un primo passo a cui dovranno seguire fin da subito, già a partire dal mese di aprile, quando gli Stati firmeranno ufficialmente l’accordo di Parigi, degli impegni molto più ambiziosi e molto più concreti. Gli Stati dovranno subito rivedere i loro contributi nazionali in previsione del 2020, quando l’accordo entrerà in vigore, senza aspettare il 2023 per una prima verifica. Ad oggi i contributi nazionali sono solo sufficienti a contenere il riscaldamento globale entro i 3 gradi centigradi e tutto ciò è molto grave soprattutto per le conseguenze che subiranno le comunità più povere”.
«Ci auguriamo», prosegue la rappresentante di Oxfam, «che i governi, soprattutto quelli più ricchi, nel rivedere le loro ambizioni di riduzione delle emissioni di gas serra mantengano la promessa dell’impegno di risorse per 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020. Ci auguriamo, soprattutto, che queste risorse siano destinate in maggiore entità al problema dell’adattamento dei Paesi più poveri al cambiamento climatico. Quest’ultimo è un capitolo che è stato trascurato in quel di Parigi, perché non ci sono nuovi impegni di finanziamento e non si è trovato il modo di indicare quali fonti e quali risorse aggiuntive potrebbero essere trovate. Sappiamo che ci sono, invece, delle risorse che potrebbero venir fuori dallo stop al sussidio dei combustibili fossili, così come dal gettito che potrebbe arrivare da una tassa sulle transazioni finanziarie».
Sensibilizzare la cittadinanza
«Come sanno anche i Paesi che hanno firmato l’accordo di Parigi», afferma Ceccarelli, il clima è sempre più urgente come questione da affrontare a livello politico. Nei prossimi mesi si andrà incontro ad un fenomeno climatico assai terribile, il niňo, che si scatenerà su certi Paesi; soprattutto sull’Etiopia, dove è in corso una fortissima siccità. Quindi, quello dei cambiamenti climatici non è un problema che può aspettare il 2020 per essere affrontato. Non possiamo aspettare che diventi operativo l’accordo per affrontare la questione».
«L’opinione pubblica» conclude l’esponente di Oxfam, «non è abbastanza sensibile all’argomento. Gli Stati che hanno firmato l’accordo si sono detti molto soddisfatti, ma in realtà si tratta di un accordo importante dal punto di vista politico e non dal punto di vista dei contenuti. Anche noi, quindi, come società civile abbiamo l’obbligo e il dovere di sensibilizzare la cittadinanza sulle problematiche del clima, che affliggono tutti e che hanno delle ripercussioni più forti sui Paesi più poveri, ma hanno anche un forte impatto su di noi».
I commenti di Mariagrazia Midulla di Wwf Italia e di Giorgia Ceccarelli di Oxfam, si possono leggere qui.