ROM A ROMA. CAMPING RIVER SGOMBERATO, MA CON QUALI ALTERNATIVE?
Qualcuno è alla Barbuta, poche famiglie si sono divise per accedere all'accoglienza, molti vagano per strada. 21 Luglio: «Un’altra pagina buia per l'Italia»
30 Luglio 2018
Alla fine le ruspe al Camping River sono arrivate davvero e gli incubi dei bambini sono diventati realtà. Ce lo aveva confidato una mamma, qualche mese fa: «Mio figlio non fa i brutti sogni con i mostri, ma con le ruspe che, da come dicono in tv, dovrebbero distruggere la sua casa. Viviamo nel terrore». I container e i moduli abitativi dei rom che vivevano in via Tenuta Piccirilli, a Roma, sono stati spazzati via dai mezzi di Roma Capitale, a conclusione di una vicenda che Reti Solidali ha raccontato e seguito da vicino nell’ultimo anno e mezzo.
IL PUNTO. Si è detto tutto e il contrario di tutto. Proviamo a mettere ordine. Il governo Renzi ha ricevuto dei soldi per favorire l’inclusione di chi è ai margini: 1 miliardo e 250 milioni dal piano di finanziamenti europei PON e 894 milioni di euro dal PON Metro. Rom, sinti e caminanti non hanno visto spendere neanche un euro per migliorare la propria condizione. La sindaca Raggi, qualche mese dopo il suo insediamento in Campidoglio, ha creato un ufficio ad hoc per affrontare la questione del superamento dei campi (con la guida della dottoressa Michela Micheli) e, a giudicare dalle interviste che abbiamo raccolto tutti, persino gli abitanti del River si trovavano d’accordo sulla chiusura della struttura.
L’”Ufficio Speciale Rom, Sinti e Caminanti” doveva essere un tavolo di dialogo e confronto a cui tutti, Rom compresi, avrebbero dovuto partecipare. Le discussioni si sono invece inasprite e il muro contro muro che ne è scaturito ha portato alla condizione attuale. Uno spiraglio si è intravisto a fine giugno, quando la Seges (Società servizi globale di emergenza sociale srl) ha presentato il progetto Aqua, con l’idea di creare, al posto del Camping River, un quartiere multietnico da riservare ai rom, ma anche ai richiedenti asilo e a tutte quelle persone, italiani compresi, che vivono in condizioni di disagio e di emergenza sociale. Idea ambiziosa e forse tardiva, perché il Comune, poco prima, aveva già dato il suo ultimatum alla delibera 70 approvata ad aprile (“Introduzioni di misure di semplificazione finalizzate al superamento del Villaggio Camping River”), staccando prima le utenze e poi mettendo i lucchetti ai moduli abitativi di sua proprietà, con annesse polemiche per l’irruenza dell’azione della Polizia di Roma Capitale. Si è arrivati così allo sgombero di giovedì 26 luglio, guidato dal comandante Antonio Di Maggio in persona, e alle ruspe del giorno dopo. Un intervento sull’asse Raggi-Salvini giustificato da un “allarme igienico sanitario”, contraddicendo di fatto la Corte Europea dei diritti dell’uomo che, dopo il ricorso di tre abitanti del campo, aveva deciso invece la sospensione dello sgombero fino al 27 luglio, chiedendo nuovamente alle istituzioni di indicare soluzioni d’alloggio alternative per i 300 residenti.
LE ALTERNATIVE? Queste le alternative alla strada: il centro di via Toraldo, nel quartiere Torre Angela, quello della Croce Rossa Italiana in via Ramazzini (zona Portuense) e quello di via Cassia (zona Due Ponti). Ma non per tutti. «Volevano dividere le mamme e i bambini dai loro mariti e padri», ci ha raccontato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio, organizzazione non profit che supporta persone in condizione di segregazione estrema e di discriminazione tutelandone i diritti. «Questo perché la procedura prevede che la sistemazione dei minori, delle donne e degli anziani sia prioritaria, senza considerare i nuclei familiari che sono composti anche da figli maggiorenni e uomini.
La soluzione, oltretutto, è stata offerta soltanto per via orale dagli operatori e dagli assistenti sociali, senza nulla di scritto. Qualcuno non si è fidato e solo poche decine di persone hanno aderito. Lo sgombero segna un’altra pagina buia dei diritti umani nel nostro Paese. Roma Capitale e il governo hanno scavalcato una decisione di Strasburgo senza averne l’autorità». La comunicazione, secondo Stasolla, ha le sue responsabilità: «È fuori discussione: il Campidoglio ha vinto la sua battaglia contro i Rom creando e alimentando una narrazione fatta di contrasto all’illegalità, al degrado, ai roghi tossici e ai furti. Chiedete ai cittadini romani cosa pensano di questo sgombero, la quasi totalità di loro vi diranno che è stata un’azione giusta».
La Corte Europea ha sospeso ad interim la misura relativa allo sgombero, ma soltanto perché lo stesso è stato già effettuato. Il ricorso, quindi, è ancora pendente. Intanto continua la tensione. Un vigile è stato ferito a un occhio da un sasso lanciato da un abitante del River, dopo che 50 persone avevano tentato di sfondare il cancello per rientrare nella struttura. Ha una prognosi di 7 giorni. Sul fronte delle indagini sono 10 i Rom identificati che rischiano denunce per resistenza a pubblico ufficiale o lesioni. Tuttavia la maggior parte dei Rom ha continuato la sua protesta silenziosa, di fatto arrendendosi a una realtà in cui non c’è più spazio per la speranza. Qualcuno è ancora fuori dal camping, alcuni sono diretti alla Barbuta, altri hanno iniziato a vagare per la città senza un posto in cui dormire. Troveranno rifugio sotto a un ponte o in altri campi. Adesso Roma Capitale ha un Camping River in meno, ma probabilmente qualche problema igienico-sanitario e di ordine pubblico in più.