DONNE GRAVEMENTE SFRUTTATE. IL RAPPORTO 2024 SLAVES NO MORE

“Donne gravemente sfruttate. Il diritto di essere protagoniste” è il secondo Rapporto sullo sfruttamento delle donne presentato dall’associazione Slaves no more. Il Rapporto stima che oltre 2 milioni di donne nel nostro Paese, di origine immigrata e italiana, siano «soggette a ricatto e invisibilità»

di Laura Badaracchi

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S’intitola Donne gravemente sfruttate. Il diritto di essere protagoniste il secondo Rapporto sullo sfruttamento delle donne nel lavoro domestico e di cura, nell’agricoltura, nel turismo, nei servizi e nell’ambito sessuale, presentato dall’associazione Slaves no more, nata nel 2012 su intuizione di suor Eugenia Bonetti per supportare e accompagnare donne e ragazze soggette alla tratta e a forme di grave sfruttamento. Il Rapporto stima che oltre 2 milioni di donne nel nostro Paese, di origine immigrata e italiana, siano «soggette a ricatto e invisibilità». Inoltre «amplia i contesti in cui si manifestano e si consumano le forme di sfruttamento sessuale e lavorativo e, oltre gli ambiti dell’agricoltura, del lavoro domestico, questa volta vengono analizzati anche i settori del turismo e della logistica. E il fatto che la problematica venga individuata anche in altri mondi produttivi non può che allarmare ulteriormente, perché indica che il fenomeno è ben più ampio e sottovalutato di quanto comunamente si pensi», ha evidenziato Pino Gulia, presidente dell’associazione, chiarendo: «Obiettivo è incrementare la “coscienza sociale e istituzionale” per stimolare testardamente l’attivazione di interventi sociali incisivi. Responsabilità che richiede una visione larga di società e una consapevolezza che sappia protrarsi nel tempo, perché cambiare questo status quo, cioè questa diffusione di pratiche di sfruttamento, è possibile. In particolar modo per le ampie conoscenze acquisite sul fenomeno, dalla presenza attiva di diversi attori sociali impegnati in questa direzione e da significative fasce di politici – soprattutto donne – che ben conoscono questa problematica. Ma operando perlopiù in maniera frammentata e raramente in maniera unitaria l’impatto sul fenomeno che ne consegue risulta essere più debole di quello che potrebbe essere con una azione coesa e coordinata nel tempo».

Slaves no more
Slaves no more è un’associazione che supporta e accompagna donne e ragazze soggette alla tratta e alo sfruttamento grave. Qui il servizio a Ponte Galeria

L’età media delle donne coinvolte nella tratta si è abbassata

La sociologa Anna Rita Calabrò scrive nel Rapporto: «In Italia i casi emersi e assistiti nel 2022 dal sistema antitratta sono stati 1.823 (erano 1.911 l’anno precedente). Di questi: 1.224 riguardano persone di sesso femminile (67,1%), 522 maschile (28,6%), 77 i transessuali (4,2%). I minori rappresentano il 2,5% del totale (46). La forma di sfruttamento prevalente è quella sessuale, che conta 815 vittime (44,7%); 427 sono le vittime dello sfruttamento lavorativo (23,4%); 47 le vittime di violenza domestica; 19 (2,6%) coloro che sono inseriti forzatamente ne le economie criminali; il restante costretto all’accattonaggio, alla servitù domestica, al matrimonio forzato…». Senza significative differenze rispetto agli anni precedenti, tra i Paesi di origine delle vittime «prevale la Nigeria (57,4%), seguita da Pakistan (6,5%), Marocco (4,6%), Brasile (3,3%), Costa d’Avorio (2,7%), Gambia, Senegal e Bangladesh (ciascuno per 2,6%), Mali (2,4%,), Romania (1,6%), infine il 13% è distribuito tra ben 48 altre nazionalità». Nel corso degli anni, «l’età media delle donne e delle ragazze coinvolte nella tratta si è progressivamente abbassata e i rapporti tra prostitute e sfruttatori si declinano lungo un continuum che, come nel caso delle rumene, vede ai suoi estremi da una parte, coloro che vivono in uno stato di relativa autonomia in grado di trattare la propria parte di profitto, dall’altro, vere e proprie schiave: giovani e giovanissime, spesso con problemi psichici, abusate, provenienti dai villaggi più deprivati e dai gruppi rom più emarginati».

Slaves no more
Pino Gulia: «Il nostro obiettivo è incrementare la coscienza sociale e istituzionale per stimolare testardamente l’attivazione di interventi sociali incisivi»

Tratta, prostituzione, pregiudizio sociale

La prostituzione di strada, precisa la sociologa, «è nelle mani di chi organizza lo sfruttamento coatto e non riguarda (o almeno riguarda solo in minima parte, circa il 2%) le donne che decidono di vendere liberamente il loro corpo. Se le vittime sono donne, i rei (trafficanti e sfruttatori) sono per lo più maschi, tuttavia nella tratta per sfruttamento sessuale abbiamo il numero più alto, rispetto ad altri reati, di ree (28%). Questo dato va collegato al fatto che può accadere che alcune delle vittime diventino parte attiva nell’organizzazione criminale, come nel caso della prostituzione nigeriana o di quella trans. La maggior parte delle donne e bambine prostituite proviene dalla Nigeria e dall’Europa dell’Est». Secondo i dati del Numero verde antitratta (800/290290), «nel primo semestre 2022 le donne e le ragazze nigeriane continuano a essere le principali vittime della tratta nel nostro Paese, se pure si registra una netta diminuzione dell’emerso rispetto al primo semestre 2121 (dal 50% al 37% del totale). Una diminuzione che non è certo segno di remissione del fenomeno, quanto piuttosto del fatto che la pandemia ha “nascosto”, le ragazze togliendole dalla strada e costringendole a prostituirsi indoor dove è più difficile che possano essere agganciate dagli operatori». Nel mese di marzo 2022, lo stesso Numero verde antitratta «segnala una presenza di 525 donne e minori giunti dalla Romania, 205 dall’Albania, 91 dalla Bulgaria. Provenienti dalle zone più povere e degradate dei loro Paesi, risulta perverso il sistema di reclutamento: connazionali che si fingono innamorati (i cosiddetti lover boy) le adescano con false promesse (di lavoro, di matrimonio… insomma di una nuova vita) con lo scopo di inserirle, una volta giunte in Italia, nel giro della prostituzione sotto il controllo delle organizzazioni criminali albanesi. Adescate negli orfanotrofi o, al pari delle giovani nigeriane, con la complicità delle famiglie che ne favoriscono il reclutamento per godere dei loro guadagni (è il caso soprattutto delle ragazze bulgare), oppure online o addirittura (non pochi casi del genere segnalati in Romania) rapite». Le persone Lgbtq+ risultano «vittime non solo dei loro sfruttatori, ma anche del pregiudizio sociale che le circonda. Secondo la mappatura nazionale svolta dalle Unità di contatto, la presenza in strada delle donne transessuali latinoamericane è aumentata dal 2017 al 2020 del 18%: circa il 60% è di origine brasiliana, il restante 40% su++damericana. Reclutate nelle favelas delle grandi città e nelle regioni più povere dei loro Paesi, emarginate e stigmatizzate anche all’interno delle proprie famiglie, spesso psichicamente fragili, vengono adescate da altre donne transessuali (collegate alle organizzazioni criminali che gestiscono la tratta) con la promessa di lavoro, ma una volta giunte in Italia sono costrette a prostituirsi. La maggior parte di loro pare accettare con fatalità tale destino, una vera e propria “carriera morale” di chi finisce per adeguarsi alle aspettative degli altri: che altro può essere una trans brasiliana se non una prostituta?».

 

DONNE GRAVEMENTE SFRUTTATE. IL RAPPORTO 2024 SLAVES NO MORE

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