GRANDE È LO SPORT CHE DIFENDE I DIRITTI UMANI. COME INSEGNA MARCHISIO

"Abbiamo solo un pianeta e non amo le barriere, se non sui calci di punizione", scrive l'ex calciatore. che ha ricevuto il premio "Sport e diritti umani"

di Giorgio Marota

Cosa può fare lo sport per migliorare la società? Come può, un atleta che insegue un pallone, un pallavolista che schiaccia o un campione che vola a canestro, contribuire affinché ci siano meno disuguaglianze e più diritti? Se lo chiede da anni Amnesty International che, insieme all’associazione Sport4Society, ha istituito il premio “Sport e Diritti umani”. Ad assegnarlo è una giuria di giornalisti, presieduta dalla storica voce di “Tutto il calcio minuto per minuto”, Riccardo Cucchi, focalizzando la propria attenzione sugli sportivi che nel corso della stagione hanno offerto un contributo nel diffondere presso il pubblico una cultura del sociale e dei diritti.

A riceverlo, in questa terza edizione, è stato l’ex calciatore della Juventus e della Nazionale, Claudio Marchisio. “Il Principino” – così veniva chiamato per l’eleganza e la correttezza che dimostrava in campo – ha una pagina Instagram con quasi 5 milioni di follower, tramite la quale veicola messaggi di inclusione. Basta partire dalla descrizione del profilo: “Abbiamo solo un pianeta e non amo le barriere, se non sui calci di punizione”.

Il razzismo c’è

Marchisio non le manda a dire, ci mette la faccia, si espone, utilizza la sua popolarità per un bene superiore. Ma non fa politica. Almeno nel senso in cui la intendiamo oggi (per i greci significava “occuparsi della cosa pubblica e della polis, la città”). I più fragili, gli esclusi e i migranti sono i temi della sua comunicazione via social. Perché sarà anche vero che lo sport non ha il potere di cambiare le cose, ma può suscitare sentimenti, riflessioni e dibattiti. «Principi di cambiamenti», come li ha definiti Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai, che nel medio-lungo periodo si diffondono a macchia d’olio.

 

sport e diritti umani
Foto ricordo dell’assegnazione del Premio “Sport e Diritti Umani” a Claudio Marchisio

E, a proposito di sport e diritti umani, ricorderete il botta-e-risposta a distanza tra l’americano LeBron James (basket) e lo svedese Zlatan Ibrahimovic (calcio): il secondo aveva accusato il primo di uscire fuori dal suo campo d’azione («Non mi piace quando le persone con un certo status parlano di politica. Limitati a fare quello in cui sei bravo, meglio tenersi lontani da certi argomenti») e la stella dell’Nba, uno dei protagonisti della campagna “Black lives matter”, gli ha risposto così: «Non starò mai zitto di fronte alle ingiustizie». Ecco, Marchisio non ha dubbi su quale posizione sposare: «A fine carriera arrivano altri premi», ha dichiarato durante la premiazione, avvenuta sabato all’Hotel Colombo, in zona Eur, a Roma.  «Ma sono importanti come uno scudetto. Noi sportivi abbiamo una responsabilità grandissima, le parole sono importanti. Possono fare un gran male e anche un gran bene. Io ho avuto la fortuna di realizzare i miei sogni, ma sono anche un uomo e un padre che cerca di capire cosa c’è lì fuori per migliorare il mondo in cui vivranno i miei figli. Uno sportivo ad alti livelli spesso vive in una bolla, crede sia tutto a posto così, ma il razzismo c’è. Lo vediamo negli stadi e nei settori giovanili, bisogna partire da lì per portare messaggi inclusivi». «A me non interessa il colore politico» ha aggiunto. «Dire che bisogna salvare una vita in mare non è fare propaganda».

Il mondo del calcio, spesso più reazionario che rivoluzionario, ha molto da imparare da esempi simili. Le connivenze con gli ultras (spesso di estrema destra), o più semplicemente il timore di prendere posizione su argomenti divisivi – anche per mere questioni partitiche – crea un’impasse che anziché favorire il progresso lo rallenta. «Quando fai il calciatore in tanti ti dicono di stare attento a quello che dici, alle idee che esprimi, alle posizioni che prendi. Ma io non faccio niente di straordinario: il calcio mi ha insegnato tante cose e il valore più grande è il rispetto delle regole e del prossimo. In squadra trovi tanti ragazzi di diverse culture e nazionalità, io ho sempre cercato di prendere il meglio da ognuno di loro».

Pensateci

E così Marchisio parla, denuncia, sottolinea, accende riflettori su storie dimenticate. Come quella di Seid Visin, giovane etiope di 20 anni che giocava nelle giovanili del Milan e che si è suicidato perché non sopportava più attacchi e minacce di matrice razzista. Sull’argomento, l’ex Juve ha scritto un post che ha raccolto migliaia di consensi: «Siamo il Paese dell’integrazione quando sei un giovane talento o quando segni il gol decisivo in una partita importante, ma che si rifiuta di essere servito al ristorante da un ragazzo di colore. Siamo il Paese dell’integrazione quando l’atleta vince la medaglia alle Olimpiadi, ma che quando in classe con i propri figli ci sono dei ragazzi di colore storce il naso […]. Pensateci quando fate le vostre battute da imbecilli, quando fate discorsi stupidi e cinici sui gommoni e sul colore della pelle, soprattutto sui social network».

La giuria di Amnesty e Sport4Society ha riconosciuto anche due menzioni di merito: una alla pallavolista Lara Lugli, citata per danni dalla sua società perché rimasta incinta (“La sua battaglia è un atto di coraggio per tutte le donne atlete”, si legge nella motivazione), e l’altra alle Zebre Rugby Club, che hanno sposato la battaglia per la libertà di Patrick Zaki, studente egiziano dell’università di Bologna incarcerato nel suo Paese d’origine.

«Quando è iniziata la mia vicenda non avevo la minima idea di come si sarebbero evoluti i fatti», ha detto Lara Lugli, accompagnata da Assist, associazione che punta a sensibilizzare su tutti i temi riguardanti la parità di diritti nello sport, la parità di accesso alla pratica sportiva e la cultura sportiva in generale. «Questo modus operandi va avanti da troppo tempo. La menzione è per tutte le persone che decideranno di non soccombere e di far valere i loro diritti».

Sport e diritti umani

Il calendario contro l’omofobia e l’adesione alla campagna “libertà per Patrick Zaki”, con l’invito incessante rivolto alle istituzioni per favorire la scarcerazione dello studente egiziano, è valsa il riconoscimento alla squadra di rugby di Parma. Il media manager del club, Leonardo Mussini, ha detto che questo è «l’esempio pratico che, senza bisogno di clamore, si può fare qualcosa di importante. Da sempre la responsabilità sociale è un tema centrale nel nostro mondo. Ricordo, ad esempio, che il giocatore Maxime Mbanda ha lavorato in un’ambulanza, da volontario, per aiutare le persone durante la prima ondata della pandemia».

Si dice sempre che lo sport è un’industria particolare perché non produce materiali, bensì passione. Ma soltanto quando aggiunge l’impegno civile diventa, per davvero, un bene comune dal valore inestimabile.

 

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