IL CASO SPOTLIGHT: SENZA GIORNALISMO, LA DEMOCRAZIA MUORE
“Il caso Spotlight” racconta l'inchiesta del Boston Globe, che nel 2002 ha portato alla luce i casi di pedofilia tra i preti della città.
15 Febbraio 2016
Boston, 1976. Inizia qui, in un commissariato, una brutta, bruttissima storia. O meglio, è da qui che parte il racconto (di una vicenda che dura da chissà quanto) de “Il caso Spotlight”, il film che illustra il caso degli abusi sessuali sui minori, perpetrati da una serie di sacerdoti attraverso l’inchiesta di un gruppo di giornalisti del “Boston Globe”. È la sezione Spotlight – che dà il titolo al film di Tom McCarthy – la cui famosa inchiesta ha visto la luce il 6 gennaio del 2002, sollevando un polverone e vincendo un premio Pulitzer. È l’arrivo di un nuovo direttore, Marty Baron, a riaprire il caso, dopo che alcune notizie erano già passate dalla redazione e trascurate, o liquidate con un paio di colonne nella cronaca locale. Mesi e mesi di lavoro, di controlli incrociati, di piste seguite con attenzione, di ricerche di atti processuali secretati e domande dirette ad alcuni degli interessati hanno portato alla luce un intricato affare di abusi, sessuali e di potere. Perché l’arcivescovo di Boston, Bernard Francis Law (in carica dal 1984 al 2002) è stato negli anni abile a nascondere tutto, trasferendo semplicemente i prelati, dei cui atti sapeva, in altre sedi, con le motivazioni più varie (rubricate sotto il nome di malattia, congedo, emergenza), che ovviamente nascondevano la verità.
Spotlight: il punto di vista dei giornalisti
“Il caso Spotlight” racconta la storia concentrandosi sul punto di vista dei giornalisti (interpretati da una squadra d’attori d’eccezione: Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Liev Schreiber). Ma, attraverso i dialoghi con alcune delle vittime, ormai adulte, degli abusi, riesce a farci capire le dinamiche che hanno portato a tutto questo. Se cresci in una famiglia povera hai bisogno di aiuto, e i sacerdoti spesso te lo danno, diventando un punto di riferimento. «E se un prete ti chiede di aiutarlo, è come se aiutassi Dio», racconta una delle vittime. Poi comincia a raccontarti una barzelletta sporca. Poi ti mostra un giornale porno. E quando ti chiede un favore sessuale non puoi dirgli di no. «Sei dentro, ti sembra di farlo per Dio».
Ecco il meccanismo perverso che si instaura. «Sono convinto che il film avrà un impatto in Italia come altri paesi», ci racconta Michael Keaton, che nel film interpreta Walter Robinson, il responsabile della sezione Spotlight. «Ho partecipato a una serie di proiezioni incontrando il pubblico. Un uomo mi ha avvicinato ringraziandomi: era un uomo adulto, era uno dei sopravvissuti, e non aveva mai confessato a nessuno di aver subito abusi da un sacerdote».
Nel corso degli anni a Boston era uscita qualche notizia sul caso. E i giornalisti erano pronti a farne uscire altre. Ma l’idea del direttore del Globe è stata quella di puntare all’Istituzione e non ai casi dei singoli preti. Per questo il lavoro della Spotlight è stato lungo, con una battaglia interiore tra l’ansia di far uscire subito qualcosa per non essere superati da altri giornali, e il bisogno di approfondire, di arrivare a un quadro completo prima di andare in stampa. La presentazione del film a Roma è stata l’occasione di incontrare, accanto al protagonista Michael Keaton, il vero Walter Robinson, un pezzo di storia del giornalismo. Ma è ancora possibile un giornalismo d’inchiesta di questo tipo oggi, in America come in Italia? Chi se lo immagina un gruppo di giornalisti pagati per mesi per lavorare a una pista che forse vedrà la luce solo dopo molto tempo, o che potrebbe portare anche a niente? «Il giornalismo d’inchiesta negli Stati Uniti è un malato terminale» ci ha spiegato Robinson. «Il web e i network televisivi hanno privato i giornali e i quotidiani dei fondi per fare giornalismo d’inchiesta, e molti posti di lavoro sono stati perduti. I direttori di giornali sono dei pazzi: se si chiede ai lettori quale sia il motivo per cui leggono ancora i quotidiani, in molti rispondono che è per le inchieste. Eppure molti direttori sono pronti a tagliare i fondi a questo tipo di giornalismo. Il motivo per cui i lettori lo vogliono ancora è perché serve qualcuno che spinga le istituzioni e i poteri ufficiali a prendersi le proprie responsabilità. Se non siamo noi giornalisti a farlo, chi lo può fare? Se il giornalismo d’inchiesta scompare, la democrazie muore, e la gente non avrà più modo di informarsi nel modo corretto».
Un Papa che può cambiare la Chiesa
“Il caso Spotlight” è uno di quei classici film americani vecchia maniera, alla “Tutti gli uomini del Presidente”, opere che negli States sanno fare benissimo. È un film eroico, civile, necessario. E ha il pregio di non essere un film a tesi. Non è un film contro la Chiesa, ma contro alcuni uomini di Chiesa. «Il film non punta il dito contro la religione in generale», ci conferma Michael Keaton. «Io rispetto chiunque abbia fede. Io stesso ho fede e ho avuto un’educazione cattolica, mia madre è praticante, non perde mai una messa, e se c’è una cosa che mi rende triste, è che a causa di questi casi di abusi c’è gente la fede l’ha perduta, e si è allontana dalla Chiesa Cattolica. Questo è il dato che più mi rattrista. Questa situazione che non riguarda solo Boston ma anche tanti altri paesi nel mondo».
Visto il tema è impossibile non pensare a Papa Francesco, e alla speranza che il suo papato possa cambiare le cose. «Questo nuovo Papa mi piace molto, sta facendo un lavoro immenso, sta spingendo un enorme masso per portarlo in cima alla collina», è l’opinione di Michael Keaton. «Ma ci sono tematiche che vanno al di là di questo. Qui si parla di abuso di potere e di chi lo esercita nei confronti di chi non ce l’ha». «Come tutti ho una grande speranza in Papa Francesco, e ho grande rispetto per quello che sta cercando di fare» aggiunge Walter Robinson. «Ricordo che quando è diventato Papa la prima cosa che ha fatto è stata togliere le limousine a vescovi e cardinali e cercare di far prestare loro attenzione alle cose delle fede. Le limousine e le case più belle erano spesso appannaggio di cardinali americani, come Law. La Chiesa è diventata sempre più una società clericalista che esiste per il beneficio dei vescovi e dei sacerdoti e non per quello dei fedeli. Papa Francesco lo sa e sta prendendo delle misure per cambiare le cose, per convincere il clero a occuparsi dei fedeli. Ci auguriamo che questo possa portare a una diminuzione considerevole degli abusi sessuali ai danni dei minori. Malgrado tutti i passi di Papa Francesco, per ora non ha ancora compiuto un atto decisivo e sostanziale per cambiare la situazione. In Usa ha lodato il coraggio dei vescovi americani, e questo suo encomio da parte di molti è stato visto come un’offesa, perché i vescovi sono contrari al cambiamento. Tante cose devono essere fatte nonostante il suo impegno».
Che fine ha fatto Law
L’inchiesta della Spotlight ha portato alla luce un intrigo che ha coinvolto per quasi trent’anni 246 preti e più di mille vittime (quelle assodate, ma quante saranno in realtà, e in tutto il mondo?). Le scritte in sovraimpressione prima dei titoli di coda sono inquietanti, e non ci dicono solo questo. Veniamo a sapere che Law dal 2004 è stato riassegnato da Giovanni Paolo II a un’altra prestigiosa sede, la Basilica di Santa Maria Maggiore, ed è stato per una decina d’anni proprio qui, a pochi metri dalla nostra redazione. È stato rimosso da Papa Francesco. È stata una rimozione morbida, per età, visto che aveva compiuto 80 anni. Oggi vive ancora a Roma, a Palazzo della Cancelleria, di proprietà del Vaticano. Non so a voi, ma a saperlo ci vengono i brividi.