STORIE DI SERVIZIO CIVILE. PER BIBO UN TRAGUARDO IMPORTANTE

Michele, per tutti Bibo, ha 22 anni e la Sindrome di Down. Da poco ha iniziato il Servizio Civile Universale, presso il Centro San Benedetto, a Rieti. Per lui una tappa importante verso l’inclusione lavorativa

di Maurizio Ermisino

Si chiama Michele, ma per tutti è Bibo. Ha 22 anni, è nato il giorno di San Valentino, nel 2001, a Napoli, al Vomero, ultimo di quattro figli, e ora vive a Rieti con la sua famiglia. Bibo è una persona con Sindrome di Down. E ha da poco iniziato il Servizio Civile Universale. Michele da anni partecipa alle attività de Il Guazzabuglio Odv e del Progetto S. Erasmo Il Cortile, che ora opera all’interno del Centro diurno S. Benedetto a Belmonte in Sabina, in provincia di Rieti. Ed è qui che ha iniziato il Servizio Civile. Michele ha iniziato prestissimo a fare tutte le terapie necessarie per la sua salute psicofisica. Appena nato la madre, grazie all’interessamento del professor Albertini, uno dei massimi esperti nel settore, non gli ha fatto perdere un attimo. Nato a febbraio, già ad aprile, a due mesi e mezzo, ha iniziato a fare fisioterapia. A due anni ha cominciato fare logopedia. E i risultati si sono visti. A due anni e mezzo ha iniziato a camminare e intorno ai quattro, cinque anni, a parlare. È andato a scuola dal primo anno, già dall’asilo nido. Avere tre fratelli più grandi, poi, e questo gli è sicuramente servito per avere un confronto con gli altri.

Tra arte e rap

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La speranza è che il Servizio Civile sia per Bibo il primo passo verso l’inserimento lavorativo

Bibo così ha iniziato il suo percorso a scuola: le elementari, le medie, le superiori. A scuola è andato tutto piuttosto bene. Alle medie la madre ha chiesto e ottenuto la continuità didattica per l’insegnante di sostegno. E poi è stato il momento delle superiori. Bibo ha scelto il liceo artistico, perché è portato per le arti. Sì, Bibo ama l’arte, soprattutto la musica. È un rapper, ama il rap e la trap, è affascinato da quei suoni e da quel ritmo, da artisti come Sfera Ebbasta. Forse non capisce completamente il messaggio di quelle canzoni, come ci ha confessato la mamma, ma ne è conquistato. A volte chiede alla mamma della droga, delle canne, dell’alcol, di quello che si parla in quelle canzoni. Cose che non seguirebbe mai. Ma in qualche modo Michele è incuriosito da questo mondo adolescente, o post adolescente, con una serie di questioni che lui non avverte. Le vive attraverso la musica, prendendo le cose migliori del rap. Che per lui diventa anche uno strumento di espressione, di identità. Conosce anche l’inglese, lo studia ogni giorno, almeno un’ora, con un operatore del centro che frequenta, e con cui fa soprattutto conversazione.

 Il Servizio Civile di Bibo, tra sport e ambiente

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Il progetto a cui Bibo partecipa è incentrato su natura, sport, ambiente, a Rieti e provincia

Come tutti i ragazzi con disabilità adulta, una volta usciti dalla scuola, per il mondo non si esiste più. Tutti se ne dimenticano. Ci sono associazioni che, con costi più o meno elevati, si occupano di questi ragazzi. A gennaio di quest’anno ha aperto il Centro San Benedetto, e lì Michele sta facendo il Servizio Civile. Una tappa importante per Bibo, un momento che è soprattutto utile per l’inclusione, per frequentare i suoi coetanei. Gli operatori del centro San Benedetto lo hanno preparato benissimo al colloquio, fortificandolo, provando a lavorare sulla sua sicurezza. Si è puntato a valorizzare le sue competenze: quelle scolastiche, come la storia dell’arte. Il progetto al quale ha partecipato ha a che fare con la natura, lo sport, l’ambiente, nel territorio di Rieti e provincia. A casa e anche al centro si è lavorato su questo, puntando su delle mappe concettuali, sui vari sentieri e luoghi storici del territorio. E poi su quello che gli piace fare. Bibo è indipendente, ed è stato necessario lavorare soprattutto su una sorta di ansia da prestazione che sarebbe potuta venir fuori in momenti come questo. Era la prima volta che affrontava un colloquio di lavoro. Ma lo ha affrontato alla grande, con spigliatezza. Il progetto del Servizio Civile in realtà non era pensato per i disabili, ma in qualche modo poteva includerli, come ci ha spiegato la madre di Bibo. La speranza è che il Servizio Civile sia il primo passo verso quello che oggi dovrebbe essere l’obiettivo per un giovane adulto con Sindrome di Down, cioè l’inserimento lavorativo. Ma non è facile. C’è una zona grigia che è molto problematica, come ci spiega la madre di Michele. Lui è un ragazzo autonomo, indipendente. Ma in ogni esperienza lavorativa dovrebbe essere affiancato da qualcuno, e un’azienda dovrebbe essere disponibile a utilizzare un impiegato per affiancarlo nelle sue ore lavorative. La speranza è che problemi di questo tipo si possano risolvere. E che l’inclusione non sia solo a parole ma anche nei fatti.

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