ZEROCALCARE: I RAGIONAMENTI INTERESSANTI SONO SEMPRE QUELLI COLLETTIVI
Arriva su Netflix "Strappare lungo i bordi", la prima serie tv di Zerocalcare, esilarante e commovente. Qui ci parla del G8 di Genova, del Kurdistan e di come scrivere cose davvero inclusive
17 Novembre 2021
«È colpa mia de tutto, dalla crocifissione di Cristo al botto delle Torri Gemelle». Se ne esplode così, a un certo punto, Zero, il protagonista di Strappare lungo i bordi, la nuova serie Netflix che Zerocalcare ha scritto, disegnato e diretto, disponibile in streaming dal 17 novembre. È una frase che ha a che fare con i sensi di colpa, con cui chi si fa troppi problemi nella vita si trova spesso a fare i conti.
Zerocalcare è così, è uno che, come dice lui, ha «il master in pippe mentali» e allora si arrovella, riflette, pensa e ripensa. «Sin da piccolo, quando andavo a dormire, ripercorrevo tutte le cose della giornata, cercando di analizzare e di trovare una spiegazione a tutto», ci ha raccontato alla Festa del Cinema di Roma, dove è stata presentata la serie. Dopo averci tenuto compagnia ed essere riuscito a esternare i nostri dubbi e le nostre paure durante il lockdown con Rebibbia Quarantine, la serie di piccoli corti animati realizzati per Propaganda Live, Zerocalcare ci è sembrato sempre più la voce della nostra coscienza, di una coscienza collettiva. «Questa cosa non è parlare a nome della collettività», ci tiene però a precisare. «Io parlo a nome delle persone che sono impicciate. Se non hai dentro questo senso di inadeguatezza magari la cosa non ti riguarda. Se ce l’hai come me ti può interessare». Il punto è che la maggior parte di noi, prima o poi, si è sentito in qualche modo inadeguato. E che quindi parlare a nome delle persone che sono impicciate vuol dire parlare a nome di tutti, o quasi.
Come l’orso Yoghi
Il titolo, Strappare lungo i bordi, si riferisce alle strade che possono prendere le nostre vite e al fatto di seguire o meno dei percorsi che sono precostituiti e sicuri, come quelle linee tratteggiate in cui è difficile sbagliare nello staccare la figura in questione, o uscire dai bordi prestampati e provare a ritagliarsi da soli il proprio personaggio e la propria storia. Zerocalcare, in fondo, ha scelto questa seconda via, ed è diventato un grande fumettista.
Strappare lungo i bordi è un viaggio avanti e indietro nel tempo, che inizia nel 2001, nell’estate del G8 di Genova, dove Zerocalcare c’era, anche se, come dice lui, ha preso «solo du’pizze in faccia dalla Forestale, come l’Orso Yoghi». E parla dell’incontro con una ragazza, Alice, che sarà il leitmotiv e il motore della storia. Poi torna indietro fino al 1995 per raccontare Zero in seconda media alle prese con la Mazzetti, la professoressa matematica che lo credeva un bravo alunno e che lui crede di aver deluso. Una cosa per cui non sembra darsi pace. I ricordi vanno e vengono, mentre la serie, in sei puntate da 16 minuti, segue una trama orizzontale. Zero deve incontrare i suoi amici di sempre, Sarah e Secco, e prendere un treno. Sarà una giornata dolorosa. Ma non capiremo perché fino all’ultima puntata, in cui, dopo aver pianto dalle risate per tutta la serie, piangerete dalla commozione.
Genova: cambiato per sempre
Non è un caso che la serie inizi proprio dal G8 di Genova. «Genova sta in tutte le produzioni mie», racconta. «Non perché lo faccio a tavolino, ma perché è stato importante nella vita mia. È impossibile per me fare cose autobiografiche in cui non si cita Genova. Mi piaceva l’idea di metterla all’inizio, perché il racconto è ambientato in quell’estate, ma anche perché è una dichiarazione di intenti immediata, dove si colloca questa storia e chi è la voce che la sta raccontando».
«Mi rendo conto che non farei quello che faccio se non ci fosse stata Genova», continua. «Il mio primo fumetto è stata la cronaca del G8 di Genova. Ho lavorato tanto sul racconto di quelle giornate, raccontando chi ha preso le botte, ma non solo: ricordando anche che, a vent’anni di distanza, c’è chi è ancora in carcere. Genova non la vivo come un reduce ma come una persona per cui il rapporto con la società, con l’autorità, con le divise è stato cambiato per sempre da quell’esperienza. E all’età di 38 anni, all’epoca ne avevo 17, questa cosa non è cambiata».
I due alert
La cosa che ci piace di Zerocalcare è che in una stessa serie, da un momento all’altro, può farti ridere e piangere, tirare un sospiro di sollievo, ma anche riflettere. Le sue storie sono un continuo rimando di riferimenti alti e bassi. Nella sua carriera ci sono tanto La profezia dell’Armadillo quanto Kobane Calling. «Non voglio diventare il prete che deve evangelizzare la gente», ci spiega. «Se fai una storia sui curdi, devi riuscire a switchare i toni. Se fai sempre la stessa cosa parli a una riserva indiana. Se parli alle persone che si divertono con cose più leggere, e poi gli parli dei curdi senza annoiarli, riesci a interessare più persone… Io ho due alert sul web per le notizie: uno è per quello che succede sul fronte nord della Siria, un altro è sugli aggiornamenti dal Marvel Cinematic Universe. Sono fatto così».
Strappare lungo i bordi
Durante Strappare lungo i bordi Zerocalcare ironizza molto sulla “lagna” sui social media, sul lamento via internet, ma in realtà su queste cose ha una posizione molto precisa. «Ho una policy: parlare solo delle cose che seguo» spiega. «Vuol dire che non parlo delle cose che leggo ogni tanto su internet, ma di quelle che vivo o personalmente, o perché vivo i movimenti politici che se ne occupano. Ad esempio se parlo del Kurdistan è perché sono stato alle assemblee e ho seguito la cosa da vicino. Non credo a chi si sveglia la mattina e dice il suo pensierino perché è un illuminato. Credo che i ragionamenti interessanti siano sempre quelli collettivi, perché ci si confronta, si mettono a confronto le cose giuste e quelle sbagliate. Quando parlo di qualcosa parlo con quella conoscenza là. Quando ne parlo lo faccio con il massimo dell’onestà intellettuale. Che non vuol dire che non sia di parte. Nel caso dei curdi sono di parte, li sostengo attivamente. Ma cerco di mettere in piazza anche i miei dubbi, le mie incertezze, perché penso che siano gli stessi di chi mi legge dall’altra parte».
Le opere di questo tipo sono anche quelle per cui si sente più sicuro, meno legato al giudizio del pubblico, proprio perché fatte insieme ad altri, fatte in buona fede e per dare voce a un gruppo di persone. «Per i libri sul Kurdistan c’era un ragionamento collettivo», spiega, «Kobane Calling ha il nome Zerocalcare ma è stato fatto insieme alla comunità curda: ho chiesto cosa si poteva e non di poteva dire, è un lavoro in cui avevo comunque le spalle coperte da un ragionamento collettivo, e quando è uscito per me doveva andare bene a loro, e non mi interessava il resto. Se ci metto soltanto me stesso ho molta più paura del giudizio altrui. Quando è un lavoro politico, collettivo, anche se non raccoglie il consenso delle persone non mi importa. La cosa è stata fatta perché era giusto farla, e se non incontra il consenso del pubblico sticazzi».
È facile cambiare in peggio le persone
Resta il fatto che, pur partendo da quello che conosce, ogni piccolo spunto, ogni oggetto, ogni parola, ogni idea può essere il punto di partenza per un viaggio per la tangente, una digressione, ogni volta esilarante, una riflessione che ci sembra futile ma che nasconde dentro una verità. Il modello narrativo di Zerocalcar, anche in Strappare lungo i Bordi, è il flusso di coscienza, quello che, studiato a scuola con l’Ulisse di Joyce, vi sarà sembrato noiosissimo. E invece non è mai stato così spassoso come ora.
Zerocalcare sembra davvero la voce di tutti noi, riesce davvero a dire quello che abbiamo sempre pensato e non abbiamo mai osato dire. Ma la sente una sorta di responsabilità? «Penso che hai delle responsabilità quando hai delle persone che ti leggono, ma credo che la responsabilità sia soprattutto quella di non peggiorare le cose» riflette, con il suo solito understatement. «A nessuno si può chiedere di cambiare la testa delle persone, e non è la mia vocazione. Secondo me è difficile cambiare le persone in meglio, è facile cambiarle in peggio. Nel senso che contribuire con linguaggi sessisti, omofobi alla sedimentazione di quel tipo di cultura è molto semplice, quasi automatico. E se uno usa questo tipo di parole credo che abbia la responsabilità di rifletterci. Spero che chi legge le mie cose non ne esca peggio di come è entrato».
Fare le cose in modo più inclusivo
Zerocalcare è troppo umile. Dalle sue storie si esce migliori. O, almeno, più sicuri, più consapevoli di far parte di una collettività a cui capitano le stesse cose che capitano a noi. Tipo la cosa che se per un viaggio parti in anticipo e metti in conto degli imprevisti questi non capitano, ma se parti in orario qualche imprevisto ti accade di sicuro. O tipo avere una casa dove ormai le stanze sono quattro regni che hanno proclamato l’indipendenza e puntano anche a conquistare il “divano di spade”, l’unico luogo che sei riuscito ancora a tenere in ordine. E poi c’è quel magnifico affresco di vita quotidiana che sono i bagni delle donne e i bagni degli uomini. E se questi notoriamente sono il Vietnam, quelli delle ragazze non sono da meno.
«Per questo dovete ringraziare Ilaria Castiglioni di Netflix» svela Zerocalcare. «Quando ho scritto questa cosa c’era solo il bagno dei maschi. Perché pensavo esattamente quello che ho detto. Quando Ilaria ha ricevuto questa sceneggiatura mi ha detto: guarda che c’è il cinquanta per cento dell’umanità che non si riconosce in questa roba perché ha un’esperienza di un altro tipo. Così ho chiesto alle donne e ho scoperto una realtà drammatica a avventurosa, che aveva senso raccontare. Questo è un esempio calzante di quando la gente si lamenta che si devono mettere per forza le quote rosa e le quote per le diverse etnie. Se una cosa la fai per par condicio e basta è un compitino. Se una cosa è fatta bene, ha un suo fondamento, e viene fatta provando a metterci il cuore, il risultato non solo è più corretto, ma è più divertente e funziona molto meglio. C’è un modo per fare le cose in maniera più inclusiva, quando si è disposti a mettersi un po’ in gioco, e ne guadagna la qualità».
Soltanto un filo d’erba in un prato
E poi in Strappare Lungo i Bordi c’è un altro momento meraviglioso, quello in cui Zero deve cambiare una gomma, non ce la fa, e non può chiedere aiuto. Perché nella nostra società un uomo deve «andare a caccia, parlare di macchine e commentare la serie A», e non può dimostrarsi fragile e chiedere aiuto. «Noi non possiamo chiedere aiuto, è la vergogna massima», sorride. «È chiaro che in una società paritaria anche gli uomini potrebbero farlo. Oltre al grande bagaglio di privilegi che hanno gli uomini, ci stanno anche delle cose per cui se uno non rientra in quella formina lì, per tanti motivi, come l’orientamento sessuale, vive l’inadeguatezza rispetto a questa cosa. Che andrebbe scardinata per il bene di tutti. Ma fino a che non è scardinata io non posso chiedere indicazioni stradali. Non sapete quanto ha salvato la vita a noi maschi Google Maps. Io dovevo farmi le mappette da casa… ».
Una volta finita la visione di Strappare lungo i bordi, commossi e con gli occhi lucidi, ci si sente però più sollevati, più leggeri. Perché si è consapevoli di aver trovato qualcuno che ci capisce. Per chi, come lui, ha il master in pippe mentali, per chi è impicciato, basta andare ad ascoltare il discorso di Sarah nell’episodio 2, quello della Mazzetti, la prof di matematica. «Sei soltanto un filo d’erba in un prato, non il centro del mondo», dice a Zero l’amica.
Ecco, se tutti noi capissimo che siamo dei fili d’erba in un prato dove ce ne sono un’infinità, staremmo molto meglio. Ed è anche per questo che dobbiamo dire: grazie, Zerocalcare.