SUAAD GENEM: SONO UNA DONNA CRESCIUTA NELLE CARCERI ISRAELIANE

Ne "Il racconto di Suaad. Prigioniera palestinese" i tre arresti di Suaad Genem, l'ambiente, la solidarietà, lo sfruttamento, le tecniche per indurre la confessione. Un testo politico e autobiografico, il vissuto individuale e collettivo della prigionia e della resistenza al femminile nelle carceri israeliane

di Ilaria Dioguardi

5 MINUTI di lettura

La Casa del Municipio Roma I ha ospitato la presentazione del libro Il racconto di Suaad. Prigioniera palestinese (Edizioni Q). In una sala gremita di persone con tanti giovani, l’autrice ha raccontato la sua esperienza in un carcere israeliano. «Sono nata nel ’57, tutto il villaggio in cui vivevo era circondato da insediamenti colonialisti. Ho vissuto 24 ore al giorno il colonialismo», ha raccontato Suaad, arrestata tre volte dall’occupazione israeliana. «Sono una donna cresciuta in prigione, non credo di essere un’ ex prigioniera, siamo ancora prigionieri di uno Stato colonialista, i palestinesi sono perseguitati dappertutto. Quello che ci è stato tolto, vogliamo che ci venga restituito tutto».

L’anima è prigioniera

Sono trascorsi quattro anni tra una prigionia e l’altra di Suaad Genem. «Non mi hanno dato lo spazio di pensare a cosa scrivere. La soluzione per me, una volta fuori di prigione, era un Dottorato di ricerca. In realtà l’anima è prigioniera: non posso lasciare tutti i palestinesi in prigione. Fuori dal carcere noi palestinesi ci cerchiamo l’un l’altro», ha proseguito. «Dagli anni Sessanta, tecnicamente, nulla è cambiato nell’esperienza in carcere. Ma la tortura viene sviluppata in maniera nuova. Negli anni Settanta la parola d’ordine era picchiare. Nei decenni successivi la tortura è diventata più psicologica. Il corpo reagisce da solo, quando sei fuori dalla prigione. Il cibo mi veniva dato davanti alla porta, con la ciotola trascinata per terra, non capivo se era cibo o sporco quando lo guardavo. Non riesco a mangiare nulla se non so cosa c’è nel piatto. Come donna ho subito tantissimo dagli uomini. Il trauma rimarrà per sempre per tutti i prigionieri».

«Vivrò per i diritti di noi palestinesi»

Suaad Genem
Suaad Genem durante la presentazione del libro alla Casa del Municipio Roma I

Nel suo libro scritto in arabo e tradotto in italiano, del carcere Suaad Genem descrive l’ambiente, la solidarietà, i rapporti affettivi fra le detenute, lo sfruttamento, le tecniche usate per indurre i prigionieri a confessare. Il racconto di Suaad. Prigioniera palestinese è un testo politico e autobiografico, è una “memoria del carcere” che racconta le lotte delle prigioniere per difendere i loro diritti, i traumi della prigionia, i ricordi di una persona lontana che diventa il “fidanzato” di un’intera prigione. «Questo libro l’ho scritto in tanti periodi diversi, ci ho messo tutto quello che penso. Vivrò per i diritti che noi palestinesi avremo in futuro: niente di più, niente di meno». Nelle sue prigionie, ha spiegato, Genem ha capito «l’aspetto sociale della sofferenza delle donne. La solidarietà tra donne è positiva, ho imparato tanto. Mentre nella prigionia tra fine anni Settanta e inizio anni Ottanta era l’epoca dell’élite dei prigionieri, c’erano molte donne laureate, emancipate, negli anni Novanta erano prigioniere poche donne dell’università, molte casalinghe: si è passati da una resistenza palestinese come élite a una resistenza popolare», ha continuato Genem. Che ha detto: «Non dobbiamo dimenticare che siamo individualisti: siamo leader, siamo emancipati, dobbiamo combattere e resistere. E l’individualità si scioglie nel collettivismo. Dobbiamo avere una leadership, un sistema di protezione contro il colonialismo israeliano».

«Ho imparato a non aspettare neanche un minuto»

Suaad Genem ha un figlio di 26 anni. «Quando mi dice di aspettare, gli dico che io non posso aspettare neanche un minuto. Quando ero in prigione, avevo un’ora di mattina e una di pomeriggio per poter leggere, scrivere, fare sport. In prigione ho imparato che non posso aspettare neanche un minuto. Poi ho imparato che la carta e la penna sono importantissimi e come trasformare un essere umano da negativo a positivo». L’autrice ha raccontato che in carcere lei e le altre donne hanno scritto tanti libri sui muri, hanno nascosto i testi tra le piante della prigione. «in carcere una lettera ricevuta diventa una lettera di tutti, un papà diventa un papà di tutti, un figlio diventa un figlio di tutti».

La seconda vita di Suaad

Quando è andata a studiare in Inghilterra, Suaad Genem aveva 35 anni. «Volevo essere normale. Ho fatto terapia. Dovevo emancipare me stessa. Ho deciso con la mia famiglia di non avere più contatti con nessuno in Palestina tranne che con i miei parenti, per riuscire a capire me stessa. Nel 2020 sono tornata in Cisgiordania». Le donne che sono uscite di prigione si incontrano, una volta fuori, ha raccontato Genem, e «quelle che sono state in carcere negli anni Ottanta hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo della Palestina». E le prigioni oggi? «Ci sono solo uomini carcerieri, le donne sono isolate le une dalle altre, vengono picchiate continuamente. Il lato sanitario è molto difficile, non riesco a parlarne senza piangere».

———————————————————

Suaad GenemIl racconto di Suaad. Prigioniera palestinese
Suaad Genem
Edizioni Q, 2024
188 p., € 16

SUAAD GENEM: SONO UNA DONNA CRESCIUTA NELLE CARCERI ISRAELIANE

SUAAD GENEM: SONO UNA DONNA CRESCIUTA NELLE CARCERI ISRAELIANE