SVEGLIAMI A MEZZANOTTE: DISAGIO PSICHICO, IL PROBLEMA È NON POTERNE PARLARE

Per una forte depressione una giovane donna si lancia dal quarto piano e sopravvive. Svegliami a mezzanotte, di Francesco Patierno, indaga i luoghi oscuri del disagio psichico nei frammenti di un'esistenza fragile, raccontando un’insperata resurrezione che porta speranza

di Maurizio Ermisino

«Mi sono uccisa il 26 luglio 2012. Avevo da poco compiuto 32 anni e da neppure quattro mesi partorito la mia prima e unica figlia, Greta». È una delle frasi più toccanti, una di quelle che racchiudono il senso di Svegliami a mezzanotte, il film di Francesco Patierno presentato al Festival di Torino e in uscita in questi giorni al cinema. Svegliami a mezzanotte è il racconto della storia vera di Fuani Marino, una giovane donna che, a causa di una forte depressione, si lancia dal quarto piano di un palazzo e sopravvive alla caduta. È un film bellissimo, e fondamentale, per come indaga i luoghi oscuri del disagio psichico attraverso i fotogrammi e i frammenti, le parole e le emozioni di un’esistenza fragile, illuminandoli con il racconto di una insperata resurrezione che porta con sé la speranza. Il film, come il libro da cui è tratto, è bellissimo, ed è fondamentale: perché può servire a tante persone che, in tanti modi, possono sentire qualcosa di simile a Fuani, ad aprirsi, a capire qualcosa di sé, a chiedere aiuto. Perché la cosa più brutta per chi soffre un disagio psichico è di non poterne parlare.

Qualcosa di più di una semplice tristezza

svegliami a mezzanotte
«Mi sono uccisa il 26 luglio 2012. Avevo da poco compiuto 32 anni e da neppure quattro mesi partorito la mia prima e unica figlia, Greta»

Svegliami a mezzanotte è un film prezioso, in cui una voce fuori campo, pacata e serena (di Eva Padoan), recita la storia in prima persona di Fuani, mentre sullo schermo passano immagini preziose, foto della sua giovinezza e immagini dei diari che ha sempre scritto. Ma tutto questo è intervallato da suggestive immagini di repertorio in bianco e nero, ipnotiche e retro (la produzione è dell’Istituto Luce). Immagini che agiscono a livello subliminale, e riescono a creare uno stato d’animo, un’atmosfera: uccelli in volo, onde che si infrangono sugli scogli. Mentre altre immagini di repertorio – scene di scienza, di divulgazione – sembrano quasi offrire un “coro” alla vicenda. E così assistiamo alla storia di Fuani, cresciuta in una casa dove i genitori si odiano e non hanno piacere a stare insieme. Fuani non ricorda pranzi di famiglia e alberi di Natale. E ricorda benissimo di aver provato, a 13 anni, qualcosa di più di una semplice tristezza, ma quasi una sorta di perdita di senso. E di non sapere da dove venisse. Ci si chiede allora quanto il disagio psichico sia qualcosa di genetico, di chimico, e quanto la vita vissuta possa incidere. «La cosa più importante è che anche la protagonista ha fatto un’operazione molto lucida, un’analisi a posteriori. E una risposta non ce l’ha», ci spiega Francesco Patierno. «Ma nel suo caso concorrono varie cose.  Da un lato ci può essere una predisposizione chimica, genetica, ma dall’altro canto anche contesto di origine non solo familiare, ma anche sociale e geografico. Concorre un po’ tutto. E poi l’adolescenza è un periodo che sfugge completamente a qualsiasi definizione, in cui spesso neanche i genitori più attenti si accorgono di movimenti molto pericolosi. Fuani mi ha fornito tutte le agendine, dove c’era traccia di tutto questo. E mi ha detto: “se i miei avessero controllato le mie agendine probabilmente avrebbero avuto un altro occhio rispetto a quello che stava succedendo”. Non c’è una risposta, ma ci sono delle ipotesi, tante».

Una storia piena di segnali

La storia di Fuani è piena di segnali. Come quel momento della sua vita, da adolescente, in cui trascorre del tempo da una compagna di classe, con una madre che soffre di depressione, sta in vestaglia e non esce mai. Come il momento in cui la madre si sente male, e ha un’ischemia. Ma è soprattutto il padre che incide nella vita di Fuani. «L’ombra del padre è determinante» spiega Patierno. «La madre in qualche modo le sta dietro. Ma il padre è un personaggio emblematico. Secondo me è importante che un figlio abbia dei genitori risolti, non dico felici, ma sereni con se stessi. A volte genitori insoddisfatti e infelici, anche loro malgrado, sfogano la loro infelicità sui figli. Il padre di Fuani, da questo punto di vista, è anche inconsapevolmente responsabile di un certo stato d’animo della figlia».

La ricerca della stabilità

Fuani sceglie cosa studiare all’università. È l’unica facoltà umanistica che non si trova a Napoli: psicologia, a Roma. Si innamora di un ragazzo che vive nel suo stesso condominio, con le finestre che danno sullo stesso cortile. I due perdono il tempo a inseguirsi e perdersi. A Napoli conosce Riccardo, otto anni più di lei, che la corteggia con discrezione. La ricerca della stabilità, ci racconta Fuani, vince sulla bramosia di qualcuno di irraggiungibile. Così si ritrova sposata, a 30 anni, con un ragazzo che sarebbe diventato notaio. E vive in una grande casa, troppo grande, troppo vuota, troppo silenziosa. E anche questo non aiuta. «Fuani è come se decidesse razionalmente con un istinto di autoconservazione di levarsi da quei rapporti sentimentali che la fanno soffrire per trovare qualcuno di più stabile, che possa garantirle, dal punto di vista affettivo e sentimentale, una certezza che altri rapporti non le offrivano», commenta il regista. «E in qualche modo, paradossalmente, è quella scelta a salvarla. Non dalla caduta, ma a salvarla dopo».

Difese immunitarie basse

svegliami a mezzanotte
«All’improvviso nella mia vita ci sono solo pillole e ancora pillole. Per dormire, per dimenticare. Per guarire. Le mando giù con un misto di sfida e di rassegnazione. Percepisco di non essere padrona delle mie facoltà»

E c’è anche lo stress lavorativo a complicare il tutto. Per Fuani, che ha sempre fatto la giornalista come collaboratrice, arriva un contratto di sostituzione estiva, da redattrice, un lavoro pesante. Anche questo incide sul suo stato. «Quando hai difese immunitarie basse puoi prendere delle malattie» riflette il regista. «Diciamo che, metaforicamente palando, questo è il racconto di una persona che ha le difese immunitarie basse e che quindi è molto più sensibile di altre ad andare in burnout»

Il primo psichiatra non si scorda mai

Fuani ci racconta anche del suo primo ansiolitico. Era a casa da sola e credeva di non respirare. Il medico le prescrive benzodiazepine. «Il primo psichiatra non si scorda mai, soprattutto se ti rovina», ci racconta Fuani. Le prescrive psicofarmaci. Ma spesso una diagnosi sbagliata, o il farmaco sbagliato, possono davvero rovinare una vita. Non si tratta di una cosa semplice. «Non a caso ci sono gli psicologi, gli psicanalisti e gli psichiatri», riflette Francesco Patierno. «Io a volte ho l’impressione che ci siano certi psichiatri che pensano di risolvere tutto con il farmaco. Ma non è così. Io credo che comunque il farmaco sia importante, ovviamente se sai prescrivere quello giusto, ma è sempre un tentativo, perché ognuno di noi risponde in una maniera diversa. Ci deve essere un’azione congiunta, che sia psicologica oltre che farmacologica.  Nel momento in cui trovi uno psichiatra che sa unire le due azioni è un conto. Se trovi uno psichiatra che agisce solamente con i dettami della scienza è un altro discorso».  «All’improvviso nella mia vita ci sono solo pillole e ancora pillole, allineate nei loro blister in attesa di essere prese. Per dormire, per dimenticare. Per guarire. Le mando giù con un misto di sfida e di rassegnazione. Percepisco di non essere padrona delle mie facoltà» è l’intenso racconto di Fuani.  Quando rimane incinta i farmaci vengono ridotti e poi eliminati.

Io non sono programmata per avere tutto

Così nasce Greta, prematura e con delle complicazioni. Ma è quando Fuani torna a casa che tutto diventa più pesante. Deve tirarsi il latte e ci mette anche un’ora. «A questo punto la complicazione sono diventata io», racconta. “Hai tutto” le dicono. «Ma io non sono programmata per avere tutto» confida lei. «Ho desiderato questa bambina con tutta me stessa, e adesso che ce l’ho tra le braccia non so cosa farmene. Sono incapace di occuparmi di mia figlia. Non voglio e non so farlo, e questo rappresenta una lettera scarlatta che porto sulla fronte». «Io penso che il film mostri chiaramente tutta l’escalation emotiva e psichica della protagonista», ci spiega Francesco Patierno. «Da questo punto di vista penso che sia molto chiaro. Sta a ognuno di noi riconoscersi in qualcuna di questa cose. Diciamoci la verità: ognuno di noi è colpito da certi malesseri. Poi ci sono persone che sono esposte all’ennesima potenza e altre meno. Però nessuno di noi può considerarsi normale da questo punto di vista». I medici non le vogliono prescrivere i farmaci. E così per Fuani l’unico pensiero è quello di uccidersi. Quando le prescrivono Zoloft e Xanax ormai è troppo tardi. E così arriva il momento, durissimo, che vi abbiamo raccontato all’inizio.

Il disagio psichico è ancora un tabù

svegliami a mezzanotte
«Mia adorata Greta desidero avvertiti. Sentirai cose orribili di me. Ti diranno che tua madre è pazza. Ma quello che non dovrai mai pensare è che io non ti abbia amata. O che questa cosa possa capitare a te»

I medici dicono che il suo umore ha un andamento ciclotimico: rappresenta una espressione attenuata del disturbo bipolare. La parola “bipolare” fa paura. Ma, dopotutto, il vero problema è non poterne parlare: quando ti è successa una cosa difficile devi raccontala come qualcosa di vergognoso. Il libro Svegliami a mezzanotte, che Fuani decide di scrivere, è un racconto terribile, ma è soprattutto un gesto politico una rivendicazione per chi soffre di disturbi psichici. «È un gesto politico nella sostanza» afferma il regista. «Il disagio psichico è ancora un tabù: si fa difficoltà a parlarne anche all’interno di una famiglia. Lo so perché mi è capitato di vederlo. La persona che soffre ha difficoltà a parlarne non solo all’esterno, ma anche all’interno. Questa cosa di uccide. Perché non hai nessun con cui confrontarti, senti un pregiudizio, se non un giudizio. E questo può dare la spallata definitiva. Per questo vedere un film può essere importante per condividere almeno con una persona che racconta la sua esperienza questo malessere e sentirsi meno soli».

Ogni persona ha la sua storia

Svegliami a mezzanotte è un film duro e delicato allo stesso tempo, una storia commovente, ma raccontata in modo asciutto, astraendo in qualche modo la vicenda ed elevandola ad archetipo, a storia universale. Chiediamo a Francesco Patierno come ci è riuscito. «Caratterialmente sono molto sincero in tutti i lavori, cerco di mettere una sensibilità che mi appartiene: nessun tipo di calcolo, nessun tipo di intento programmatico, ideologico», ci risponde. «Ma soprattutto metto una mia sensibilità che significa anche un equilibrio. Ancor di più quando il tema è difficile, quando c’è un dramma di mezzo cerco di non sfruttarlo, di non renderlo pornografico. Di emozionare sì, perché le emozioni sono importanti in una storia, ma non voglio manipolare né le emozioni né lo spettatore. E probabilmente tutto questo si traduce in un equilibrio».  «Amo e odio alla follia, urlo vendetta, rido come una matta. Prego perché mia figlia non mi veda mai in uno stato del genere», racconta Fuani. A volte è molto stanca, e dorme molto. Così dice «svegliami alle 11, svegliami in tempo utile, ma l’ora che preferisco è la mezzanotte». Da qui il titolo. La lettera scritta alla sua bambina è commovente. «Mia adorata Greta desidero avvertiti. Sentirai cose orribili di me. Ti diranno che tua madre è pazza, egoista, avrai una moltitudine di cose di cui accusarmi. Ma quello che non dovrai mai pensare è che io non ti abbia amata. O che questa cosa possa capitare a te. Ogni persona ha la sua storia».

SVEGLIAMI A MEZZANOTTE: DISAGIO PSICHICO, IL PROBLEMA È NON POTERNE PARLARE

SVEGLIAMI A MEZZANOTTE: DISAGIO PSICHICO, IL PROBLEMA È NON POTERNE PARLARE