TATAMI: VINCERE PER SCONFIGGERE IL REGIME
Tatami, il film di Guy Nattiv e Zar Amir è ispirato alle storie delle tante atlete iraniane che hanno fatto cose incredibili. Un thriller potente che ci racconta cosa vuol dire vivere sotto un regime
18 Aprile 2024
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Il primo contrasto è già tutto nella prima scena di Tatami, il film di Guy Nattiv e Zar Amir, presentato al Festival di Venezia e al cinema con BiM Distribuzione. Le atlete sono su un autobus che le sta portando a destinazione. Sono vestite da sportive, in tuta da ginnastica. Alle orecchie hanno, come molte ragazze della loro età, le cuffie per ascoltare la musica. Dalle cuffie di Leila esce una moderna musica hip-hop. Eppure, a contrasto, c’è quel velo a coprire il capo. Un segno di tradizione, di religione, un segno antichissimo che contrasta con tutto il resto. E che, simbolicamente, ma anche fisicamente, può essere così stretto sul capo e sotto il collo da togliere il respiro, e l’aria vitale. Lo vedremo spesso durante la visione di Tatami, un film da non perdere. Tatami è ispirato alle tante atlete iraniane che hanno fatto cose incredibili: Sadaf Khadem, la prima pugile iraniana che si è rifugiata in Francia dove è diventata promotrice dei diritti delle donne; l’arrampicatrice su roccia Elnaz Rekabi che ha gareggiato senza indossare la hijab, consapevole di rischiare la morte al suo ritorno a casa; Kimia Alizadeh, ragazza prodigio del taekwondo iraniano che ha lasciato il paese insieme al marito a causa delle minacce governative, e molte altre.
Leila e quella scelta impossibile
Durante i campionati mondiali di judo, la judoka iraniana Leila (Arienne Mandi) e la sua allenatrice Maryam (Zar Amir) ricevono un ultimatum da parte della Repubblica Islamica che intima a Leila di fingere un infortunio e perdere la gara, pena l’essere bollata come traditrice dello Stato. Vedendo minacciata la propria libertà e quella della sua famiglia, Leila si trova ad affrontare una scelta impossibile.
Non si è liberi in nemmeno un aspetto della propria vita
È solo una gara di judo, potrebbe pensare qualcuno. Ma non è, davvero, solo questo. E lo capiamo ben presto. Leila Hosseini sembra combattere con una carica fuori dal comune. Come se volesse combattere non solo per sé, ma per tutte le donne iraniane che non possono fare quello che sognano Come se volesse combattere non solo per sé, ma per un’idea. Quella della libertà. Ma un’altra cosa che capiamo presto è che il combattimento non avviene solo sul tatami di Tbilisi, Georgia, dove si svolgono i campionati. La partita è più grossa, è pericolosa, e si gioca sul filo del telefono. Dalla federazione, e dal governo, le viene chiesto di lasciare la gara: andando avanti potrebbe scontrarsi con l’atleta israeliana, e questo per loro è inammissibile. Capita anche questo, che non si possa decidere della propria vita nemmeno all’estero, in un contesto internazionale, quando si vive in un regime. Quando non si è liberi in nemmeno un aspetto della propria vita.
Non decidiamo noi
Se Leila non ci sta, e decide di andare avanti, per la sua allenatrice, Maryam, è ancora più difficile. Ha a cuore la carriera della sua atleta. Ma, in Iran, ha anche una famiglia. È lei quella sottoposta alle pressioni, sempre più asfissianti. È lei che riceve continue telefonate sempre più minacciose. Maryam, che conosce ogni mossa delle avversarie, questa mossa del governo non se l’aspettava. “Non decidiamo noi” si trova costretta a dire alla sua atleta. Mentre è sempre più chiaro che, in Iran, rischiano la vita anche il marito e il figlio di Leila, e anche i suoi anziani genitori.
In ballo non c’è la vittoria, ma la vita
Tatami è un film politico, civile, impegnato. Ma è costruito come un thriller, una spy story, un intrigo internazionale. È un classico film di epica sportiva, da un lato. Ma, in quel tipo di film, l’unica risposta che si chiede a un finale è se l’atleta al centro della storia vincerà o no. Qui in ballo non c’è una vittoria ma la vita. E la libertà. Per questo tutto crea ancora più ansia, più tensione, una tensione che a tratti diventa insostenibile. Ogni combattimento, per Leila, è più duro. Non deve superare solo la sua avversaria ma un peso incredibile. E in quelle condizioni è impossibile tenere la mente sgombra.
Una vittoria è sempre una vittoria. Ma lo è di più se si lotta contro un regime
Non vogliamo raccontarvi troppo. Ma Leila trova un’inaspettata solidarietà femminile, e politica, con alcune donne che si occupano dell’organizzazione e della sicurezza e che capiscono prima di altri la situazione. E anche con un uomo, un medico: anche lui, a suo tempo, è stato in fuga (dalla Romania di Ceausescu) e capisce benissimo cosa sta passando Leila. Il film è potente anche per questo. Perché una vittoria è sempre una vittoria. Ma lo è ancora di più se si lotta contro un regime. Come le vittorie di Jesse Owens, nero americano, davanti a Hitler alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Come la Coppa Davis vinta dagli azzurri nel Cile di Pinochet nel 1976.
Nel segno di Martin Scorsese
Tatami è girato in bianco e nero, che rende le immagini immediatamente iconiche, classiche, universali, potenti. Da un lato, sembra di vedere la Olympia di Leni Riefenstahl. Dall’altro, l’indelebile Toro scatenato di Martin Scorsese. Ed è proprio al cinema di Scorsese che guarda Tatami, con le sue riprese nel cuore del combattimento, nell’occhio del ciclone, come nel classico film con Robert De Niro. Ma c’è anche un senso della geometria e della composizione nelle immagini, con riprese dall’alto che rendono la storia suggestiva. Una storia in cui il telefono squilla di continuo, ed è un elemento di minaccia prima ancora di sapere che parole arriveranno. “Sono una tra milioni di persone sotto il controllo del regime islamico dell’Iran” dirà Leila. E il pensiero va alle tante persone che sono ancora lì, sotto il giogo di questa dittatura.
L’umanità e la fratellanza vincono sempre
«Negli ultimi decenni, il governo iraniano ha fatto tutto quanto in suo potere per impedire a iraniani e israeliani di incontrarsi in occasione di eventi internazionali, senza tenere in considerazione la realtà dei veri sentimenti delle persone» hanno dichiarato la regista Zar Amir Ebrahimi e il regista Guy Nattiv. «La storia che abbiamo deciso di raccontare in questo film è la storia di troppi artisti ed atleti costretti a rinunciare ai propri sogni e, in alcuni casi, obbligati a lasciare i propri paesi e i propri cari a causa del conflitto tra sistemi e governi. Speriamo di aver realizzato un film che mostri al mondo che l’umanità e la fratellanza vincono sempre».