PARTE UN TAVOLO INTERASSOCIATIVO PER L’INCLUSIONE A SCUOLA

In un'Italia sempre più razzista 30 organizzazioni lavorano per una scuola nuova, pietra d'angolo nella costruzione di una società aperta.

di Chiara Castri

Nonostante il Ministro Salvini continui a negare l’esistenza di un’emergenza razzismo in Italia, nel nostro paese gli episodi vanno invece moltiplicandosi.
Il giornalista Luigi Mastrodonato ha costruito una mappa interattiva delle aggressioni fisiche a sfondo razzista avvenute in Italia dal 1 giugno al 30 luglio di quest’anno, giorno in cui ha diffuso la mappa in un tweet. Ne ha contate 30. Tra quelle salite agli onori della cronaca i ragazzi originari del Mali aggrediti a Caserta da tre italiani armati di pistole ad aria compressa; lo chef di 22 anni, anche lui maliano, Konate Bouyagui, in Italia da quattro anni con regolare permesso di soggiorno aggredito a Napoli; la bimba rom di un anno colpita alla schiena a Roma, che ora rischia la paralisi; il migrante originario della Guinea colpito in viso ancora con una pistola ad aria compressa; il diciannovenne senegalese, richiedente asilo, aggredito da quattro persone nel palermitano; il migrante di origini marocchine morto in provincia di Latina; Daisy Osakue, 22enne della nazionale italiana di atletica nata in Italia di origini nigeriane, aggredita a Moncalieri, vicino a Torino.

 

scuola e inclusioneE poi ci sono gli episodi che restano nel silenzio, le chiacchiere da bar, i comportamenti razzisti in metropolitana, l’odio sui social network. Un sentimento strisciante che, sdoganato dai linguaggi di certa politica e di certa informazione, prende forza. E incarognisce. Finchè un giorno ti capita di sentire un bambino di cinque anni che ti chiede: «tu lo sai come si chiamano quelli che stanno fuori dai supermercati? Si chiamano marocchini. Sono quelli che non hanno voglia di lavorare, vogliono solo non fare niente». Stiamo insegnando il razzismo ai bambini.

 

UN TAVOLO PER UNA SCUOLA INCLUSIVA. «Questa estate eravamo molto preoccupati per i numerosi segnali di intolleranza, come l’idea del censimento dei bambini rom e sinti, che seguiamo con numerosi progetti a Napoli o Venezia. È nata così l’idea di mettere insieme enti, organizzazioni, associazionismo che, a loro volta, iniziavano ad esprimere preoccupazione. Attorno ad una prima proposta in cui sottolineavamo la preoccupante scomparsa di una cultura dell’infanzia sono arrivate le prime adesioni, ora a giunte a più di 40». A parlare è Giancarlo Cavinato, maestro elementare, e segretario e responsabile nazionale del Movimento di Cooperazione educativa, da sempre impegnato nella tutela dei diritti dell’infanzia.

È nato così un coordinamento di 30 organizzazioni – tra cui Mce, Cidi, Cemea, Legambiente, Adi, Proteo, ma anche Libera, la Società italiana di pedagogia, la Fondazione Montessori, la FLC-CGIL e molte altre – riunitesi il 3 settembre scorso nella sede dei Csv del Lazio Cesv e Spes attorno alla proposta Mce di un tavolo interassociativo che operi nel mondo della scuola e dell’educazione in primis, ma anche nel sociale e nella società civile quale stimolo positivo al cambiamento culturale e sociale per l’inclusione.

«Siamo un tavolo aperto», spiega Cavinato. «Teniamo molto ad una partecipazione dal basso, di giovani, volontari, famiglie, gruppi di insegnanti perché crediamo che in questo momento sia molto importante allargare a macchia d’olio la sensibilizzazione, la conoscenza, il confronto diretto con le persone, gli stranieri, i bambini.

Il 17 settembre ci ritroveremo di nuovo nella sede dei Csv, a Roma, per costituire una cabina di regia sul tema, studiando una bozza di manifesto pedagogico che partirà da un’analisi della situazione attuale e della povertà materiale ed educativa di oltre un milione di bambini in Italia. Vogliamo insistere sull’inopportunità e l’incostituzionalità delle classi-ghetto, sulla disomogeneità come ricchezza, sull’apporto educativo non solo linguistico ma anche di conoscenza culturale, scambio e confronto di cui la scuola può essere strumento fondamentale. Tra le molte proposte che abbiamo ricevuto finora ci sono l’adesione alla Marcia della Pace Perugia Assisi e la realizzazione di un sito che dovrebbe raccogliere le varie esperienze. Ma proporremo anche un lavoro sul settantennale della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, sulla Convenzione Onu e sulle leggi razziali, oltre a studiare iniziative pubbliche in varie città». Per maggiori informazioni e adesioni mce-fimem.it

 

scuola e inclusioneLA LETTERA APERTA. Presentata durante l’incontro del 3 Settembre una lettera aperta (qui il testo completo) con cui Franco Lorenzoni, maestro elementare, tra i fondatori di Cenci-Casa Laboratorio, rievocando la Carta universale dei diritti dell’uomo nel suo 70mo anniversario, chiede agli insegnanti l’attivazione comune per una scuola che contribuisca alla costruzione di una società aperta. «Come educatore», scrive, «non posso accettare che una ragazza di Milano che ha il padre africano confessi a sua madre di aver paura a uscire di casa». «Il clima nel nostro paese», continua, «sta mutando a una velocità impressionante e credo che, per contrastare il veleno del razzismo, noi insegnanti siamo chiamati a ripensare in modo radicale il nostro ruolo». In una scuola, come sottolinea Lorenzoni, abitata da spinte divergenti, luogo pubblico di maggiore accoglienza e integrazione dei figli degli immigrati che, d’altro canto, tollera ancora piccole e grandi discriminazioni inaccettabili, «giorno dopo giorno, spesso a fatica, in decine e decine di migliaia cerchiamo di trasformare le nostre classi in piccole comunità aperte, capaci di non escludere nessuno. Gli esiti sono contraddittori e disuguali e non sempre ne abbiamo la consapevolezza necessaria. Per questo dobbiamo moltiplicare le occasioni per incontrarci, cooperare, studiare e progettare una scuola all’altezza dei compiti dell’oggi». Chi ha l’arduo e decisivo compito di essere educatore oggi, per Lorenzoni, è chiamato «a dimostrare che l’inevitabile società multietnica e multiculturale in cui viviamo e sempre più vivremo, può essere più ricca, stimolante e aperta al futuro, dunque più vivibile e sicura, di una società chiusa in se stessa, impaurita e rancorosa». Per Lorenzoni la scuola non può che essere il fulcro di un processo che può essere solo condiviso, «perché è qui che compiamo la nostra prima alfabetizzazione alla compresenza ed è qui che possiamo elaborare un convinto e convincente elogio della disomogeneità, impegnandoci a dimostrare che tra diversi si impara meglio, anche se all’inizio può apparire più difficile».

 

#LEARNMOREABOUTAFRICA. È questo il nome della proposta arrivata da una rete di scuole laziali impegnate negli ultimi anni sui temi dell’interculturalità di lavorare nelle scuole per favorire una maggior conoscenza dell’Africa. Una mozione ai Collegi Docenti presentata anche durante l’incontro che propone «per il prossimo anno scolastico di inserire nel PTOF e nei curricoli di studio di tutte le discipline il “punto di vista dell’Africa”», non solo, quindi, progetti didattici specifici, ma soprattutto l’inserimento, nella didattica ordinaria, di una nuova prospettiva, orientata a studiare le relazioni tra l’Africa e l’Occidente. La scuola, come la mozione sottolinea, «può svolgere un ruolo importante, contribuendo a dissipare i pregiudizi e la disinformazione che avvolgono l’Africa e la sua storia; a sviluppare una maggiore consapevolezza delle cause che sono all’origine dei fenomeni migratori e demografici dei nostri giorni; a mettere in luce la prospettiva di un possibile modello di sviluppo solidale, nell’interesse comune dei popoli». Negli obiettivi futuri l’istituzione di un network tra le scuole che aderiranno «per raccogliere, condividere e diffondere le esperienze didattiche che si svilupperanno e segnalare eventuali risorse e competenze specifiche disponibili». Per aderire occorre compilare un modulo online. 

 

scuola e inclusioneL’USO DELLE PAROLE. «Dobbiamo compiere scelte radicali, diminuendo la quantità di contenuti e aumentando i momenti di ricerca e di approfondimento, verificando e dando peso ai dati e prendendoci cura delle parole che usiamo, all’opposto di ciò che prevalentemente si fa oggi nella società e nei media» scrive Franco Lorenzoni nella sua lettera aperta. Prenderci cura delle parole che usiamo. E attraverso la cura , la scelta oculata della parola cambiare la sensibilità comune. Perché quel che ribadisce anche Cavinato è vero, i bambini non nascono razzisti, ma «se sono esposti da subito ad una comunicazione violenta interiorizzano quel tipo di messaggi, gestualità, tonalità della voce, sottolineature», spiega Cavinato. C’è una fase in cui i bambini costruiscono categorie mentali «che non sono legate al singolo oggetto, devono essere il più ampie possibili e comprendere più realtà, perché, se sono categorie limitate e limitative, si trasformano in stereotipi che evolvono verso il pregiudizio». Per il responsabile nazionale Mce è fondamentale ampliare la percezione, non limitare, uscire dall’etnocentrismo culturale. «Ma questo lo può fare un’educazione antropologica, alla pace, un’educazione linguistica che curi molto il rapporto con la parola e l’attribuzione di significati, non dati una volta per tutti, ma convenzionati, negoziati. Lo può fare solo un gruppo classe che discute, si confronta, mette in dubbio le interpretazioni possibili». Un gruppo classe aperto.

 

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