“THE BIRTH OF A NATION”, IL FILM CHE CHIUDE L’ERA OBAMA
Racconta la storia di uno schiavo nell’America dell’Ottocento: prima predicatore, poi leader della rivolta. Una riflessione sull’uso dei testi religiosi per i propri fini
16 Dicembre 2016
Nat, il protagonista di The Birth Of A Nation, il film di Nate Parker nelle sale dal 14 dicembre, è uno schiavo nelle piantagioni del sud degli Stati Uniti nei primi anni del Novecento. Ha un dono: sa leggere. E comincia a leggere il “libro più bello del mondo”, la Bibbia. Diventa presto un predicatore, trova una moglie bellissima, viene trattato quasi come un amico del padrone, Sam, con cui giocava da bambino. E fa la sua fortuna, andando a predicare – a pagamento – per gli altri padroni. Usa le parole di Dio per tenere buoni gli altri schiavi, consolarli, non farli ribellare. La ricompensa sarà nel regno dei cieli, non su questa terra. Le cose però precipitano. Sam cede sempre più all’alcool, gli affari vanno male. Accade un fatto che fa cambiare prospettiva a Nat. E allora comincia a interpretate le parole di Dio come un invito alla rivolta. Sarà sanguinosa, ma lascerà un segno.
The Birth Of A Nation è un film poco coraggioso nella forma, e molto, forse troppo, nella sostanza. Nel primo caso si muove su binari piuttosto consolidati per un certo cinema americano, un po’ come faceva “12 anni schiavo”, e sa esattamente come muoversi per toccare i tasti giusti per commuovere e indignare a ogni mossa. Colpisce a tradimento, partendo come una favola e finendo come un western, spingendo troppo sul tasto della violenza e stridendo con il tono in cui aveva cominciato.
Dal punto di vista della sostanza rischia di essere pericoloso, in tempi come questi, per come incita alla rivolta violenta. In questo senso è agli antipodi del messaggio di Martin Luther King, della rivolta pacifica e non sanguinosa.
È molto interessante, e attualissimo, invece, il discorso su come la religione, e le scritture, possano essere lette ogni volta in modo diverso a seconda di quello che si vuole ottenere. È questo aspetto, più di ogni altro, che ci fa riflettere dal film. Che chiude in un certo senso l’era Obama, due quadrienni in cui il discorso sull’uguaglianza e la parità dei diritti è entrato sempre più nell’agenda di Hollywood. E apre la corsa all’Oscar, dove film come questo sembrano fatti apposta per concorrere. Magari con i migliori attori. Nate Parker che scrive, dirige, e fa il protagonista, è una rivelazione. Fiero, intenso, potente, può diventare il nuovo Jamie Foxx.