UN REGISTRO PER LA TRASPARENZA DEL TERZO SETTORE

È previsto nella Riforma e Transparency International Italia ne sostiene l'utilità

di Paolo Marelli

Solidarietà e legalità. Altruismo e uso corretto delle risorse. Gratuità e capacità di farsi “misurare” dai cittadini e verificare l’impatto delle proprie iniziative sui territori. In una sola parola: trasparenza. Eccolo uno dei pilastri della riforma del Terzo settore. La nuova legge affronta il tema del diritto all’informazione sugli enti non profit all’articolo 4, con il comma “g” che sancisce «gli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e d’informazione nei confronti degli associati, dei lavoratori e dei terzi, differenziati anche in ragione della dimensione economica dell’attività svolta e dell’impiego di risorse pubbliche». Ma secondo Trasparency International Italia, l’associazione non governativa che dal 1996 è impegnata nella sfida sulla trasparenza per combattere la corruzione nel nostro Paese, adesso il Governo non dovrebbe fermarsi. Piuttosto dovrebbe mobilitarsi con una iniziativa concreta, per passare dalle parole ai fatti, allo scopo di assicurare davvero una maggiore chiarezza e comprensibilità dell’attività degli enti del Terzo settore.

Trasparenza del terzo settore: il diritto&dovere di sapere è di tutti

Per Trasparency International, il nuovo passo in avanti da fare è la creazione di una sorta di registro nazionale online, di una piattaforma web istituzionale a cui ciascuna realtà del non profit dichiari, in sostanza, chi è, cosa fa e come si finanzia, affinché tutti i cittadini possano avere accesso a un ampio ventaglio di informazioni riguardanti ogni singola associazione.
trasparenza del terzo settore«Solo così crescerà, in generale in Italia e, in particolare, nel Terzo settore una cultura della trasparenza. Perché il diritto&dovere di sapere è di tutti», sintetizzano da Trasparency.
Il problema della trasparenza nel non profit è tornato prepotentemente alla ribalta dopo lo scoppio dello scandalo di “Mafia Capitale”, il nome con cui è stata indicata una presunta associazione per delinquere di tipo mafioso-politico-imprenditoriale che operava a Roma, che è culminata nel 2014 con una serie di arresti dell’operazione “Mondo di Mezzo” e che coinvolgerebbe anche alcune realtà del Terzo settore impegnate nella gestione di centri di accoglienza.
Al di là del caso di Roma, occorre segnalare che non mancano anche in altre città e zone della Penisola, ieri come oggi, altri episodi di criminalità che vedono coinvolte realtà del non profit. Casi singoli, casi isolati però. Piccoli rami “malati” del grande e sano albero della solidarietà che ogni giorno dal Nord al Sud vede centinaia di migliaia di persone impegnate a rispondere a numerosi e differenti bisogni.
«In questo scenario, l’iniziativa di una maggiore trasparenza da parte della nuova legge è comunque benvenuta». Anche se Trasparency non nasconde che «quello della poca trasparenza è un problema che riscontriamo tanto nella pubblica amministrazione quanto nel non profit». E, in particolare nel Terzo settore, «la trasparenza è più predicata che praticata». Un quadro in chiaroscuro, dove le ombre superano le luci qualora si faccia un paragone con le realtà straniere: «Oltremanica, per esempio, esiste un portale, su iniziativa del governo di Londra, la cosiddetta Charity Commission, che raccoglie tutte le associazioni non profit dell’Inghilterra e del Galles. In quella piattaforma online si trovano informazioni e infografiche sul loro bilancio, su quanto spendono per l’amministrazione, sulle attività dell’associazione, su quali sono le persone nel board, sugli obiettivi dell’associazione e sul proprio statuto e addirittura si trovano i compensi dei dirigenti». Un modello da esportare, insomma. Tanto che non hanno dubbi a Trasparency Italia: «Questo è un esempio da imitare anche per il nostro Paese».
Ciò che servirebbe anche da noi per rispondere al bisogno di più diffusa trasparenza è «un portale istituzionale in cui le informazioni siano visualizzate in maniera omogenea per tutti quanti le vogliano conoscere. Anche con infografiche leggibili e chiare. Inoltre sarebbe bello innescare una sorta di competizione fra le associazioni sulla trasparenza». Anche perché in Italia ci sono numerosi elementi di debolezza: «Non c’è quasi mai un bilancio online degli enti non profit. Oppure se c’è, non è facilmente leggibile. Così come non è facile capire chi sono i finanziatori di una realtà del Terzo settore. E poi manca spesso l’organigramma: chi sono i membri del board, da quanto tempo sono in carica, qual è il loro curriculum. Tutti quesiti troppo spesso senza risposta. Sono assenti anche le dichiarazioni di eventuali conflitti di interesse, con persone che ricoprono ruoli in decine di associazioni oppure con legami con il settore pubblico. Favoritismo e conflitto di interesse, si sa, sono da sempre due mali da combattere». Allo stesso modo, «è importante che siano sempre indicati i finanziatori, meglio se per ogni progetto».

Accessibilità, snellimento, modernizzazione

Altro passaggio chiave è quello relativo a lobbing e non profit. Spiegano da Trasparency: «Gli enti del Terzo settore, spesso, incontrano politici o rappresentanti della pubblica amministrazione per portare avanti alcune leggi o per imprimere un’accelerata.

trasparenza del terzo settore

E anche se in Italia non c’è ancora l’obbligo di iscriversi a una lista di rappresentanti di interessi, un’iniziativa che potrebbe provenire dalla società civile sarebbe quella di pubblicare un’agenda degli incontri che si fanno. Pure questa è una faccia della trasparenza. Occorrerebbe pubblicare online sia il calendario degli appuntamenti che il loro contenuto. Ciò servirebbe inoltre a misurare l’influenza che il non profit ha. Certamente è un’iniziativa avanguardistica per il nostro Paese. Ma all’estero esiste già».
Se si guarda oltreconfine, non si può non tener conto che il Freedom of International Act (Foia) negli Stati Uniti esiste da mezzo secolo, in Svezia addirittura dal 1766 seppur in forma primitiva. In Italia siamo arrivati per ultimi. Ma adesso, finalmente, anche da noi c’è la possibilità per qualunque cittadino, a prescindere da un interesse diretto, quindi senza doverlo giustificare, di richiedere alla pubblica amministrazione dati e documenti.
Un passo importante (anche se non mancano le critiche) dal controllo sociale di 60 milioni di italiani sull’azione pubblica, un’arma in più contro la zona grigia di illeciti e sprechi, per un’amministrazione che sia come una “casa di vetro”, tanto cara a Filippo Turati, oppure “aspirazione a una democrazia intesa come regime dei poteri visibili” come invece sosteneva Norberto Bobbio.
In Italia la trasparenza, però, continua a fare a pugni quotidianamente con la burocrazia. Un ostacolo enorme, secondo Trasparency. Ma come rimuoverlo? «Di sicuro, se ci fosse una maggiore digitalizzazione la strada sarebbe meno complicata e più semplice. Non più una montagna di documenti scannerizzati e salvati, ma documenti in formato pdf, caricati direttamente online su una piattaforma elettronica. Così sarebbe più facile averne accesso, perché sarebbero più omogenei. Parola d’ordine: accessibilità più veloce e maggiore facilità di lettura. In altre parole, snellimento e modernizzazione della pubblica amministrazione, così come per gli enti del Terzo settore che potrebbero “aprire” a tutte le informazioni, anche a quelle sensibili, ma a patto che ci sia il dovuto consenso».

La trasparenza è più un diritto o un dovere?

«Dovrebbe essere vissuto come un dovere degli enti pubblici e un diritto che devono offrire ai cittadini e a tutti i potenziali fruitori», rispondono da Trasparency. E fanno notare che «”Accountability” è il termine esatto, con gli enti che dovrebbero sentirsi più accountable verso i beneficiari. Di qui, l’importanza di pubblicare tutte le informazioni.
trasparenza del terzo settoreUn’operazione che può essere un vantaggio e un beneficio soprattutto per gli enti pubblici, in quanto può stimolare fiducia ed efficienza. Ma sarebbe utile anche per gli enti non profit, in quanto li spingerebbe a migliorare. Per esempio un’associazione, a volte, nemmeno ci pensa al fatto che i propri membri del board sono in carica da anni senza un ricambio. E in taluni casi questo può rivelarsi un problema, ma si comincia a rifletterci sopra soltanto quando lo si vede messo nero su bianco». Inoltre la trasparenza potrebbe essere una leva per accrescere il fund raising: «Potrebbe stimolare una maggiore fiducia nei donatori e negli stakeholders. Perché non manca il pessimismo, soprattutto quando emergono alcuni scandali. Dopotutto è normale che la gente si chieda dove vanno a finire i propri soldi», rimarcano da Trasparency. Senza trascurare il fatto che gli enti del Terzo settore dovrebbero dire “no” a un finanziatore unico: «Le organizzazioni di volontariato e gli altri enti non profit dovrebbero dotarsi anche di una policy interna che indichi i limiti delle donazioni. Altrettanto cruciale sarebbe che un’associazione fissasse un tetto alle donazioni ricevute da uno stesso finanziatore. Perché, altrimenti, si rischia di non essere più indipendenti».
Concludono: «È raro invece che le associazioni non profit ci chiamino per approfondire questi temi. Così come che ci contattino per organizzare internamente la propria policy sulla trasparenza. Semmai ci interpellano per rispondere ad alcuni quesiti necessari per prendere parte a un progetto. Purtroppo di trasparenza si parla sempre di più, ma si fa ancora troppo poco. Speriamo che questa nuova legge serva a dare una scossa a tutto il non profit».

UN REGISTRO PER LA TRASPARENZA DEL TERZO SETTORE

UN REGISTRO PER LA TRASPARENZA DEL TERZO SETTORE