VALE LA PENA: LA SECONDA OCCASIONE HA IL GUSTO FRESCO DI UNA BIRRA
In via Eurialo 22, a Roma, apre “Vale la pena”, che è un pub, ma anche un marchio di birra. Che reinserisce al lavoro i detenuti
27 Luglio 2018
Si chiama RecuperAle e potete leggere questo nome come vi pare. All’inglese, perché è un tipo di birra molto particolare, una Pale Ale. Oppure all’italiana, “recuperale”, perché è nata recuperando il pane raffermo, che altrimenti andrebbe buttato. E perché è inserita in un progetto che recupera delle persone in difficoltà e le riporta al lavoro, e alla vita.
In questo nome c’è tutto il senso del lavoro dell’associazione Semi di libertà Onlus che, da quattro anni, ha deciso di puntare sul riscatto dei detenuti e degli ex detenuti, e dare vita a qualcosa che possa dare loro un lavoro. Perché nella nostra Costituzione c’è un articolo, l’Art. 21, che dice che «le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato», ma spesso questa rieducazione rimane solo sulla carta. Semi di libertà ha deciso di fondare prima un birrificio, e una linea di birre dal nome “Vale la pena” (sono in vendita da Eataly). E poi di dare vita a un pub, in apertura proprio in questi giorni, dallo stesso nome: si trova in Via Eurialo 22, nel quartiere San Giovanni, a Roma.
Ora le birre potrete gustarle anche lì. E farete in modo di assicurare un futuro anche a questi ragazzi. Abbiamo parlato con Paolo Strano, presidente di Semi di libertà, per capire da dove sia nata, prima ancora dell’idea del pub, la voglia di puntare su questi ragazzi, e dare loro un’altra possibilità. «Tutto nasce da un’esperienza diretta» ci ha raccontato.
«Ho sempre lavorato nel servizio sanitario nazionale, nell’ortopedia. A un certo punto sono andato a lavorare a Regina Coeli, ho scelto di dedicare parte del mio orario di lavoro al carcere: ho scoperto un mondo. È un universo sconosciuto, dal punto di vista politico è un tema assolutamente impopolare. O non se ne parla, o lo cavalcano in maniera negativa. E mi è rimasto appiccicato addosso». Semi di libertà punta molto sugli eventi proprio per far conoscere, oltre al proprio prodotto, il progetto e gli individui che ne fanno parte.
«Quando le persone vengono agli eventi conoscono i ragazzi con cui lavoriamo, vedono che c’è qualcuno che si sacrifica, lavora, lavorando paga le tasse. Lì cade il pregiudizio. E comincia la conoscenza». «Il carcere è un universo dove c’è tutto» continua. «Tra le altre cose trovi tanta violenza, tanto dolore. E tante potenzialità, persone in gamba molto dotate che crescendo in determinati contesti prendono una brutta deriva». Ma il problema più grande è forse quello della recidiva, il fatto di tornare a delinquere perché non si trova un’altra possibilità per vivere. «Incontri persone alla quarta o quinta esperienza detentiva, persone che entrano ed escono continuamente dal carcere» ci racconta Strano. Nonostante quell’articolo 27 della Costituzione. «La pena ha solo una funzione afflittiva» riflette. «E questa è una delle cose che fa sì che ci sia la recidiva, essendoci raramente una rieducazione».
A TUTTA BIRRA. L’associazione Semi di libertà viene fondata nel gennaio del 2013, e il progetto “Vale la pena” parte nel 2014. Dopo un’attenta valutazione, si decide di puntare decisi sulla birra artigianale. «La birra è un elemento conviviale, facilita la conversazione, un certo tipo di clima, scambi di opinioni che possono avvenire nel pub, o anche negli eventi» ci spiega Paolo Strano. «Per diffondere i nostri temi la conversazione ha un valore importante. Ma il primo ragionamento è stato molto più prosaico, la sostenibilità economica: serviva qualcosa che si sostenesse da solo. Abbiamo iniziato nel momento di massima crisi ed è stato abbastanza complicato, perché nessuno di noi era imprenditore. Abbiamo fatto un po’ di ricerche, e la birra artigianale è stata l’idea che ci convinceva di più. Non ci voleva un impegno esagerato, e ci siamo concentrati subito su questo settore».
Il progetto è nato da subito come formativo: si trattava di fare formazione ai detenuti, e ai ragazzi dell’istituto agrario dove si trova il birrificio. «Lo scambio di esperienze è unidirezionale, da parte dei detenuti nei confronti dei ragazzi» ci spiega Strano. «Nella prima fase del progetto c’era anche uno psicologo: i ragazzi hanno il mito del criminale, alimentato da film e serie televisive che fanno vedere il carcere come una cosa da maschi, quasi da mettere in curriculum. Il risultato di questo scambio è stato eccezionale: passata la prima fase, in cui i ragazzi sono attratti come le mosche dai detenuti, capiscono quanto sia facile sbagliare, e quanto difficile tornare indietro, quanto è brutto il carcere. Lo psicologo ha fatto test d’ingresso e di uscita ai ragazzi su questi temi e con risultati interessanti. Le ragazze invece sono molto giustizialiste, e ci sono stati momenti di tensione».
LA SECONDA OCCASIONE. Il pub “Vale la pena” aprirà proprio in questi giorni. Darà lavoro a due detenuti e un ex detenuto. «Due ragazzi sono in semilibertà, uno torna a Rebibbia la sera, un altro è ai domiciliari» ci racconta il presidente di Semi di libertà. «Verranno assunti dal pub e contrattualizzati, ora lavorano al birrificio e lasceranno liberi due posti che riempiremo in un nanosecondo. Ci scrivono da tutta Italia per lavorare con noi, perché in Italia sono pochissimi quelli che danno una seconda occasione. Ci sono un discreto numero di iniziative dentro il carcere, ma fuori poche. Il problema è che in carcere si creano modi di sostentamento, si fa formazione ma, se quando i ragazzi escono non c’è una rete immediata, si perdono in un attimo. Se anche sei formato, con quel curriculum, è umano che tra due persone si scelga chi non è stato in galera. Abbiamo in animo di costruire una camera di compensazione, un percorso che inizi in carcere, con la formazione, ma che realizzi una rete immediata di accoglienza fuori, anche per fornire un posto dove dormire a chi esce dal carcere».
RECUPERALE E SENTITE LIBBERO. È un progetto che va sostenuto, non solo per il suo valore sociale. Ma anche perché la birra è buona. «Il progetto formativo ha suscitato interesse e abbiamo arruolato i più grandi birrai italiani» ci spiega Paolo Strano.
«Per noi è stato fondamentale, hanno fatto una formazione di alto livello, e ci hanno donato delle ricette. E così è nata una gamma di birre notevolissime da birrai con grande esperienza». «Non volevamo che la gente acquistasse questi prodotti per pietismo, sarebbe stata un’operazione che altrimenti avrebbe avuto le gambe corte» continua. «Se la compri per curiosità, per un tema che ti sta a cuore, e poi il prodotto è scadente non lo compri più». Tra i prodotti più interessanti di “Vale la pena” c’è la RecuperAle, nata dall’incontro con la onlus Equoevento, che recupera cibo di qualità da grandi eventi. «Ci siamo uniti a loro e, con il pane avanzato, creiamo una birra ad alta fermentazione, una Pale Ale» ci racconta Strano. «Per fare la birra puoi utilizzare tante cose: la cicoria, la frutta. Stiamo sviluppando al massimo questo tema: cercare sempre di più di fare birra con il cibo che viene sprecato. Per noi è fondamentale la comunicazione di questi temi”. Tra queste birre c’è appunto la Saison d’Hiver Sentite libbero, amaricata con le cicorie spontanee da agricoltura sociale. «È come si faceva la birra prima della scoperta del luppolo, che è entrato nella produzione della birra nel 1200-1300» ci svela il presidente.
L’ECONOMIA CARCERARIA. Il pub vuole dare un messaggio preciso, ed evoca immediatamente la struttura del carcere. «Il sistema di spillatura è costruito con delle sbarre che si piegano» ci racconta Strano. «E ci si siede in una sorta di celle, con delle panche e delle sbarre». Ma “Vale la pena” non sarà solo un pub, sarà anche un punto di vendita dell’economia carceraria. «Stiamo mettendo su una piattaforma» ci racconta il presidente di Semi di libertà. «Abbiamo fatto un festival dell’economia carceraria alla Città dell’Altra Economia, a Roma. È stato un successo, sia a livello di partecipazione che di interesse delle istituzioni». Tra i prodotti che si trovano nel pub ci sono il Caffè Galeotto, prodotto nella torrefazione di Rebibbia, i taralli di un progetto pugliese, la pasta di un progetto siciliano, nato nel carcere dell’Ucciardone, a Palermo. Nei paesi di lingua tedesca, per brindare con una bella birra, si dice “Prosit”. È una parola che nasce da latino e che significa “buon pro”. E allora che questa birra buon pro faccia a questi ragazzi. È un augurio sincero.
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