VIOLENZA SULLE DONNE: C’È TUTTI I GIORNI NON SOLO QUANDO FA VENDERE I GIORNALI
Il caso di Firenze lo conferma: la violenza sulle donne fa notizia. Ma oltre il fatto di cronaca servono impegno quotidiano e risposte concrete e risorse certe dalle istituzioni
13 Settembre 2017
«Ogni giorno giornali, radio, tv, siti dovrebbero parlare delle violenze che milioni di donne subiscono all’interno dei contesti domestici. Su questo non c’è mai la giusta attenzione, mentre l’evento fa notizia perché può essere strumentalizzato in vari modi: questa è la nostra più grande rivendicazione» dice Lella Palladino, consigliera dell’associazione D.i.Re e Presidente della Cooperativa E.V.A.
Per quanto riguarda i recenti fatti di cronaca – l’ultimo è il presunto stupro a Firenze ai danni di due ragazze americane da parte di due carabinieri – «emerge una doppia morale dalla narrazione dei media e dalle considerazioni dell’opinione pubblica. Le ragazze uscivano da un locale di notte, avevano bevuto e fumato, quindi la loro parola è messa in dubbio. In caso, questa loro condizione di fragilità costituirebbe un’aggravante.
Si insinua che avrebbero denunciato lo stupro per riscuotere il premio di un’assicurazione contro la violenza sessuale stipulata negli Usa, ignorando che lì tutte le assicurazioni private risarciscono lo stupro. È fondamentale che si parli di violenza sessuale nel modo corretto, non dando l’idea che possano esserci “giustificazioni” allo stupro e fornendo sempre informazioni riguardanti le possibilità che hanno le donne nel nostro paese di tutelarsi, difendersi, rifugiarsi».
Puntare sulla prevenzione. Per combattere la violenza sulle donne è importante fare prevenzione e far conoscere a tutti l’esistenza dei centri anti violenza. «Bisogna prima di tutto fare una distinzione tra centri anti violenza e realtà che sono nate sull’onda dell’attenzione mediatica e sulla falsa aspettativa delle attese risorse economiche.
Ci teniamo a partire da una definizione corretta di centro anti violenza, che non è qualsiasi servizio o intervento gestito da enti che fanno anche altro, né uno sportello aperto nelle parrocchie o nei sindacati: è un luogo gestito da un’organizzazione di donne femministe, con un approccio di genere, che lavora secondo una metodologia acclarata dei centri anti violenza, attivi da 30 anni in Europa.
Si tratta di spazi autonomi di donne il cui obiettivo principale è attivare processi di trasformazione culturale e intervenire sulle dinamiche strutturali da cui ha origine la violenza sulle donne.
Le strutture accolgono – a titolo gratuito – le donne di tutte le età ed i loro figli minorenni, che hanno subito violenza o che si trovano esposti alla minaccia di ogni forma di violenza, indipendentemente dal luogo di residenza, sostengono i percorsi di fuoriuscita dalla violenza, intervengono sulla formazione e la prevenzione sensibilizzando il territorio e strutturando reti», spiega Lella Palladino.
L’associazione D.i.Re. È formata da una rete di 80 realtà organizzative che gestiscono più di un centinaio di centri anti violenza e case rifugio, distribuiti in maniera disomogenea sul territorio nazionale: sono presenti in 18 regioni, ma al Centro Nord si registra il maggior numero di strutture, al sud e nelle isole si fa più fatica, il sistema di welfare non è mai decollato e sono presenti difficoltà economiche aggiuntive. «Per noi è importante distinguere tra chi lavora esclusivamente su questo tema con le giuste competenze e offre risposte utili alle donne, e chi invece si improvvisa, facendo spesso un lavoro non solo inutile ma anche dannoso e controproducente: è fondamentale che una donna abbia, al primo colloquio con queste strutture, totale fiducia nell’interlocutore», continua Palladino.
Nei centri della rete D.i.Re sono presenti, oltre alle volontarie, operatrici con una formazione politica e operativa specifica, con profili diversi in area giuridica, sociale, educativa, psicologica ed in altre. «Le figure professionali hanno responsabilità particolari, a livello istituzionale, sono previste 25 ore di lavoro a settimana, reperibilità 24 ore su 24 e disponibilità all’accoglienza, a fronte di risorse economiche che non coprono le spese. I Centri hanno, più di prima, grandi difficoltà ad attingere ai finanziamenti perché sono sempre pochi e perché è capitato negli ultimi anni che siano stati intercettati da forti strutture con relazioni politiche diverse, accaparrandosi quei pochi fondi disponibili».
Tra progressi e criticità. «Alla situazione estremamente critica dobbiamo rispondere con grande impegno e senso di responsabilità. Da parte delle istituzioni locali e centrali non c’è una risposta concreta, di fatto, oltre alle dichiarazioni di interesse. Nell’ultimo anno, noi di D.i.Re abbiamo partecipato a tutto il processo di concertazione, siamo presenti neIl’Osservatorio nazionale contro la violenza. La settimana scorsa Maria Elena Boschi ha presentato, ad un gruppo riunito di cabina di regia ed Osservatorio, sia il piano strategico sia le linee guida per il pronto soccorso.
Abbiamo partecipato ai documenti, nei quali sono presenti alcune nostre richieste, che recepiscono la Convenzione di Istanbul: da un punto di vista del linguaggio, politico e strategico sono positivi, ma tra i grandi problemi che abbiamo riscontrato (e che ci riserviamo di segnalare) il primo è la scarsità di risorse per realizzare tutto il programma: finirà per essere una reclamazione di intenti. Non vediamo la possibilità di renderlo attuativo, i Centri Antiviolenza sono valorizzati come competenza, ma sono ancora una volta esclusi da tutti i nodi decisionali, non siamo presenti né nella cabina di regia nazionale né a quella che analogamente si costituisce a livello regionale.
Ci chiameranno, come al solito, per la presa in carico dei percorsi, per l’aiuto alle donne, per fornire indicazioni tecniche, ma non decideremo noi quali saranno le politiche che a livello nazionale e regionale saranno attivate per la prevenzione e il contrasto alla violenza reale contro le donne. Inoltre il piano, che è un grande lavoro di mediazione tra l’Anci, le regioni, diversi ministeri e varie associazioni di donne che hanno lavorato a questo lavoro di concertazione, a tratti è un po’ confuso. Il lavoro deve migliorarsi. Constatiamo che il governo si sia impegnato quest’anno a lavorare, anche concertando, ma sul risultato di mediazione abbiamo una serie di dubbi, come già detto il problema principale è che i fondi sono pochi e finiranno probabilmente nelle mani sbagliate».
La mappatura nazionale dei Centri Antiviolenza è in corso, il governo l’ha affidata al Cnr, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, e tutta la documentazione è al vaglio della Corte dei Conti, non possono ancora partire le attività di monitoraggio.
Non solo centri anti violenza. «Siamo d’accordo che bisogna insistere sulla prevenzione e che la violenza sulle donne sia un problema maschile, quindi che è sugli uomini che bisogna lavorare. Riteniamo che il lavoro da fare sia un lavoro di consapevolezza, di un cambio di cultura, di registro, di strutturazione dell’identità di genere. Il nostro impegno, vicinanza ed interesse nei confronti dei Centri per uomini maltrattanti sono reali, ma siamo perplesse laddove si lavora con i sex offenders, gli uomini violenti che hanno già commesso reato: sappiamo che l’approccio è sempre della negazione dei loro agiti e dei reati commessi e della scarsa responsabilizzazione», afferma Lella Palladino. «Siamo convinte che questi uomini vadano in qualche modo presi in considerazione per prevedere le recidive, ci è capitato spesso che uomini dopo anni di carcere escano e compiano femminicidi.
Abbiamo delle perplessità anche sul fatto che le pochissime risorse disponibili potrebbero essere dirottate sui programmi per uomini maltrattanti. Abbiamo molta fiducia, ad esempio, nell’associazione Maschile Plurale perché è formata da persone competenti, hanno l’ottica giusta e ribadiscono sempre che le risorse che devono servire ai servizi degli uomini maltrattanti non debbano mai essere dirottate a loro dai centri anti violenza».