A VITERBO C’È IL GIARDINO PRIMAVERA, SPAZIO DI GIOCO E BUONE PRASSI
Il Giardino Primavera di Viterbo è un luogo a disposizione di associazioni, bambini, famiglie. Ispirato ai parchi Robinson, è uno sfondo da animare con attività di cura, integrazione, socializzazione
21 Aprile 2022
Alle porte di Viterbo è stato inaugurato il Giardino Primavera dei diritti naturali delle bambine e dei bambini. Al suo ingresso una mappa ci mostra l’area degli orti e dell’attrezzeria, un villaggio indiano Tepee, la casa sulla quercia, un labirinto di corde, il giardino di pietra e molto altro da scoprire; alla base un progetto educativo fondato su integrazione, bene comune e relazione diretta con l’ambiente naturale. Ma questi sono solo alcuni degli aspetti che lo caratterizzano.
L’idea del giardino nasce tre anni fa all’interno della Fattoria di Alice grazie ad una donazione da parte della famiglia Primavera, associata di Afesopsit (Associazione familiari e sostenitori sofferenti psichici della Tuscia) che gestisce al 50% la Fattoria di Alice. Da qui la decisione dell’associazione di creare un progetto che fosse in memoria di Rita Primavera ma anche utile per la comunità e l’organizzazione stessa.
Della sua storia e del suo significato abbiamo parlato con Umberto Cinalli, responsabile scientifico del giardino, educatore ambientale da trent’anni, chiamato dall’associazione a sviluppare un progetto innovativo rispetto ai giardini esistenti: «Dopo idee e confronti ho proposto questo spazio che riprende la filosofia dei parchi Robinson centroeuropei, in particolar modo tedeschi, dove i giardini sono fatti in modo che le persone abbiano un approccio sensoriale interattivo e dove è importante il protagonismo del fare e del prendersi cura oltre il contatto con gli elementi naturali. Qui non abbiamo dei laboratori. Questo è uno spazio aperto. Offriamo lo spazio perché tutti possano fare laboratori».
Chiunque può accedere?
«Il giardino è una sperimentazione educativa ed è completamente gratuito per fruitori singoli e gruppi di famiglie. Ciò che chiediamo è di rispettare le regole del giardino che sono all’ ingresso, regole per prendersi cura di ciò che ci circonda, sia dal punto di vista umano che fisico. Invece a gruppi più strutturati come scuole o associazioni che vogliono organizzare attività chiediamo un’offerta per la manutenzione e gestione del giardino e per sostenere le attività di integrazione lavorativa retribuita dei ragazzi in condizioni di fragilità dell’associazione».
L’integrazione è uno dei punti di forza di questo spazio?
«Le due facce dell’integrazione sono, da una parte, il coinvolgimento dei ragazzi dell’associazione nella gestione di questo spazio pubblico e dall’altra è mettere a disposizione lo stesso giardino Primavera per tutte quelle realtà organizzate e non, che vogliono portare avanti percorsi d’integrazione e socializzazione. Qui vengono già scuole che fanno sostegno per abilità diverse ed è strutturato per chi vuole fare progetti di integrazione sociale, dove integrazione significa non soltanto riabilitazione sociale, ma anche far convivere persone con bisogni diversi, soprattutto dopo il periodo che abbiamo vissuto. Quindi consideriamo i bisogni relazionali come bisogni di cui prendersi cura e rimettiamo al centro quelle abilità perse come lo stare insieme e a contatto con la natura. In questo interviene il gioco: le persone si trasformano quando ci stanno dentro – è inevitabile – e allora diventa divertimento, ma anche palestra di condivisione delle regole. Questo significa educare».
Quindi è anche scoprirsi nel mettersi in gioco?
«Il giardino Primavera, per come si presenta, facilita questo tipo di approccio: ci sono le installazioni che vedi, scopri e ti metti in gioco. Poi c’è la parte importante di proposta, di iniziativa da parte di chi vi partecipa. Come l’esperienza che stiamo facendo con un gruppo di famiglie che qui possono costruirsi uno spazio di socializzazione. Nel fare questo proponiamo loro di prendersi in parte cura del giardino, di sentirlo proprio con piccoli interventi simbolici come dipingere le sedie, fare un cartello piuttosto che pulire le vasche. Questo fa sì che si possano sentire parte del progetto con un po’ più di responsabilità piuttosto che semplici fruitori. Anche gli adulti, nel mettersi in gioco, riconquistano una certa elasticità, mentre i bambini si abituano ad essere attori attivi nella gestione del bene comune, nella relazione con gli altri e con lo spazio circostante, nella progettazione con le risorse che si hanno. Tutto ciò è una grande opportunità; il tutto gestendo una parte dell’attività in autonomia. Questo è un approccio montessoriano, ossia l’idea che non ci sia sempre il bisogno di costruire cose preconfezionate per i bambini come lezioni e corsi: qui vieni e fai quello che ti pare, se non vuoi fare niente va bene lo stesso. I parchi Robinson sono spazi da riempire come tu immagini liberamente e lo fai come vuoi».
Ci sono progetti con le scuole?
«Sono venute delle scuole che hanno proposto partenariati e progettualità. Il giardino è aperto per le scuole che vogliono venire e fare esperienza. Per esempio una scuola dell’infanzia di Viterbo ci ha proposto di creare un progetto in continuità con attività ripetute nell’arco del ciclo scolastico. Il giardino diventa uno sfondo integratore, ossia uno spazio a cui si fa costante riferimento come fosse un personaggio esterno alla scuola a cui si aggancia un tema o una sensibilità, o l’approfondimento di alcune prassi».
All’entrata un pannello elenca i diritti naturali delle bambine e dei bambini…
«Sì, sono i diritti naturali dei bambini proposti da Gianfranco Zavalloni, grande educatore, ricercatore e dirigente scolastico. Vanno dal diritto all’ozio, a quello di sporcarsi, al diritto agli odori, all’uso delle mani, al diritto al silenzio, al selvaggio, al dialogo, ad un buon inizio, alla strada e alle sfumature. All’entrata ne abbiamo riassunto l’essenza».
Ci sono progetti in cantiere per l’estate?
«Intanto completare il giardino con il lago della biodiversità, poi costruire la parte finale de Il Teatro del Noce dove poter fare spettacoli teatrali e mangiare all’aperto. Oltre le installazioni fisiche ci sono poi le proposte di interazione come lo spazio del costruire, ossia uno spazio lasciato libero dove verrà costruito il resto del giardino con capanne, castelli medievali, galeoni pirata… Tutta la parte che sarà costruita lì, verrà smontata e poi ricostruita».
E i teatranti chi saranno?
«Chiunque. Noi abbiamo fatto la casa, ora bisogna arredarla dal punto di vista delle prassi. Il giardino si deve riempire di esperienze come quella dei bambini, di associazioni che vengono e propongono attività. Al centro anche l’idea del prendersi cura declinata in altri modi: un esempio il progetto che stiamo portando avanti con la Lipu, alla quale abbiamo offerto delle voliere perché possano lasciare qui gli animali in convalescenza quando vengono raccolti e curati».