800MILA VOLONTARI PER IL PAESE PIÙ BELLO DEL MONDO
Il volontariato culturale è costituito da circa 800 mila persone, che difendono e divulgano i “gioielli” di casa nostra
05 Gennaio 2016
Questa analisi sul volontariato culturale è una sintesi dell’articolo “la carica degli 800mila. Difendono e divulgano i ‘gioielli’ di casa nostra”, uscito sul n. 2/2015 di “Vdossier”. Il testo completo, in .pdf è scaricabile qui.
Presidiano musei, chiese, siti archeologici, edifici storici e biblioteche. E anche: beni artistici, parchi e riserve naturali. Insieme alle attività di: eventi culturali, musicali e festival vari. Sono più di 800 mila i volontari impegnati nella cultura in Italia… Un esercito che si rimbocca le maniche forte della consapevole, poco teorizzata ma molto diffusa, che il patrimonio culturale sia un bene comune da salvaguardare e da divulgare. Che la sua tutela sia un fatto molto coinvolgente e motivante, oltre che necessario.
Consumi culturali in crescita
Soprattutto negli ultimi anni, davanti ai consistenti e continui tagli per sostenere i “tesori” e “gioielli” di casa nostra da parte di tutti i governi che si sono succeduti. Secondo un’analisi di Federculture, il bilancio del Mibact, il Ministero dei beni e attività culturali e turismo, oggi guidato da Dario Franceschini, è crollato del 36 per cento in dieci anni. Tanto che ora si investe un quarto, rispetto ai fondi erogati nel 1955, sessant’anni fa, e lo stanziamento per la cultura rappresenta solo lo 0,19 per cento della spesa pubblica. Eppure, stando a una recente ricerca del Censis, dal titolo “Ripartire dalla bellezza”, quattro italiani su dieci (il 41,3 per cento) crede che il principale motivo di speranza e di crescita per il futuro stia nel fatto che il nostro sia il Paese più bello al mondo, una nazione ricca di un patrimonio storico artistico unico e incomparabile.
È sufficiente ricordare che in Italia ci sono 4.200 musei e 2.000 siti archeologici. E non è un caso che alcuni recenti studi confermino che il consumo culturale lungo la Penisola sia aumentato in modo significativo negli ultimi dieci anni, nonostante la crisi economica. Infatti gli italiani nel 2011 per la cultura hanno sborsato 71 miliardi di euro, una voce in continuo aumento (più 7,2 per cento dal 2008 al 2011). Un’altra recente ricerca, “L’Italia che verrà. Industria culturale, made in Italy e territori” e realizzata da Symbola (Fondazione per le qualità italiane), quantifica il valore delle industrie culturali e ricreative nel 5,4 per cento del Pil italiano, con 400 mila imprese attive e 1,4 milioni di occupati. Se si include tutta la filiera, si arriva a un italiano su cinque che già oggi di cultura vive e mangia.
Un volontariato innovativo
Ma in un orizzonte così vasto c’è spazio pure per il non profit. E anche se sull’impegno dei volontari nella cultura non ci sono indagini statistiche ad hoc e aggiornate a livello nazionale, esistono tuttavia delle ricerche regionali o locali che fotografano un fenomeno in progressiva e costante diffusione (“Il volontariato nei luoghi della cultura” Cesvot e Promo Pa Fondazione, 2012; “Indagine sull’associazionismo del volontariato culturale in provincia di Torino”, Idea Solidale e Arci, 2004; “Il volontariato culturale nel divenire della cultura”, Univoca, 2010). Nel complesso, però, possiamo osservare che il volontariato legato al bello e alla cultura si attesta attorno al 12 per cento del totale, con una funzione essenzialmente orientata all’innovazione, alla coesione sociale, all’individuazione di nuovi bisogni e alla capacità di reinterpretarli. Sono volontari tanti pensionati ma anche parecchi giovani. E, in particolare per questi ultimi, il volontariato culturale è diventato una chiave d’ingresso nel mondo del lavoro. Inoltre il ricorso ai volontari potrebbe essere anche una strada per alzare il ritorno commerciale del patrimonio storico artistico che in Italia si ferma a 21 milioni di euro, mentre, per esempio, in Francia – con un terzo dei nostri siti – è tre volte più alto.
Secondo il quarto rapporto biennale sul volontariato, redatto dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, per il 5,7 per cento delle organizzazioni di volontariato la tutela dei beni culturali è l’attività prevalente, mentre le organizzazioni di volontariato attive nel settore, in alcune zone d’Italia, in particolare al Nord, hanno raggiunto punte del 16 per cento. C’è anche da evidenziare che, stando a un dato reso noto nel libro “Azione Popolare” di Salvatore Settis, archeologo, storico dell’arte ed ex direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, si stima che in Italia ci siano 15 mila comitati di cittadini attivi (quindi associazioni a tempo con obiettivi mirati), impegnati in prima linea nella difesa di «contesti naturali o artistici a rischio»: soltanto nel piccolo Molise sono oltre 130 quelli scesi in campo nella tutela del paesaggio dall’invasione delle pale eoliche. Sempre rimanendo ancorati ai numeri, c’è da rimarcare che la Federazione italiana degli Amici dei musei annovera almeno 50 mila volontari. E che il volontariato archeologico, con oltre 5 mila associazioni attive, coinvolge 16 mila volontari, di cui sei su dieci (il 60 per cento) con meno di trent’anni di età.
Enti e iniziative, la penisola si attiva
Non solo numeri però, perché una fotografia di questo segmento del Terzo settore comprende pure enti e iniziative (l’elenco qui sotto è ovviamente parziale e serve da esempio) che hanno scritto e stanno ancora scrivendo pagine importanti del non profit culturale in Italia negli ultimi anni.
A cominciare dal progetto “Aperti per voi” avviato dal Touring Club Italiano. Con questo progetto, in dieci anni (2005-2015) 6,2 milioni di persone hanno visitato uno dei sessantotto luoghi aperti grazie all’impegno dei suoi duemila volontari. Per continuare, sempre a Milano, con il Museo della Scienza e della Tecnologia (il più visitato della città) che coinvolge oltre 70 volontari che coprono funzioni importanti; così come sono i volontari a tenere in piedi il Museo Diocesano.
Allargando il raggio del cerchio, meritano una citazione anche le giornate di primavera del Fai (Fondo italiano per l’ambiente) che, nell’ultima edizione nel 2015 (la numero 23) hanno mobilitato sette mila volontari e 25 mila apprendisti ciceroni per aprire al pubblico 780 beni e luoghi d’Italia, che altrimenti sarebbero stati negati ai visitatori…
Così come non si può dimenticare Italia Nostra, la prima associazione italiana impegnata nel volontariato culturale, che con i suoi tremila volontari porta avanti la sua attività di tutela del patrimonio storico, artistico e naturale dell’Italia sia sul fronte della valorizzazione che della difesa anche attraverso azioni legali tese a garantire il rispetto delle leggi che tutelano patrimonio e ambiente. Da sei decenni, le attività di volontariato culturale organizzate da Italia Nostra hanno contribuito a diffondere nel Paese la “cultura della conservazione” del paesaggio urbano e rurale, dei monumenti, del carattere ambientale delle città.
Le due indagini più recenti sul settore
Volendo però dipingere un quadro del volontariato culturale lungo la penisola e, come già osservato, non essendoci un’aggiornata ricerca sul settore, vanno a questo proposito menzionate due indagini effettuate in Toscana e in provincia di Torino. Perché, se è vero da un lato che non offrono una panoramica di respiro nazionale, è altrettanto vero dall’altro che offrono una serie di numeri e di spunti su cui occorre riflettere e che vanno tenuti presenti in un approfondimento dedicato al volontariato culturale…
Dall’indagine svolta nel periodo che va dal settembre 2010 al gennaio 2011, dal Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Pisa, emerge tra l’altro che stanno aumentando le associazioni che operano nell’ambito del cosiddetto “no welfare”, rivolte cioè alla tutela di beni pubblici come il patrimonio ambientale e culturale a seguito anche della crisi della gestione del comparto. Su dieci nuove organizzazioni nate a partire dal 2005, ben 7,5 scelgono di operare prevalentemente in ambito sociale e culturale. Si amplia pertanto la sfera rappresentata dai diritti di cittadinanza. Così come è forte la propensione delle organizzazioni di volontariato a mettersi in relazione con le istituzioni. Non a caso quest’indagine, diretta dal sociologo dell’Università di Pisa Andrea Salvini, parla di una “vicinanza istituzionale” che è particolarmente evidente nelle associazioni sorte nell’ultimo quinquennio.
Dalla Toscana al Piemonte, con un focus ristretto sulla provincia di Torino. Qui Idea Solidale Centro di servizi per il volontariato, in collaborazione con Arci Nuova Associazione, Comitato Territoriale di Torino e provincia e Osservatorio culturale Piemonte, hanno realizzato un’indagine sull’associazionismo del volontariato culturale…
Se la consistenza numerica dell’associazionismo culturale sembra rafforzarsi negli ultimi anni, nella grande maggioranza le organizzazioni sono però enti non riconosciuti, costituiti con atto pubblico o scrittura privata, anche se la quasi totalità dispone di uno statuto e almeno di un organo di gestione… E «quasi il 70 per cento delle organizzazioni ha dichiarato di avere avuto (negli ultimi anni) un budget inferiore ai 10 mila euro».
Inoltre «il fare rete, il collaborare con altri soggetti sia pubblici sia privati operanti sul territorio, evidenzia alcuni elementi di criticità. L’interlocutore privilegiato risulta principalmente l’ente pubblico: il 58 per cento delle organizzazioni ha infatti risposto che la modalità operativa che caratterizza in modo prevalente la propria attività è la collaborazione con strutture o servizi pubblici. Mentre si riduce di molto (20 per cento) la percentuale di gruppi che collaborano con altre organizzazioni non profit, percentuale che scende al 19 per cento per le partnership con i privati».
Questa indagine torinese evidenzia dunque non solo una serie di criticità che sono state riscontrate in fotocopia anche in altre zone d’Italia, ma pone in rilievo anche un altro elemento che purtroppo è diffuso in tante città e paesi della Penisola: «Un disinteresse da parte delle Amministrazioni comunali nel confronti del volontariato e dell’associazionismo culturale», così come «una bassa capacità degli enti pubblici di conoscere e riconoscere le “risorse” sul territorio e di coinvolgerle nelle fasi decisionali di progetti culturali». E non ultimo: «Quale elemento di grande difficoltà è segnalata l’eccessiva burocratizzazione».
Alla luce di queste due ricerche svolte nella regione Toscana e in provincia di Torino sono ancora quanto mai attuali le riflessioni di Renato Frisanco a proposito dello studio “Patrimonio culturale e volontariato. Contesto, norme e progettazione”, realizzato nel 2009 dalla Fondazione europea occupazione e volontariato Feo-Fivol su una rilevazione nazionale del 2006. Osservava Frisanco che… «il volontariato è un fenomeno che cresce con la società, permeabile ai bisogni che mutano e reattivo rispetto alle esigenze dell’uomo storicamente dato. Da qui la sua progressiva espansione negli ultimi venti anni nei nuovi settori della “partecipazione civica” e non più solo nella cura delle persone in stato di disagio nel welfare tradizionale».
Non solo volontariato
«Quando», continuava Frisanco, «si parla di volontariato culturale occorre sempre tener presente il fine della solidarietà oltre alla intrinseca gratuità dell’azione, per cui un’organizzazione è tale se ha come scopo quello di valorizzare, salvaguardare, promuovere e mettere a disposizione di tutti (e non solo degli eventuali soci) un bene altrimenti da acquisire sul mercato».
Tuttavia «si può parlare di una tipologia di associazioni culturali che, pur essendo in linea con il paradigma dell’”utilità sociale” non rientrano tutte nella definizione di Odv». Infatti «vi sono associazioni culturali tout court basate sull’interesse comune dei soci per uno specifico obiettivo. Ad esempio, il gruppo filatelico o quello degli scacchi o della musica jazz. Altre associazioni come le bande e i cori svolgono una funzione socialmente utile basandosi sulla gratuità dei soci, ma non perseguono il fine esclusivo della solidarietà. Le Pro Loco sono anch’esse importanti ma mancano del principio di autogoverno dei volontari».
«Vi sono poi associazioni che esistono perché hanno interesse a fare un prodotto culturale da mettere sul mercato; vi è chi, ad esempio, organizza mostre di quadri di giovani autori per farli conoscere». Così come «vi sono oggi molte associazioni di promozione sociale, regolamentate con la legge 328/2001, che organizzano attività culturali centrate soprattutto sui loro soci che possono anche essere remunerati a questo scopo. Diverso è invece il caso dell’associazione che gestisce una biblioteca o un museo o degli spettacoli teatrali offrendo dei servizi gratuitamente alla popolazione laddove l’ente pubblico non è in grado di coprire tale onere nella sua interezza o per una esigenza di totale autonomia degli aderenti»…
Quale ruolo del volontariato nella cultura?
Sottolineava ancora Frisanco che «il volontariato per la cultura, non diversamente dal fenomeno complessivo, svolge una triplice funzione: di educazione alla solidarietà e alla cittadinanza attiva per una partecipazione responsabile dei cittadini; di contributo al migliora- mento dell’offerta di servizi con molteplici, differenziati e originali interventi; di advocacy o di tutela rispetto ai beni culturali abbandonati o trascurati dalle Amministrazioni pubbliche responsabili. Rispetto all’offerta di servizi e strutture culturali il ruolo del volontariato non è quello di colmare i deficit di personale e di organizzazione dell’offerta pubblica di tali mezzi, surrogandone le disfunzioni, ma quello di aggiungere servizi ed efficacia a quelli esistenti. È intervento aggiuntivo e originale oltre che gratuito. Il volontariato opera soprattutto in riferimento ai bisogni dei fruitori dei beni culturali, migliorando la qualità dei servizi (dall’accoglienza all’animazione) e allargando la possibilità a tutti di goderne (ad esempio, favorendo l’accesso e la fruizione ai beni culturali delle persone non vedenti o ipovedenti od occupandosi degli allestimenti museali universalmen- te accessibili)».
«Tale servizio di tutela e di valorizzazione del patrimonio culturale da parte del volontariato», concludeva Frisanco, «non si può esplicare a latere delle Amministrazioni pubbliche ma in modo integrato e sussidiario. E previamente concertato tra soggetti partner pur con distinte funzioni e responsabilità. Il volontariato, in una logica di sistema territoriale locale, partecipa alla individuazione del bene culturale e
alla programmazione degli interventi e non solo nelle attività degli stessi beni».