ORGANIZZATO O NO, IL VOLONTARIATO DÀ BENESSERE
Lo afferma la ricerca “Volontari e attività volontarie in Italia”, che traccia l’identikit del volontario italiano, colto e fiducioso. E dà un’indicazione alla politica: per l’impegno civico serve più cultura
16 Gennaio 2017
Per chi fa volontariato era già una certezza, ma da oggi anche i dati lo dimostrano: chi si impegna per il bene comune ha una qualità della vita più alta. Lo conferma l’analisi del volume di ricerca “Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni” (Bologna, Il Mulino, 2016), presentato oggi alla Camera dei Deputati.
La quantità (del volontariato), insomma, aumenta la qualità (della vita). Un bel risultato per quell’esercito di 6,63 i milioni di italiani (12,6%) che si impegnano gratuitamente per gli altri o per il bene comune all’interno di organizzazioni (4,14 milioni, 7,9%) o individualmente (3 milioni, 5,8%).
In particolare, i punteggi più alti di soddisfazione vengono registrati dai volontari attivi da oltre 10 anni e da quanti si impegnano in più di una associazione. Top il benessere degli over 65 anni, dove il 50,4% dei volontari organizzati si dichiara molto soddisfatto della propria vita.
Bisogna investire su istruzione e cultura
E allora sotto. Ma cosa porta a fare volontariato? Detto in altre parole: come fare per avvicinare sempre più persone a questa pratica di benessere? La ricerca dà un’indicazione chiara: la predisposizione all’impegno civico è influenzata dalle risorse socio-culturali. Si badi bene: socio-culturali, non economiche.
«Maggiori risorse socio-culturali si traducono in una maggiore propensione al fare volontariato. Per cui, più aumenta il titolo di studio e la fruizione di cultura, più aumenta la probabilità di fare volontariato», spiegano i curatori del volume, Riccardo Guidi, Ksenija Fonović e Tania Cappadozzi, che lanciano un messaggio alle istituzioni: «Dai risultati deriva una precisa indicazione politica: per far crescere la solidarietà e l’impegno civico è di primaria importanza investire nell’educazione, nell’istruzione universitaria e nella cultura».
Un’indicazione che arriva in un momento cruciale, mentre il Governo sta definendo i decreti attuativi della Riforma del Terzo Settore, come sottolinea il sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali Luigi Bobba nel messaggio inviato alla presentazione. «Ora siamo nel vivo della fase di stesura dei decreti attuativi della riforma che dovranno delineare una normativa attuale ed efficace. Il fine è quello di riuscire a trasformare le istanze di tutti gli attori in un complesso legislativo che riesca a fornire un impulso rinnovato ad un universo bisognoso di indicazioni univoche e mirate senza l’apporto del quale, tuttavia, il nostro Paese risulterebbe indubbiamente più povero e meno coeso», conferma il sottosegretario, che commenta: «Il volume presentato oggi, esaminando gli impatti sociali, psicologici, politici ed economici del volontariato, nonché i fattori sociali ed istituzionali che ne facilitano l’attivazione, rappresenta un rilevante contributo all’analisi del Terzo Settore nel suo complesso».
«Siamo consapevoli degli impegni istituzionali che il suo incarico comporta, tuttavia speriamo di avere al più presto l’occasione di esaminare e discutere con lei i temi proposti nel volume», ha risposto Renzo Razzano, presidente del Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio Spes, che ha contribuito alla realizzazione del volume. «In questo momento così importante per la ridefinizione dei contorni legislativi e operativi del Terzo Settore e delle infrastrutture a suo supporto, è importante avere contezza della comprensione istituzionale del ruolo dei Centri di Servizio per il Volontariato come organismi capaci di produrre cultura e innovazione e strutture di sostegno alle iniziative di promozione che mettono il volontariato in dialogo e a confronto con altri settori e interlocutori», ha sottolineato.
Volontariato e benessere
Ma torniamo ai volontari, che oltre al maggiore benessere condividono anche una maggiore fiducia nel prossimo (35,8%) rispetto al resto della popolazione italiana (20,6%). Hanno più fiducia anche nelle istituzioni (4,7 punti contro i 4,4 di chi non fa volontariato), ma queste vengono viste come enti gerarchici che richiedono una adesione fideistica e, per questo, la fiducia nei loro confronti è di gran lunga più debole rispetto a quella interpersonale.
Ancora, fare volontariato stimola la partecipazione politica, soprattutto nelle classi sociali più svantaggiate. Che siano comizi, cortei o semplice sentenza a informarsi sulla vita politica, chi si impegna per il bene comune dimostra un attivismo maggiore del resto della popolazione italiana.
Ma chi sono i volontari? Per chi esercita già la nobile arte dell’impegno civico, sarà interessante trovare il proprio profilo tra i diversi individuati nel volume di ricerca: fedelissimi dell’assistenza, pionieri, stacanovisti della rappresentanza, o magari quelli che… senza come si farebbe?
I sette profili dei volontari organizzati
Ai volontari che operano nelle organizzazioni corrispondono sette profili. Il primo per numero è quello dei “fedelissimi dell’assistenza” (un milione e 228 mila cittadini, pari al 29,6% del totale di volontari organizzati): sono volontari che dedicano mezza giornata alla settimana a chi ha bisogno di aiuto nel campo dei servizi sociali, della protezione civile e della sanità.
Seguono, per numerosità, le “educatrici di ispirazione religiosa”, pari a un milione di persone (1.036 mila, 25%), impegnate nelle attività educative e nella catechesi; un impegno settimanale vissuto come stile di vita, in particolare per le donne del Sud. I “pionieri” sono generalmente laici ed istruiti; sperimentano modalità di impegno per l’ambiente e la collettività ai margini delle modalità organizzative tradizionali (il 13,6% dei volontari organizzati, 561 mila persone). “Gli investitori in cultura” mettono a disposizione competenze professionali specializzate e offrono supporto organizzativo per iniziative culturali e ricreative (il 10,3% dei volontari organizzati, 427 mila persone). “I volontari laici dello sport” sono allenatori e dirigenti di associazioni sportive dilettantistiche (l’8,9% dei volontari organizzati, 368 mila persone). “I donatori di sangue” sono per lo più maschi, occupati, genitori e in buona salute, fidelizzati all’associazione; si mettono a disposizione una volta al mese (l’8% dei volontari organizzati, 333 mila persone). Infine, “Gli stacanovisti della rappresentanza” sono dirigenti e organizzatori di associazioni che si occupano di politica, attività sindacale e tutela dei diritti (il 4,6% dei volontari organizzati, 190 mila persone); per un terzo è un impegno a tempo pieno.
L’identikit dei volontari occasionali
E chi fa volontariato individualmente, ovvero senza passare per le organizzazioni? Grazie a questo volume di ricerca, per la prima volta in Italia conosciamo chi si impegna gratuitamente a beneficio di persone al di là della propria famiglia o per la collettività e ambiente. Sono volontari che non operano all’interno di organizzazioni ma in modo informale. Ecco i loro profili.
“Quelli che… danno una mano” (il gruppo più numeroso, pari al 34,2% dei volontari individuali, ovvero 852mila persone) sono quelle persone che offrono aiuto in casa o per pratiche burocratiche; rappresentano la ‘filiera corta’ dell’attivazione delle reti di prossimità. Seguono “quelle che… senza come si farebbe” (il 28,4% dei volontari individuali, 707 mila persone), che offrono assistenza qualificata a persone in difficoltà: è una relazione di aiuto duratura, un vero e proprio servizio complementare all’autogestione famigliare. L’attività di cura è svolta in prevalenza da donne: la maggior parte (69,9%) lo fa per almeno 10 ore al mese, una su cinque (20,5%) per più di 40 ore al mese
Ci sono poi “quelli che… scelgono di fare da soli” (il 27,6% dei volontari individuali, 688mila persone), per lo più laureati, professionisti, impegnati con continuità (42,2% da oltre dieci anni, 17,5% da cinque a nove anni) per l’ambiente o cultura; rispetto ai volontari impegnati nelle organizzazioni, il tempo dedicato è minore (da due a quattro ore al mese). Infine, troviamo “quelli che… per donare vanno diritti all’ospedale” (il 9,9% dei volontari individuali, 246mila persone), ovvero i donatori di sangue che dedicano un’ora al mese al di fuori delle associazioni.
«Questo libro ha contenuti originali: non esiste attualmente un altro contributo scientifico accessibile al grande pubblico che affronti lo stesso tema su una base statistica ufficiale», tengono a sottolineare i curatori del volume, basato sui dati Istat 2013 rilevati applicando, per la prima volta in Italia, lo standard mondiale ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) per la rilevazione del volontariato all’interno dell’Indagine Multiscopo Aspetti della Vita Quotidiana. Prossimo passo? «Si riparte dalle domande», affermano.
Riccardo Guidi, Ksenija Fonovic, Tania Cappadozzi (a cura di)
“Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni”
Il Mulino, 2017
pp.360, € 27.00
2 risposte a “ORGANIZZATO O NO, IL VOLONTARIATO DÀ BENESSERE”
Grazie
Il Volontariato o wualsiasi altro servizio di utilità e benessere collettivo é la più alta forma di intelligenza umana..
L’altruismo e la cooperazione sono vitali in ogni sua forma di manifestazione vivente…
Le cellule umane non altruiste e cooperative vengono denominate tumori o cancri ..