LUIGI BOBBA: IL VOLONTARIATO NON ABBIA PAURA DELLA RIFORMA
Secondo il sottosegretario le associazioni devono aprirsi all'innovazione, se vogliono mantenere il ruolo fondamentale che hanno oggi.
22 Novembre 2016
Il 16 novembre le associazioni di volontariato del Lazio hanno incontrato il sottosegretario Luigi Bobba, in un incontro organizzato dalla Conferenza Regionale del Volontariato con i Centri di Servizio del Lazio, per discutere di volontariato e riforma del Terzo Settore.
Come ha spiegato Alessandro Reali, portavoce della Conferenza regionale, la legge introduce una serie di novità che suscitano interrogativi nel volontariato: il Consiglio nazionale del Terzo settore, all’interno del quale le piccole associazioni temono di non avere adeguata rappresentazione; la gestione del Fondo destinato a volontariato e promozione sociale; la questione della fondazione Italia Solidale, che alcuni temono possa diventare competitor delle associazioni. Questioni che verranno chiarite nei decreti attuativi, ma sulle quali è giusto che il volontariato si pronunci.
La legge delega 106/2016 è stata approvata il 6 giugno ed entro un anno devono essere approvati i decreti attuativi. Quello sul Servizio civile universale è già stato liberato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre tutti gli altri sono in discussione.
Volontariato e riforma: problemi aperti
Il valore del volontariato. «Il volontariato è la più grande infrastruttura che tiene insieme i territori e le comunità», ha esordito Paola Capoleva, presidente del Cesv. Per questo non va sottovalutato: «il suo valore non sta solo nei servizi che svolge, ma anche nella capacità di migliorare la qualità della vita, le relazione tra le persone, i beni comuni. E proprio queste parole chiave, “relazioni” e “reciprocità”, l’Europa ci chiede di portarle anche nella progettazione».
Nella riforma «tutto questo è poco presente». Così come è poco presente il tema della coprogettazione: «il volontariato è innovatore sui temi di confine e allo stesso tempo capace di progettare». Questi temi nella 106/2016 non sono valorizzati abbastanza.
I controlli. La legge sembra invece molto preoccupata di temi come la regolamentazione, il controllo, la trasparenza. «Temi, questi, che non ci spaventano», ha affermato Capoleva, perché le associazioni sono abituate a fare bilanci, anche sociali. Speriamo solo che il controllo non si risolva in un ulteriore appesantimento: sappiamo bene che i volontari sono persone che fanno tutt’altro nella vita e fanno fatica a stare dietro a troppa burocrazia. ».
Il Consiglio Nazionale. La legge istituisce un Consiglio nazionale, come organo consultivo che superi il sistema degli Osservatori nazionali per il volontariato e per l’associazionismo di promozione sociale (art.5). Secondo Paola Capoleva, il problema è: «in che modo le piccole e medie associazioni vedranno rappresentate le loro istanze in questo organismo?».
Il volontariato non organizzato. La legge pone il problema del volontariato non organizzato e di quello occasionale, che secondo l’Istat rappresenta una realtà in crescita, che riguarda circa 3 milioni di persone. «È un patrimonio potenziale di disponibilità su cui il mondo dell’associazionismo dovrebbe interrogarsi, anche a prescindere dalla legge», per capire come può essere valorizzato e coinvolto.
Cos’è il Terzo settore, chi sono i volontari
Un nuovo orizzonte. «La legge 266 del ’91 regolava i rapporti tra associazioni e istituzioni», ha puntualizzato il presidente di SPES, Renzo Razzano. «Questa riforma, invece, considera non tanto le organizzazioni, quanto i volontari, che possono esprimersi in molte altre forme. Quindi l’orizzonte cambia».
La definizione di Terzo settore. La prima preoccupazione della riforma, ha spiegato Razzano, è «di dare una definizione giuridica dei soggetti che possono dirsi parte del Terzo settore, e lo fa fissando, tra l’altro, una finalità comune: la pubblica utilità». In Italia è attualmente in vigore una legislazione che è andata definendosi in modo progressivo, seguendo i cambiamenti che avvenivano nel non profit e nella società, e che per questo conteneva a volte elementi contradditori. Assume perciò importanza il fatto che essa rimandi «alla definizione di un Testo Unico del Terzo settore, che dovrebbe riformare anche una parte del codice civile, con l’obiettivo di armonizzare le varie leggi».
Dentro questa definizione di Terzo settore c’è però un nodo critico, là dove si specifica che ne sono parte coloro che «…promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi». Sono quindi indicate tre categorie: il volontariato, le attività mutualistiche, lo scambio di beni e servizi (art. 1). Secondo il presidente di Spes, «è evidente la volontà di abbattere gli steccati, che è una cosa lodevole, ma va gestita correttamente, altrimenti si rischia la deriva verso la prevalenza dell’impresa sociale».
Il Codice del Terzo settore. Un secondo nodo critico riguarda il Codice, che «deve definire e garantire la piena libertà di associazione. Sembra scontato, ma non lo è: le varie modalità in cui si manifesta l’impegno civico sono fondamentali per la democrazia, e quindi vanno garantite».
Il registro nazionale. Il terzo nodo è la questione del registro nazionale, che la Legge Delega istituisce per tutti gli enti di Terzo settore, e che è importante perché l’iscrizione è prerequisito per accedere a finanziamenti e facilitazioni di legge. Si pongono quindi alcune domande: «È giusto che il registro sia nazionale, ma chi lo gestisce? Come si conciliano criteri individuati a livello nazionali con le realtà dei territori? Chi controlla la permanenza dei registri?».
Ancora una volta, «c’è il rischio di escludere le piccole realtà dall’accesso ai benefici, per le troppe complicazioni che l’iscrizione potrebbe comportare».
I controlli. Il quarto nodo, per quanto riguarda volontariato e riforma, riguarda i controlli. «La legge», ha spiegato Razzano, «prevede forme di autocontrollo per le reti nazionali, che per questo si devono accreditare. Per le realtà più piccole, invece, fa riferimento ai Centri di Servizio per il volontariato (art.7). Ma i CSV non possono essere controllori, semmai soggetti che affiancano le associazioni e le mettono in condizione di essere regolari e trasparenti».
Le procedure. Il quinto nodo riguarda la semplificazione delle procedure. Razzano ha ricordato che la dimensione media di un’associazione di volontariato è di 10 unità, con un bilancio spesso sotto i 30mila euro. «Non si può soffocare queste realtà con procedure complicate e mortificanti, anche perché sono le realtà piccole quelle danno senso a tutto il movimento».
I volontari. Infine, secondo Razzano, «occorre definire lo status di volontario. In altri Paesi europei esistono statuti che declinano diritti e doveri, da noi ancora no».
Rinnovarsi mantenendo il ruolo profetico
Coinvolgere i giovani. «Questa è una legge delega, e quindi sono importanti i decreti delegati, che è piuttosto complesso definire», ha ricordato Cristina De Luca, presidente del COGE (Comitato di gestione) del Lazio.
Alla base di tutto questo lavoro c’è una domanda: «Di che tipo di associazionismo c’è bisogno oggi? La realtà italiana è caratterizzata dalla presenza di associazioni molto territorializzate e parcellizzate. È una realtà articolata, che nei decenni passati ha influenzato anche il legislatore, ispirando leggi importanti per il nostro sistema di welfare: da quella sulla droga ai servizi sociali fino, recentissimamente, al dopo di noi. Eppure il volto del volontariato di oggi non è quello di venti anni fa». Lo dimostra, tra l’altro, la difficoltà nell’attuare il ricambio generazionale, perciò, secondo De Luca, parlando di volontariato e riforma «dobbiamo chiederci: come rendere il volontariato più appetibile? Come calarlo a misura di giovani? Ma anche, allo stesso tempo, come mantenere la dimensione profetica del volontariato?. Su questo serve un pensiero che contribuisca anche alla legge».
L’impatto sociale. C’è un altro tema che oggi, secondo De Luca, sfida il volontariato. «Oggi in Europa c’è una grande attenzione alla valutazione dell’impatto sociale delle azioni di volontariato. La chiedo le Amministrazioni, ma la chiede anche il profit, più propenso a finanziare chi ha fatto questo tipo di valutazione. È un tema da affrontare, anche perché il futuro passa attraverso la capacità del volontariato di rinnovarsi».
Bobba: valorizzare i volontariati, senza trascurare le associazioni
Una riforma organica. Per il sottosegretario Luigi Bobba, la 106/2016 è «una riforma organica del Terzo settore, che segna una discontinuità con il passato. Abbiamo bisogno di ridare fiducia al Paese, anche attraverso il mondo del non profit: un mondo di cui possiamo andare orgogliosi, perché in nessun Paese è così diffuso, qualificato e forte».
Una carta d’identità comune. Il Terzo settore è una realtà molteplice, ma «c’è nella riforma la volontà di fare emergere questo mondo, dandogli una carta di identità comune, all’interno della quale valorizzare le varie specificità. Da qui nasce la definizione di Terzo settore contenuta nell’art. 1, comma1. L’obiettivo è togliere dall’irrilevanza questo mondo, che genera un valore sociale straordinario».
I volontari e il servizio civile. Tra le specificità da valorizzare c’è quella dei volontari, che «sono una risorsa intangibile, senza la quale il Terzo settore non starebbe in piedi».
In questa prospettiva si colloca anche la riforma del servizio civile: «se investiamo su di loro», ha detto Bobba, «una parte non marginale di giovani entrerà in contatto con questi mondi. È un investimento sul futuro, che si riverbererà sulle associazioni, se sapranno incorporare questi giovani».
Bobba ha anche accennato alla necessità di valorizzare le competenze acquisite, ad esempio facendo in modo che nei concorsi pubblici si riconosca il valore del servizio civile.
Il volontariato a scuola. Il sottosegretario ha ricordato il recente bando per la promozione del volontariato nelle scuole. «Per ora si è trattato di un piccolo progetto, ma vogliamo investirci, per far entrare non parole sul volontariato, ma esperienze concrete nelle organizzazioni, da poter inserire nel proprio curriculum formativo».
5 X mille. Nei decreti attuativi si sta studiando anche la questione del 5 x mille perché, secondo i dati forniti dallo stesso sottosegretario, su 55mila soggetti accreditati, 2mila non ricevono neanche un euro e 3mila ricevono meno di 100 euro. «Dobbiamo ritrovare il modo di ridisegnare i criteri di distribuzione, ad esempio raccogliendo la proposta di Zamagni di redistribuire ai più piccoli il cosiddetto “inoptato”».
L’impresa sociale. Secondo Bobba, «l’impresa sociale esce fortemente ridefinita» dalla riforma, «non come “fornitore dello Stato”, ma come soggetto capace di offrire servizi che formano ricchezza sociale. È evidente che l’impresa sociale è una realtà molto diversa dal volontariato, ma è comunque una delle forme attraverso cui si esprime l’impegno a perseguire finalità sociali».
Il volontariato occasionale. All’interno del tema volontariato e riforma si colloca anche la questione del volontariato occasionale o individuale è una realtà da valorizzare, ma senza spostare l’attenzione dalle associazioni, che «si misurano con gli impegni più difficili e ci mettono in discussione».
Italia Sociale. L’art. 10 della legge istituisce la fondazione Italia Sociale, sul cui ruolo molti si interrogano. Secondo Bobba «è semplicemente uno strumento per catalizzare risorse private da spendere in progetti con il Terzo settore ad alto impatto sociale».