VOLONTARIATO GIOVANILE: È DAVVERO IN CRISI? O È PROFONDAMENTE DIVERSO?

Com’è cambiata – o quanto è in crisi – l’attivazione dei giovani? È il fil rouge che ha caratterizzato l’Assemblea nazionale VIS 2024. Una riflessione con Michela Vallarino, Presidente VIS e Cristina De Luca, Presidente CSV Lazio

di Maurizio Ermisino

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Del 12,6% della popolazione giovanile che si occupa di volontariato, il 7,9% oggi lo fa nelle organizzazioni, mentre il 5,8% in modo non organizzato. E questi numeri sono in crescita dal 2016 a oggi. È interessante partire da questo dato per parlare di giovani e volontariato, uno dei temi al centro dell’Assemblea nazionale VIS, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, che si è svolta domenica scorsa a Roma e in streaming on line. Ne abbiamo parlato con Michela Vallarino, Presidente VIS, e Cristina De Luca, Presidente CSV Lazio. «L’idea dell’impegno volontario da parte dei giovani è estremamente cambiata rispetto a quella della mia generazione» ha esordito De Luca. «Oggi il volontariato organizzato è in calo, non attrae i giovani. Si parla di volontariato fluido, occasionale. La famiglia e la scuola sono in crisi, la funzione educativa che svolgono viene meno e questo provoca nei giovani un vuoto e una ricerca di senso che dobbiamo saper intercettare. I social condizionano molto l’idea di impegno e relazione con gli altri. La domanda a cui dobbiamo rispondere oggi è come attrarre i giovani al volontariato. CSV Lazio intercetta oggi circa 2mila organizzazioni della regione, molto diverse fra loro: eppure è generalizzata una preoccupazione rispetto a tale impegno. C’è una crisi nel volontariato giovanile o un volontariato giovanile che è profondamente diverso e chiede di essere capito per valorizzarne l’impegno?».

volontariato giovanile
Il VIS è un’organizzazione non governativa nata nel 1986. Si occupa di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale, è anche un’agenzia educativa, nella convinzione che con l’educazione e la formazione si possano combattere alla radice le cause della povertà estrema

Quanto le associazioni faticano ad essere accoglienti con i giovani?

I dati ci dicono quindi che prevale il volontariato individuale e occasionale «I giovani rifuggono dalle forme più organizzate» spiega la Presidente del CSV Lazio. «Scende l’impegno volontario all’interno delle associazioni. Pensiamo all’alluvione in Emilia-Romagna: c’è una corsa alla solidarietà che poi si scontra con la necessità della competenza, perché volontariato significa anche acquisire competenze. I giovani di oggi non rifuggono la multiappartenenza: oggi sono disposti a fare una cosa con una realtà, domani con un’altra». Ma anche le associazioni fanno fatica a essere accoglienti nei confronti dei giovani. «Spesso le associazioni hanno strutture molto rigide, gruppi dirigenziali adulti» riflette Cristina De Luca. «Quando arriva un giovane, ascoltarlo non è facile. Oggi ci sono competenze – penso all’uso del digitale o alla comunicazione – in cui i giovani sono molto più capaci di noi, eppure nella maggior parte delle associazioni si fa fatica a capire che le esperienze di cui il giovane è portatore possono essere un’opportunità. I giovani, inoltre, pensano che l’impegno non possa essere disgiunto dal piacere, dalla voglia di essere insieme e fare gruppo, di avere momenti di svago. E anche questo per le nostre realtà e faticoso».

volontariato giovanile
Michela Vallarino: «Bisogna trovare un equilibrio. Da una parte va fatto capire ai giovani che l’esperienza mordi e fuggi può non essere l’ideale per la persona o per certi contesti. Dall’altra anche le organizzazioni non devono essere troppo preformate e adattare il proprio modo di accogliere i giovani»

Ascolto e accompagnamento autorevole

I giovani hanno bisogno di essere ascoltati, ma anche accompagnati, di «adulti capaci di testimoniare valori e di accompagnare il loro percorso» ragiona la Presidente del CSV Lazio. «Hanno bisogno di autorevolezza e non di autorità, di esempi per capire che la cifra dell’impegno può essere anche alla loro portata anche se interpretata diversamente da come lo abbiamo fatto noi. Come Centri di Servizio facciamo molti progetti per permettere alle associazioni di avere i ragazzi di servizio civile. Sono 500-600 i ragazzi che ogni anno mettiamo a disposizione delle associazioni. C’è un dato importante a livello nazionale: là dove un giovane di servizio civile fa un’esperienza significativa c’è un ritorno perché o continuerà a fare volontariato oppure cercherà di indirizzare i suo i studi e la sua formazione in quella direzione».

Un’esperienza non preformata 

Anche Michela Vallarino, Presidente del VIS, riporta una difficoltà a incanalare le energie e le disponibilità giovanili. «Le associazioni sono condotte da persone che hanno un’età media alta. A parole si dice: “non ci sono i giovani”, ma, in realtà, siamo noi che non stiamo usando gli strumenti giusti per intercettarli». In occasione dell’Assemblea VIS sono arrivate numerose esperienze territoriali. «A Bra, dove abbiamo un presidio locale sul tema “La guerra è una follia”, hanno organizzato una manifestazione pubblica che, accanto ai cittadini, grazie a un intervento per le scuole, ha coinvolto 700 giovani, a cui è stato lasciato spazio, con un’iniziativa precisa ma non preformata: una due giorni durante i quali lasciare loro modo di esprimersi sul tema della guerra negli istituti scolastici. Gli organizzatori si sono messi in ascolto e hanno fatto parlare i ragazzi. E una cosa fondamentale è stata che a parlare sia stato Gigi Bisceglia, un nostro operatore in arrivo dalla Palestina, che ha portato una testimonianza di grande valore per loro».

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Cristina De Luca: «Quando arriva un giovane, ascoltarlo non è facile. Oggi ci sono competenze in cui i ragazzi sono molto più capaci di noi, eppure si fa fatica a capire che le esperienze che portano possono essere opportunità»

Gli impegni dei giovani e le necessità delle associazioni

Durante l’assemblea è emerso il problema che spesso i giovani siano iperprogrammati. «Il loro modo di concepire il tempo, ma anche le opportunità che hanno e le scelte che fanno, condizionano tutte le altre scelte» ragiona Cristina De Luca. «Su questo non è facile intervenire, perché una realtà come il VIS, che lavora sul volontariato, ha modi e tempi precisi. Questo tema deve essere oggetto di una riflessione da fare insieme ai giovani durante le formazioni: dobbiamo fare in modo che queste non siano solo sulle attività, ma che prendano anche le mosse dalla scelta di fare volontariato, per capire come i ragazzi si muovono». «A noi capitano molte di queste situazioni: spesso poco prima dell’estate arrivano richieste per andare a fare volontariato in Africa e diventa un po’ difficile l’inserimento» racconta Michela Vallarino. «Bisogna trovare un equilibrio. Da una parte nell’inserimento della formazione va fatto capire ai giovani che l’esperienza mordi e fuggi può non essere l’ideale per la persona o per certi contesti. Dall’altra anche le organizzazioni non devono essere troppo preformate e adattare il proprio modo di accogliere i giovani. È fondamentale avere anche persone più vicine ai ragazzi, che portino una certa sensibilità».

Volontariato giovanile: possibili piste di lavoro

Per coinvolgere i giovani ci sono piste di lavoro possibili. «Certamente cercare di favorire il protagonismo giovanile rimettendo al centro la comunità e i suoi bisogni, far capire che attraverso l’impegno quei bisogni sono soddisfatti» conclude Cristina De Luca. «Un secondo punto è attivare sinergie e alleanze con altre realtà, dando spazio a suggestioni e suggerimenti, un modo di pensare che è diverso dal nostro. Un’altra cosa è saper ascoltare i giovani e saper delegare. E poi accettare il singolo ragazzo, ma anche il suo gruppo di amici, aiutarli nella rielaborazione dell’esperienza, accettarne idee e proposte nella propria realtà associativa. Uno dei compiti che abbiamo tutti è, in un contesto sociale in cui il disagio giovanile è una cifra che fa riflettere, quello di impegnarci a raggiungere i ragazzi e  capire se, in questo modo, li aiutiamo a crescere nell’impegno volontario».

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