IMMIGRAZIONE: NELL’EMERGENZA IL VOLONTARIATO C’È STATO E CI SARÀ
Sia il volontariato PER i migranti che quello DEI migranti hanno continuato a lavorare per l'integrazione e il riconoscimento dei diritti
16 Giugno 2021
Iniziamo con il parlare del volontariato PER i migranti prima di affrontare il tema del volontariato DEI migranti. È appena il caso di ricordare come la pandemia abbia acuito le fragilità sociali preesistenti, e che i migranti – soprattutto quelli di recente arrivo – rientrano sicuramente tra le categorie sociali che hanno risentito maggiormente della crisi sociale ed economica iniziata a marzo del 2020. Ed infatti, pur in mancanza di dati precisi, la percezione dei volontari è che siano molto aumentate le persone migranti che vivono ora in strada, magari in seguito alla perdita di un lavoro precario, ma con il quale riuscivano a pagare una stanza in affitto.
Il volontariato si è trovato dunque a fronteggiare una duplice sfida: da una parte una crescita dei bisogni sociali e delle richieste di intervento, e dall’altra una inedita difficoltà di portare avanti i propri interventi senza mettere a rischio l’incolumità fisica sia dei volontari che dei destinatari. Possiamo dire da subito che i volontari non si sono tirati indietro: hanno accettato in pieno questa sfida, spesso trovando soluzioni innovative per proseguire le loro attività solidali.
La ripartenza dopo il lock down
Storicamente, una delle attività maggiormente praticata dalle organizzazioni di volontariato a favore dei migranti è quella degli sportelli di orientamento e consulenza legale. Si possono identificare alcune “fasi tipiche” attraverso le quali sono passati gli sportelli del volontariato durante il lock down nazionale del 2020:
- La prima fase è stata quella di un comprensibile smarrimento e della chiusura degli sportelli. Ma è una fase durata un tempo molto limitato. Se a fine febbraio-inizio marzo 2020 gran parte delle OdV hanno sospeso le attività, già dopo un paio di settimane si stavano organizzando per ripartire.
- Passiamo alla seconda fase. Da fine marzo sono stati attivati una serie di sportelli di orientamento telefonici. Ci si era resi conto che l’emergenza non sarebbe stata breve, e si percepiva al tempo stesso un forte bisogno di interventi di sostegno per le persone migranti.
- La terza fase è rappresentata dal ritorno in presenza, ed è partita attorno al mese di maggio. L’intervento a distanza era stato importante per tamponare una serie di emergenze e dare alle persone più vulnerabili un segnale di vicinanza, ma aveva anche mostrato tutti i suoi limiti. Per rendere possibile le riaperture si sono ovviamente adottate tutte le misure per garantire la sicurezza: ingressi contingentati, misurazione della temperatura all’entrata, installazione di pannelli separatori e così via.
Le criticità per il volontariato per i migranti
Questi sportelli hanno proseguito le loro attività ordinarie – come il sostegno per il rinnovo dei documenti di soggiorno – ma hanno anche messo in atto interventi ad hoc, legati proprio all’emergenza sanitaria, come l’assistenza nell’emersione del lavoro irregolare dell’estate 2000, ma anche la distribuzione di pacchi alimentari, dispositivi di protezione individuale e beni di prima necessità. Questo ultimo anno di lavoro degli sportelli ha fatto emergere una serie di criticità legate all’orientamento e al sostegno di persone vulnerabili.
- L’uso della mascherina e del plexiglass separatore acuiscono i problemi di comunicazione già esistenti tra persone di diversa lingua madre. Diventa quindi più complicato comprendere i bisogni ed individuare risposte efficaci.
- Le regole sul distanziamento hanno imposto allo sportello di ricevere poche persone alla volta e per un tempo limitato (1/2 ora – 45 minuti) prima di dare spazio all’appuntamento seguente. Questi tempi contingentati, seppure inevitabili, limitano la possibilità dei volontari di approfondire il vissuto della persona che hanno davanti, e di fare emergere i bisogni anche inespressi.
- La pandemia ha acuito la tendenza ad informatizzare l’accesso ai servizi pubblici. Sia la richiesta di appuntamento che la stessa prestazione si svolgono ormai on line. Si possono fare gli esempi dei bonus per il reddito, delle residenze, della richiesta di tessera sanitaria e così via. Imponendo procedure on line in via esclusiva si rischia di escludere una serie di categorie vulnerabili, che non sanno utilizzare i mezzi informatici (gli anziani in primis), non conoscono la lingua, o semplicemente non posseggono smartphone e linea internet (si pensi ai senza dimora). Assistere i destinatari in queste procedure è diventato uno dei principali interventi dei volontari.
- I titolari di permesso per protezione umanitaria, abolito dal così detto decreto Salvini, si sono visti costretti a tentare la via della conversione del documento in scadenza; il problema è che queste conversioni si sono rivelate quasi sempre impraticabili a causa dei requisiti molto restrittivi fissati da decreto e norme applicative.
- Le iscrizioni dei minori a scuola ad anno scolastico iniziato rappresentano un problema preesistente, ma acuito dalla crisi del Covid: le segreterie di molte scuole tendono a rifiutare l’iscrizione adducendo motivi legati alla sicurezza sanitaria. Solo dopo insistenze e/o il coinvolgimento dell’Ufficio Scolastico Regionale gli istituti scolastici si convincono a concedere quello che in effetti rappresenterebbe un diritto per minori e famiglie.
- Una questione specifica riguarda Roma Capitale e le residenze fittizie delle persone senza dimora in via Modesta Valenti. I volontari rilevano la difficoltà nel destreggiarsi tra le differenti prassi sulla messa in atto dai Municipi di Roma; in alcuni casi vi sono procedure particolarmente farraginose, che sembrerebbero improntate a limitare la concessione di quello che dovrebbe essere un diritto per le persone senza dimora. D’altronde basterebbe che le questure non chiedessero una residenza per il rinnovo dei documenti di soggiorno dei titolari di protezione internazionale, dato che non si tratta di un requisito previsto dalle normative.
La comunità Sikh in provincia di Latina
Farò anche un breve focus sugli interventi svolti dai volontari a favore di un gruppo particolarmente vulnerabile: i braccianti Sikh della pianura pontina. Nei mesi scorsi i media si sono molto occupati di loro, non tanto per le condizioni di sfruttamento inumano a cui da anni sono sottoposti, ma per i focolai di covid, che si sono originati in alcuni insediamenti dove questi lavoratori vivono, peraltro costretti ad adattarsi a condizioni igienico sanitarie indegne. È utile ricordare che ad aprile/maggio 2021 la zona di Bella Farnia a Sabaudia è stata dichiarata zona rossa per 3 settimane.
Le organizzazioni di volontariato si sono occupate di portare soccorso a queste persone, ben prima che l’attenzione dei media puntasse su di loro i fari.
Le questioni di cui il volontariato si è occupato sono state 2: da una parte informare i braccianti, facendo arrivare loro comunicazioni in materia di “sicurezza” e “sanità” legate all’epidemia da Covid-19; dall’altra portare un aiuto di emergenza ai lavoratori indiani.
Per quanto riguarda il primo aspetto, da subito le associazioni del territorio hanno prodotto dei materiali in lingua Punjabi da far circolare sui social e nei punti di ritrovo della comunità. Peraltro, all’insorgere dell’epidemia erano immediatamente stati chiusi tutti i templi Sikh, e questo ha reso difficile raggiungere fisicamente la popolazione indiana. Si è quindi puntato su volantini e soprattutto su video da far girare su whatsapp in cui si davano informazioni circa le restrizioni e le precauzioni da adottare.
L’aspetto della tutela dei lavoratori durante la pandemia è stato decisamente il più complicato da portare avanti, proprio a causa delle drammatiche condizioni di lavoro e alla mancanza di rispetto delle più elementari condizioni di sicurezza da parte dei datori di lavoro. I lavoratori Sikh hanno nella migliore delle ipotesi contratti di poche ore, e spesso sono totalmente irregolari. Vengono portati in azienda su camioncini stracolmi, senza rispettare le norme di distanziamento. Inoltre, il datore di lavoro non fornisce i DPI. A maggio 2020 è stato denunciato da alcune associazioni il caso di un bracciante picchiato a sangue dal datore di lavoro perché si era permesso di chiedere la mascherina. E ci sono stati anche casi di braccianti malati di Covid 19 costretti a lavorare.
Ad esempio l’associazione Tempi Moderni APS, presieduta da quel Marco Omizzolo già premiato dal Presidente Mattarella per il suo impegno a favore dei braccianti Sikh, ha organizzato la distribuzione gratuita ai braccianti di mascherine lavabili messe a disposizione dalla coalizione CILD. La distribuzione è iniziata il 25 aprile (data scelta appositamente in quanto simbolica e significativa) ed è proseguita durante tutto il periodo più duro della pandemia, almeno fino a dicembre 2020.
I migranti come protagonisti del volontariato
L’ultimo aspetto che vorrei trattare riguarda un ribaltamento della usuale prospettiva in cui i migranti sono considerati esclusivamente come beneficiari di interventi solidali. Invece, molti nostri concittadini di origini diverse da quella italiana sono anche volontari, e dunque cittadini attivi. Molti di loro si sono attivati sin dalla prima quarantena nelle reti di quartiere, per la consegna della spesa, il supporto agli anziani o per aiutare le proprie comunità duramente colpite dalle chiusure delle attività produttive.
Come per molti italiani, così anche per molte persone di origine straniera la pandemia ha fornito uno stimolo ad attivarsi. Ma i migranti erano attivi come volontari anche prima della crisi del covid. Come CSV Lazio abbiamo collaborato nel 2019 ad una ricerca nazionale promossa da CSVnet – Rete nazionale dei Centri di servizio per il volontariato proprio per comprendere meglio chi sono gli immigrati che contribuiscono attivamente a costruire una società inclusiva e solidale, per tutti. La ricerca è stata coordinata dal professor Maurizio Ambrosini e realizzata con il Centro Studi Medì ed è stata pubblicata nel 2021 sotto il titolo “Volontari inattesi” (ne abbiamo parlato qui).
Nel disegnare un “identikit dell’immigrato volontario in Italia” la ricerca rivela cinque profili tipici.
- Il primo profilo è quello dei marginali. Con questo termine si definisce un tipo di soggetti che si sono avvicinati al volontariato come strategia di fronteggiamento del loro isolamento sociale, ricevendone in genere benefici. L’incontro con il volontariato spesso avviene attraverso una prima esperienza come beneficiari. Si crea così quel nesso che favorisce un passaggio da utente a volontario. Le motivazioni che spingono quindi verso l’impegno di volontariato sono collegate al senso di restituzione rispetto al servizio di cui si è usufruito e, soprattutto, al bisogno di socialità, vissuto come desiderio di uscire dall’isolamento.
- Il secondo profilo è quello dei promotori della propria crescita. Questo gruppo raccoglie persone che sono ben radicate in Italia. Le persone di questo gruppo sono state indirizzate al volontariato soprattutto dalle possibilità di crescita personale: il fatto di sviluppare abilità concrete, sperimentarsi in un contesto quasi-lavorativo, arricchire il proprio bagaglio di conoscenze.
- Ci sono poi volontari che potremmo definire altruisti. In questo caso, si fa riferimento a persone che intraprendono un percorso di volontariato spinti da una forte disposizione pro-sociale e dal desiderio di migliorare il mondo circostante. Questi volontari perseguono una ‘causa’ che permetta loro di combattere ciò che percepiscono come ingiusto. Spesso l’ambito di volontariato delle persone di questo gruppo riguarda l’immigrazione.
- Abbiamo, quindi, un quarto gruppo di volontari che possiamo considerare come composto da intermediari. Questi volontari infatti rappresentano un “ponte” tra la società italiana, con le sue istituzioni, e le persone straniere. Essi aiutano in diversi modi le persone immigrate, spesso connazionali, ad orientarsi in una nuova realtà. È un gruppo composto in prevalenza da volontari che risiedono in Italia da diversi anni, che generalmente sono ben inseriti e che hanno una buona conoscenza del contesto italiano.
- Infine il quinto profilo può essere definito dei leader. Questi volontari occupano una posizione di responsabilità e guida all’interno di associazioni create da loro o già esistenti. Il loro impegno è motivato dal fatto di voler risolvere problemi di cui hanno avuto esperienze e da un senso di responsabilità verso la società e la comunità, non solo quella immigrata. I leader sono capaci, in effetti, di creare e mobilitare capitale sociale. Grazie anche all’impegno volontario, hanno acquisito un riconoscimento particolare da parte sia della rete di connazionali che dalla più ampia società italiana. Così, essi ricoprono spesso un ruolo importante per la comunità dei loro connazionali. Inoltre, l’attività di volontariato e il ruolo di rilievo hanno permesso loro di coltivare relazioni con le istituzioni italiane.
L’impegno che rinnova
Anche nei prossimi mesi e nei prossimi anni il volontariato continuerà a impegnarsi a servizio dei cittadini più svantaggiati del Lazio, migranti e non. Con in più una consapevolezza che la crisi del Covid ha portato: essere cittadini attivi vuol dire anche rinnovare continuamente le forme del proprio impegno. Le prassi solidali che pochi mesi fa erano efficaci oggi non lo sono più, e probabilmente nei prossimi mesi sarà necessario adattarsi ancora al mutare delle esigenze del territorio. I volontari si faranno trovare pronti.
Questo articolo è tratto dall’intervento di Paola Capoleva alla presentazione dell’Osservatorio sulle migrazioni a Roma e nel Lazio. La presentazione si può seguire sul canale YouTube del Dossier statistico immigrazione – Idos a questo link.