VOLONTARIATO SANITARIO: LE DUE SFIDE DA AFFRONTARE
Rapporto con le istituzioni e formazione sono i due temi chiave per essere innovativi. E per riuscire a far incontrare persone e strutture
18 Aprile 2016
Volontariato sanitario: è questo il tema del numero 3 del 2015 di V Dossier. Da qui è tratto il contributo che proponiamo.
Quello del volontariato sanitario è uno dei settori nel quale il volontariato italiano ha trovato maggiore terreno fertile e contemporaneamente vanta anche le organizzazioni di volontariato più longeve ed è oggi più di ieri al centro dell’attenzione. Facendo riferimento all’ultimo Report Nazionale sulle Organizzazioni di Volontariato censite dal sistema dei Csv (Centri di servizio per il volontariato), realizzato da CSVnet in collaborazione con Fondazione IBM Italia (presentato a ottobre 2015 a Expo), a livello italiano, si contano ben 5.230 associazioni di volontariato impegnate nel ramo della sanità.
La tipologia e la strutturazione di tali soggetti varia: 3.651 sono infatti associazioni non riconosciute, 1.023 sono associazioni riconosciute, mentre 556 sono classificate
come realtà di “altro tipo” oppure “non classificabili”. Rispettivamente, le percentuali sono del 69,8 per cento, 16,9 per cento e 10,7 per cento.
Qui i soci più numerosi
La media del numero di volontari e di soci, a livello più generale e nei diversi ambiti di volontariato – cultura, istruzione, sanità, assistenza sociale, ambiente, diritti – varia sensibilmente.
Se consideriamo solo i settori con un numero di casi maggiore di cento, le organizzazioni di volontariato che si avvalgono della collaborazione di più volontari rientrano nel settore della protezione civile e dell’assistenza sociale, ma il numero di soci più elevato è proprio
quello delle organizzazioni di volontariato in sanità, settore che fa registrare una media tre volte superiore a quella del totale.
Le organizzazioni hanno 30 anni di storia alle spalle
Quella dedicata alla sanità è una solidarietà di lunga data, affermata e stabile: non è un caso infatti che nella classifica dell’anno mediano di costituzione per settore di attività, alle organizzazioni dedite a servizi di questo tipo tocchi una delle posizioni più consolidate. Il 50 per cento delle associazioni impegnate in sanità ha quasi trenta
anni o più, mentre quelle di più recente costituzione sono quelle del settore ambientale (2006), protezione civile (2005) e cooperazione internazionale (2004). È una formula che viene svolta principalmente al maschile, con percentuali per altro più accentuate rispetto alla media generale, che pure vede una presenza volontaristica maschile al 66,4
per cento.
Nel caso del volontariato sanitario parliamo di un 70,3 per cento di presenza maschile e del 29,7 per cento di presenza femminile per poco più di tre mila casi.
Cosa fa il volontariato sanitario
Ma come si compone la totalità di persone alle quali le organizzazioni prestano, direttamente o indirettamente, i propri servizi? Il 34 per cento coincide con quello legato al trasporto e al soccorso: un fenomeno con un’antica tradizione di intervento, molto importante nei piccoli centri e nelle aree non urbane: dove il pubblico non riesce a garantire il trasporto di malati, disabili, o dializzati. Qui la società civile offre un sostegno importante. Un volontariato sempre più chiamato a intervenire e integrarsi con il servizio del 118.
Un’altra fetta importante (il 32 per cento) è costituita invece dal grande settore delle donazioni. Parliamo quindi di associazioni che si dedicano alla donazione di sangue, tessuti, organi. E anche questo è un volontariato molto radicato nei piccoli comuni.
Il volontariato per la salute inoltre comprende – oltre alle due precedenti specializzazioni – altre aree di bisogno.
La prima è quella legata alla tutela di diritti dei malati, rappresentativa di specifiche categorie di patologie ed è quanto mai necessaria perché svolge una funzione di stimolo e controllo sull’operato delle istituzioni pubbliche.
Poi c’è il campo della sensibilizzazione e prevenzione, che spesso non è una specializzazione, ma una seconda area di intervento delle altre organizzazioni. Ecco perché, per esempio, chi fa promozione della donazione di sangue attua messaggi comunicativi forti; così come chi tutela una categoria di cittadini è più spinto a fare campagne di promozione, educazione e prevenzione. Non a caso il volontariato sanitario si distingue rispetto agli altri volontariati proprio per questa capacità di comunicare non solo valori, ma comportamenti e stili di vita. E di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi che tratta.
Le attività che svolge sono messe a confronto con il volontariato che opera nel welfare – che cura e previene con la sanità e con i malati -, ma che non ha una funzione propriamente sanitaria e non svolge prestazioni di tipo sanitario o integrate con quelle sanitarie.
Il volontariato sanitario in senso stretto fa molta più sensibilizzazione: si occupa dell’organizzazione della raccolta del sangue, del trasporto dei malati, del supporto d’emergenza e della formazione all’intervento. Infatti la formazione è un’attività tipica di numerose organizzazioni che fanno sanità. Poi c’è la realizzazione di servizi di assistenza rispetto al welfare non sanitario: come chi fa assistenza negli ospedali, oppure chi sostiene moralmente i malati attraverso rapporti di relazione.
Questo è un ventaglio delle attività che competono a questo settore del volontariato, molto più capillare nella sua diffusione nazionale, presente con otto organizzazioni su dieci nei comuni più piccoli.
Le caratteristiche del volontariato in sanità
È un volontariato di formazione più remota, affiliato alle centrali nazionali – in Italia, sotto diciassette sigle di volontariato – il 35 per cento del fenomeno complessivo. Nella sanità è importante questa capacità di germinare sul territorio con degli affiliati.
Sono organizzazioni che spesso hanno una valenza associativa e operano anche a beneficio di soci. Spesso nelle organizzazioni di volontariato sanitario troviamo delle figure anche remunerate, professionalità che garantiscono standard di qualità: è il volontariato più avulso da una matrice culturale precisa, soprattutto confessionale. Cioè i membri dell’associazione si identificano sugli obiettivi (sono amici dell’organizzazione) non sull’appartenenza culturale.
Non va poi dimenticato il fatto che le organizzazioni che operano nell’ambito della sanità, sono organizzazioni strutturate – hanno almeno tre organi di gestione -, spesso hanno personalità giuridica perché hanno anche un patrimonio; hanno quasi sempre uno statuto e nella maggior parte dei casi un regolamento, delle linee guida per i volontari, in modo da
sapere come devono comportarsi rispetto agli utenti; sono iscritte al registro regionale del volontariato perché hanno dei rapporti di convenzione con il pubblico. Infatti nel 75 per cento dei casi cooperano con i servizi pubblici attraverso convenzioni con le amministrazioni, in particolare con le aziende sanitarie locali. Quindi hanno un indice
di rapporto col pubblico medio-elevato, significativamente superiore alle altre compagini dei settori affini.
Le risorse economiche che queste organizzazioni acquisiscono sono soprattutto pubbliche: nel 62 per cento dei casi dipendono da questo tipo di finanziamento.
Ciò richiede alle organizzazioni molta attenzione, perché è facile essere istituzionalizzati e perdere la propria autonomia, la capacità di proposta, di stimolo critico, di tutela effettiva dei diritti dei cittadini. Questo rischio si può combattere se le organizzazioni di
volontariato sono in grado di partecipare ai tavoli di progettazione, concertazione e valutazione.
Le caratteristiche dei volontari
Anche le caratteristiche dei volontari sono in parte diverse: chi opera nel settore sanitario è prevalentemente di sesso maschile e decisamente più giovane del volontario medio italiano. Dopottutto è un settore che attrae molti giovani perché dà stimoli auto-formativi.
Inoltre il volontario che presta attività nelle strutture sanitarie è percepito come amico disinteressato a cui il malato confida pensieri ed mozioni, a volte inesprimibili anche con i parenti più prossimi. Attraverso l’ascolto crea le condizioni per cui il malato, da passivo oggetto di cure, diviene soggetto attivo e protagonista di un rapporto di reciprocità, capace di recuperare la speranza, ben disposto ad accettare le terapie. Ed è così che si realizza una umanizzazione delle cure.
In questo contesto il volontariato svolge un ruolo di integratore del sistema sanitario contribuendo al benessere degli assistiti, rendendo più labili i confini fra salute e malattia.
Volontari e professionisti
Le associazioni che operano nel settore sanitario risultano già nella rosa di organizzazioni maggiormente professionalizzate. Per il tipo di mission, ambito di intervento e specificità, infatti, pur mantenendo una vocazione a maggioranza volontaria, le socio-sanitarie sono fra le associazioni che più di frequente vedono l’inserimento di alcuni dipendenti professionisti nel proprio organico, o che vedono i propri volontari attivi in ambiti a forte presenza professionale (ospedali, cliniche, case di riposo).
È questa una variabile di non poco conto nella gestione dei rapporti fra tutte le persone coinvolte nell’associazione e attorno ad essa. Il volontario, in modo particolare, può soffrire del mancato riconoscimento della propria figura da parte degli operatori. Professionisti e volontari lavorano fianco a fianco in modo proficuo quando il rapporto
fra i due è armonico e bilanciato. È evidente come la formazione dei volontari, oltre che fondamentale per un approccio consapevole e qualificato, diventi importante anche per favorire una certa fluidità relazionale tra le file dell’organizzazione.
Al Centro di servizio per burocrazia e sicurezza
Sempre dai dati provenienti dalla ricerca CSVnet emerge che le maggiori richieste, che giungono ai Centri di servizio per il volontariato dalle organizzazioni che operano nel campo sanitario, sono legate alla consulenza sulla gestione. In particolare riguardano argomenti molto trasversali come le questioni legate alla complessità burocratica e quelle di tipo fiscale. Ma anche argomenti più specifici, come la sicurezza e la tutela dei volontari nei luoghi di lavoro, previsti dal Testo Unico (Decreto 81).
Il nodo della formazione
Come accennato prima è evidente come, in tempi in cui la presenza di volontari è sempre più preziosa, qualificare l’agire volontario sia diventato, più di prima, una priorità. La formazione è fra l’altro citata esplicitamente nella Carta dei Valori del Volontariato, adottata nel 2001, nella sezione “Atteggiamenti e Ruoli”. È in questo documento che l’articolo 14 recita: «I volontari si impegnano a formarsi con costanza e serietà, consapevoli delle responsabilità che si assumono soprattutto nei confronti dei destinatari diretti dei loro interventi. Essi ricevono dall’organizzazione in cui operano il sostegno e la formazione necessari per la loro crescita e per l’attuazione dei compiti di cui sono responsabili».
Errato sarebbe poi dimenticare che ogni singolo volontario è portatore di ricchezza dal punto di vista umano, nutrimento per la comunità e fibra per la coesione sociale. Come spesso capita nelle relazioni più ricche, la formazione diventa così non solo occasione di crescita per le associazioni che si spendono sui territori, ma anche momento di reciproco scambio fra i ruoli (che schematizziamo solo per comodità), tra formatori e destinatari della formazione.
Proprio qui risiede una delle migliori opportunità che nascono in seno a questo rapporto di reciprocità: apprendere significa partire dalla conoscenza per sperimentare e cercare così la via per migliorare.
Un impegno, quello della formazione, collocabile fra crescita personale e solidarietà sociale. Dal punto di vista del formatore, da un lato si tratta di qualificare i volontari all’interno di un ambito per sua natura delicatissimo. Complesso e frastagliato, sia per conoscenze richieste che per modalità d’azione. Dall’altro lato, la sfida per il sistema dei Csv è quella di favorire una crescita costante di gruppi di volontari molto spesso già portatori di notevoli conoscenze accumulate principalmente grazie all’esperienza.
Per questo non è retorico pensare che la formazione del volontariato sanitario sia una doppia sfida. Due sono, nella sostanza, le direttrici lungo le quali tali percorsi si strutturano: da un lato una formazione sanitaria minima e specifica più strettamente intesa, dall’altra la trasmissione dell’importanza del dialogo, con gli assistiti e con le loro famiglie, la centralità delle emozioni, della fiducia e del coping nelle relazioni, la consapevolezza del dolore, del sollievo possibile così come di tutte le dinamiche psicologiche a tali rapporti sottese. La comunicazione e il saper comunicare diventano competenze di primaria importanza, accanto al saper fare.
Delicatissima e tutta da costruire, in alcuni casi, è poi la formazione per la gestione dei rapporti fra personale sanitario e volontari, in un’ottica di costruzione d’équipe socio-sanitaria. Là dove viene attuata diventa occasione per una riflessione di ruolo che coinvolge il concetto stesso di sussidiarietà.
È evidente la portata di un simile cambiamento culturale. In gioco c’è buona parte dell’efficacia di ogni azione volontaria. Formazione medica e psicologica sono quindi i due pilatri sui quali le organizzazioni autonomamente stanno poggiando le proprie basi. Suggestiva e sicuramente stimolante potrà essere l’idea di implementare tali conoscenze
grazie a un approccio più multidisciplinare e composito.
Non si tratta di un compito da poco: non lo è per i Csv, non lo è per le associazioni, talvolta messe di fronte a una realtà dura da accettare.
Perché fare volontariato non è una pratica immutabile. Non è sempre facile attuare decisi cambi di rotta, non è sempre facile cambiare il modo di fare volontariato. A simili istanze seguono spesso sostanziali revisioni dell’identità delle singole associazioni, veri e propri “terremoti” nei quali passioni, senso d’appartenenza, slancio ideale e propensione solidale, appagamento personale e senso di responsabilità nei confronti della comunità, subiscono frizioni tanto necessarie quanto salutari, per lo meno se si accetta la sfida di
un volontariato sempre più qualificato e in grado di cambiare come cambia il presente.
Abbracciare il cambiamento
Da questa fotografia generale nascono tre domande per il volontariato sanitario legate all’esperienza pratica. I volontari di oggi sono ancora in sintonia con i fini sopra illustrati? I programmi di formazione sono sempre adeguati all’impegno richiesto? È giustificata la sensazione che nei tagli lineari alla sanità, nelle carenze strutturali e di personale che affliggono molte strutture, si annidi una nuova interpretazione del volontariato, dimentica del principio della sussidiarietà e volta a relegarlo ad attività di routine a bassa qualificazione e non esenti da rischi?
L’umanizzazione e i rapporti personali con i pazienti sono il principale campo di intervento delle associazioni ospedaliere che creano, tra volontario e ammalato, un rapporto di reciprocità. Il ruolo di questa tipologia all’interno della sanità gode oggi di una considerazione sempre maggiore per molteplici fattori, legati alla necessità che il malato e la malattia debbano essere centrali per un adeguato sistema di risposte e per il successo terapeutico.
La formazione base, che insegna ad evitare errori nella relazione col malato, cerca di fornire delle linee guida comportamentali omogenee e un supporto psicologico, mentre la formazione rivolta a volontari già in servizio, mira a fornire un aiuto alla costruzione di un rapporto empatico con il degente.
Il paziente deve essere accolto nella sua storia, che è una storia di salute, di malattia, e anche una storia familiare. Il paziente deve poter decidere anche la scelta terapeutica che viene fatta su di lui. E deve essere il protagonista di questa scelta. Questo significa un grosso passaggio per il nostro Paese, passare al government del cittadino sociale.
Questo è il futuro delle associazioni per offrire questo servizio creativo al servizio sanitario.
Il volontariato infatti è innovativo e porta con sé novità, fantasie e spazi di libertà che il sistema statale non potrebbe garantire. Ne sono un esempio alcuni percorsi innovativi fondati su una sinergia tra rete ospedaliera, di sanità pubblica collettiva e rete dei servizi territoriali.
Un volontariato moderno aderisce alla necessità di condivisione insieme con le istituzioni, di co-costruzione di servizi a favore dei cittadini svantaggiati attraverso attività di utilità sociale in grado di redistribuire risorse a vantaggio dei singoli cittadini e caratterizzate
per una presenza capillare in contesti differenziati: ospedalieri, domiciliari e territoriali.
Ecco allora che la sfida per il futuro del volontariato per la salute è legata ad una sfida anche culturale: avvicinare, quanto più possibile, far incontrare la richiesta di aiuto delle persone alle strutture che sono in grado di rispondere alle loro attese. Quindi il volontariato deve rimettere al centro il cittadino e il suo diritto alla salute.