CON LE REGOLE E LA FORMAZIONE IL VOLONTARIATO DIVENTA SICURO
Le regole vanno applicate con intelligenza, ma si può fare solo se le associazioni hanno fatto un percorso formativo e culturale
17 Ottobre 2019
Perché c’è bisogno di rendere il volontariato sicuro? E come si può farlo? Il tema è ancora sottovalutato da molte associazioni, nonostante esista ormai una legislazione consolidata che detta regole e adempimenti. Neanche tanto complicati – soprattutto se non si tratta di associazioni di protezione civile – ma spasso percepiti come poco importanti.
Se ne è discusso nel pomeriggio dedicato a “Prevenzione e sicurezza nel mondo del volontariato. Quali scenari e quali possibilità“, che si è tenuto il 15 ottobre 2019 a Roma, organizzato da Ispro (Istituto studi e ricerche sulla Protezione civile e sulla Sicurezza) in collaborazione con CSV Lazio. Hanno partecipato rappresentanti istituzionali (compreso l’assessore Claudio di Berardino, che ha assicurato che «la regione Lazio ha investito e continuerà a investire sulla protezione civile»), esperti, membri della Protezione civile e del volontariato.
LE REGOLE E LA FORMAZIONE. Le regole, si sa, non sono sempre facili da accettare e interiorizzare e può succedere anche che diventino non solo un appesantimento, ma anche una vera impossibilità ad operare, soprattutto quando si interviene in situazioni di emergenza. Vanno quindi applicate con intelligenza e buon senso, ma questo si può fare se prima c’è stato un impegno culturale e formativo che, secondo Agostino Miozzo, direttore dell’Ufficio Promozione e Integrazione del Dipartimento Protezione Civile, si gioca su tre livelli: quello della consapevolezza e dell’informazione sui rischi, quello dell’addestramento, quello di una dotazione adeguata di dispositivi di protezione». E anche sulla consapevolezza dei propri limiti, che dovrebbe tra l’altro spingere i volontari ad essere «attenti al mondo politico, che ci chiede compiti e competenze che non spettano loro (dal sostituire i vigili del fuoco, fino allo scavare fosse nel cimitero locale, come è successo). Noi lavoriamo insieme alle autorità politiche, con buona volontà e capacità di adattamento, ma anche con buon senso e con limiti chiari».
Si tratta di limiti di ruolo, ma anche di competenze, perché «noi dobbiamo fare sul territorio quello che sappiamo fare», come ha detto Massimo La Pietra, dell’Ufficio Volontariato e Risorse del Dipartimento Protezione Civile. «Per questo per avere un volontariato sicuro serve tanta formazione, e per questo la formazione è la miglior prevenzione». In fondo, ha ricordato, «nelle ultime emergenze abbiamo avuto pochissimi incidenti gravi e questo significa che la formazione funziona. E magari serve anche a ricordare ai volontari, che devono frenare la loro esuberanza, e che non devono lanciarsi in qualunque impresa sembri in quel momento utile…»
Anche se bisogna tenere conto di quanto ha testimoniato Carlo Galli, presidente dell’associazione Acquapendente, e cioè che «Quello nella protezione civile è un percorso caratterizzato da forti emozioni: nelle situazioni di emergenza siamo coinvolti nel dolore della gente, nella sofferenza per ciò che vediamo attorno a noi. In queste situazioni le procedure si dimenticano.»
LE RESISTENZE DEL VOLONTARIATO. Per formare e informare le associazioni è attivo, dal 2014, il progetto “Volontariato Sicuro” che aveva l’obiettivo di vincere la «ritrosia del volontariato, soprattutto quello che non si occupa di protezione civile», ha ricordato Luigi Fabbri, presidente di ISPRO. «In realtà ci sono rischi anche quando si fanno servizi alla persona, o qualunque altra attività. E gli adempimenti non sono poi così tanti: il problema, come già è stato detto, è che si fatica a costruire una cultura della sicurezza e della prevenzione.
Anche secondo il presidente di CSV Lazio, Renzo Razzano, «è evidente che il problema della sicurezza riguarda tutto il volontariato, non solo quello di protezione civile: i rischi possono essere livelli diversi, ma non esiste il rischio zero. Quando abbiamo avviato il progetto “Volontariato sicuro”, abbiamo incontrato difficoltà anche perché le associazioni non considerano la propria attività come un’attività lavorativa. Ma ormai, anche a livello internazionale, il volontariato viene considerato lavoro gratuito a beneficio di altri». Inoltre, «bisogna tenere conto del fatto che i volontari cambiano e quindi l’attività di formazione deve essere permanente e l’attenzione su questi temi costante». E, a questo proposito, Ermanno di Bonaventura, presidente del CSV Chieti, ha ricordato che, come certificano i dati Istat, «è sempre più diffuso il volontariato spot, o il cosiddetto “volontariato per un giorno”, che oltretutto si attiva in modo particolare in occasione di grandi eventi ed emergenze e, che lo si consideri volontariato o lo si consideri piuttosto una forma di attivista civico, non può essere ignorato».
Infine, ha ricordato ancora Renzo Razzano, «oltre che sulle associazioni, bisogna lavorare anche sulle comunità locali, perché maturino un livello di conoscenza sufficiente a permettere loro di essere resilienti». Serve quindi, una formazione articolata e rivolta a diversi soggetti del territorio.
UN PERCORSO CULTURALE. Tutti d’accordo, dunque, sul fatto che regole & formazione sono un binomio inscindibile, che sta dentro un percorso culturale, come ha spiegato anche Carmelo Tulumello , direttore dell’agenzia regionale Protezione Civile della Regione lazio, il quale ha ricordato che sì, «abbiamo introdotto un sistema di regole, fissando il principio che non tutti possono intervenire su qualunque scenario, e che i requisiti devono essere certificati. Ma quello che conta è il percorso culturale: si tratta di tutelare la sicurezza dei volontari, è vero, ma per tutelare l’affidabilità e la credibilità del sistema nei confronti dei cittadini. E di fornire servizi di qualità – quelli che i cittadini si aspettano – anche nelle emergenze. E non dimentichiamo che questo è anche un modo per tutelare chi fa volontariato seriamente, rispetto a chi si improvvisa».
Fare un percorso è in un certo senso più difficile, che accettare qualche adempimento formale. Tanto più che «al volontariato non si può imporre, occorre convincerlo», come ha detto il presidente della Consulta nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile, Patrizio Losi. «Per questo è importante la formazione non generica dei quadri dirigenti, che devono a loro volta coinvolgere i volontari». C’è però una difficoltà, legata al problema delle competenze, perché, secondo Dario Pasini, referente delle associazioni iscritte agli elenchi territoriali, «è difficile trovare formatori che conoscano le dinamiche operative del mondo del volontariato: sono tarati sul mondo del lavoro, che ha altre specificità».
Anche per questo, e per il fatto che « il problema della formazione riguarda tutto il sistema della protezione civile, e non solo il volontariato, l’istituto Arturo Carlo Jemolo sta lavorando al progetto di una Scuola regionale di Protezione civile, il cui corpo docente è fatto di volontari, che possono portare, oltre alle loro competenze, anche la propria esperienza», ha detto il sub commissario dell’istituto Carlo Rosa.
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