VOLONTARIATO: UN PERCORSO PER DIRE CHE C’È E QUANTO VALE

Durante l'Autoconvocazione è stato riaffermato il ruolo di motore del cambiamento. Sociale e istituzionale

di Paola Springhetti

All’Autoconvocazione del volontariato, che si è svolta sabato 9 maggio a Roma sotto il titolo “Volontario, prima persona plurale”, erano presenti oltre 300 persone di tutta Italia e anche il volontariato del Lazio ha partecipato numeroso.
L’incontro era stato organizzato  da Forum Terzo Settore, Csvnet, Convol, Caritas Italiana e Centro Nazionale per il Volontariato ed aveva l’obiettivo di rivendicare l’identità e l’autonomia del volontariato, in un momento in cui il nostro Paese, messo in ansia dalla crisi, sembra interessato solo ai servizi che può mettere in campo, possibilmente gratuiti o almeno a basso costo. Dimenticando l’importanza di riconoscere il volontariato anche per i valori di cui è portatore – primi tra tutti la libertà e la gratuità –  e quindi per il suo ruolo culturale e politico.

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L’Autoconvocazione del volontariato, a Roma

L’appuntamento di Maggio è stato quindi l’apertura di un percorso, che si concluderà il 5 dicembre, giornata internazionale del volontariato e che gli permetterà di “prendere la parola” in un momento in cui da una parte le aspettative nei suoi confronti crescono, dall’altra l’iter della Riforma del Terzo settore in corso pone  molti interrogativi.

Un volontariato che non si innova è inutile

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La partecipazione è stata alta

A “leggere” la sfida che il volontariato oggi deve affrontare è stato Mauro Magatti, sociologo dell’Università cattolica di Milano, secondo il quale per il volontariato si è ormai chiuso un ciclo storico e le organizzazioni devono quindi attrezzarsi per affrontare quello nuovo. Ad esempio, individuando i modi per coinvolgere e usando «la propria autorità prima di tutto per autorizzare coloro che si stanno muovendo sulla stessa strada». Infatti «c’è una latenza che non trova il modo di esprimersi», cioé c’è una disponibilità all’impegno che fatica ad identificarsi nelle attuali forme del volontariato organizzato, ma che è visibile, ad esempio, nelle mobilitazioni spontanee cui assistiamo durante le emergenze.
Collocarsi in questa fase storica vuol dire assumersi l’onere del cambiamento: anche se usciremo dalla crisi, non saremo mai più come prima, e oggi abbiamo un bisogno quasi disperato di dirci dove vogliamo andare, cosa vogliamo essere. «Il volontariato è una risposta personale alle domande che la società pone, ma l’impatto è sociale. Fa bene alle persone che lo fanno, a quelle che lo ricevono, ma anche alle istituzioni e alla società». E di che cosa ha bisogno la società oggi? Di legami sociali. «Questa è l’uscita dalla crisi: ricreare legame sociale dotato di senso e valore. Dopo un trentennio in cui tutto si è slegato, dobbiamo creare una società capace di produrre valore e anche l’economia non può più basarsi sulla pura espansione, ma deve essere capace di creare valore.»
Sul piano sociale, «come in passato è stata “istituita” una società consumistica, oggi bisogna “istituire” una società generativa, cioé capace appunto di creare valore». Sul piano istituzionale, occorre un grande sforzo di rinnovamento, sapendo che «le istituzioni si costruiscono in via laboratoriale sui territori». In entrambe le dimensioni – quella sociale e quella istituzionale – il volontariato deve giocare un ruolo-chiave, facendosi motore della trasformazione sociale: «se il volontariato non è innovativo non serve a niente», secondo Magatti
Uno sprone all’innovazione è arrivato anche da Francesca Danese, assessore alle politiche sociali e alla casa del Comune di Roma:  «Il volontariato deve essere capace di offrire nuove soluzioni a un Paese ormai stanco. Come? Facendo una proposta vera, concreta. Il vostro lavoro è utile anche a noi amministratori. Ricostruiamo insieme una nuova alleanza».

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