WELFARE. IL TERZO SETTORE SIA POLITICO E INNOVATIVO

Quale il ruolo del Terzo Settore nell’innovazione sociale e nell’innovazione nelle politiche di welfare? Il primo di una serie di approfondimenti da Il Fattore Economia Sociale. Cristina De Luca: «La complessità di oggi chiede di acquisire competenze e ripensarsi»

di Maurizio Ermisino

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«Lavorare e pensare in un’ottica di economia sociale è la scommessa del futuro. Senza questo forse il futuro sarà più complicato. Insieme al fare c’è la necessità di riflettere su queste tematiche». Così Cristina De Luca, presidente di CSV Lazio, ha introdotto i lavori del pomeriggio dello scorso 15 novembre de Il Fattore Economia Sociale, organizzato dalla Sapienza Università di Roma Disse – Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche in collaborazione con Consorzio Idee in ReteForum Nazionale Terzo SettoreSave the Children ItaliaFon.Coop, Fondazione ImpresasensibileFondazione Roma SolidaleAcli, Officina Sociale e CSV Lazio ETS con il patrocinio di Roma Capitale e della Lega delle Autonomie Locali (ALI). Due giorni di intenso confronto tra studiosi, operatori e policy makers per approfondire i temi centrali dell’economia sociale in un’ottica di innovazione, sostenibilità e inclusione. Tra i temi al centro della riflessione l’innovazione sociale, l’innovazione nelle politiche di welfare e il ruolo del Terzo Settore.

fattore economia sociale
De Luca: «Il cambiamento deve essere proprio nel paradigma. Per cui oggi siamo tutti insieme intorno a un tavolo a lavorare per costruire processi in una situazione generale di crisi molteplici»

Fattore Economia Sociale: pensare in ottica economia sociale è la scommessa per il futuro

Come si colloca il Terzo Settore nelle politiche di welfare, come attore di cambiamento, e soprattutto nel welfare generativo e di prossimità? A rispondere è Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore. «Il Terzo Settore in questa epoca non può non avere un ruolo di consapevolezza politica, di testimone dei bisogni da porre sul tavolo del confronto politico, di mediatore, facilitatore e richiedente di quelle voci apparentemente singole che diventano anche collettive» ha esordito. «E che sempre di più non vengono udite, vista l’erosione dei servizi, della qualità della vita, della disponibilità della ricchezza e dei beni comuni. Il Terzo Settore deve praticare questo ruolo sempre più politico, con la legittimità della prossimità». A questo discorso si lega naturalmente quello sull’innovazione. «Il Terzo Settore è sempre stato il laboratorio dentro al quale si sono sviluppate innovazioni e cambi di paradigma rispetto agli equilibri tra economia e sociale, centralità della persona rispetto alla centralità del mercato» continua.  «L’economia circolare ne è un esempio, messa in piedi grazie all’attivismo del Terzo Settore».

Amministrazione condivisa: la assuma anche la politica

Un’innovazione che deve andare verso le politiche di sistema e l’amministrazione condivisa. «In un momento così delicato, dove viene meno il contributo di risorse pubbliche destinate al sociale e al sanitario, rischiamo che l’amministrazione condivisa diventi una foglia di fico» avverte Vanessa Pallucchi. «In questo senso dobbiamo lavorare sempre più politicamente, questo deve essere un abito politico che devono assumere anche le classi dirigenti e i partiti, la rete degli amministratori. Occorre una cultura per cui l’amministrazione condivisa sia il modo per dare in maniera strutturata, completa e sistemica risposte ai bisogni. Ma il sociale deve avere le risorse per funzionare bene: dal pagamento adeguato dei lavoratori, delle competenze e dei profili professionali. In questo senso il Terzo Settore deve fare un percorso importante sull’amministrazione condivisa: all’interno, essere uniti per relazionarci con le istituzioni; all’esterno, avere la capacità politica di chiedere anche noi l’inizio di processi di amministrazione condivisa».

Il Volontariato deve ripensarsi e cambiare

Per la presidente di CSV Lazio il volontariato ha, in questo senso, il ruolo di chi ha scelto di avere un impegno civico, di prossimità, relazione, interpretazione di un bisogno, di agire pratiche che diano soluzioni. «Se torniamo indietro di trent’anni, vediamo che le leggi più importanti che regolano il sociale –sulle carceri, sulle tossicodipendenze, sulla disabilità – nascono dopo che esperienze di volontariato e promozione sociale sono diventate sperimentazioni raccolte prima, sintesi e leggi dello Stato poi. Processi nati dal basso, in un mondo in cui la politica era diversa da quella di oggi». Oggi, però, lo stesso volontariato sembra fare molta fatica, in una complessità, che sottolinea De Luca, chiede di assumere caratteristiche diverse, di continuare a fare le cose di sempre ma di acquisire anche competenze che vadano al di là. Insomma di ripensarsi e cambiare. «Per essere portatori di cambiamento occorre anzitutto una maggiore conoscenza tra i diversi mondi che compongono l’universo del sociale e tra volontariato e mondo del pubblico» spiega la presidente del CSV Lazio. «Quella relazione nata in positivo con la legge 328 del 2000, che regolava il rapporto tra pubblico e privato, ha finito per essere utilizzata, dal mondo del volontariato, in modo sbagliato. La co-progettazione rischia di finire in un angolo se non ribaltiamo questo percorso di conoscenza, se non ci mettiamo pari tra pari». Secondo elemento è, per de Luca, il bisogno di fare rete tra attori del territorio: profit, non profit, istituzioni locali e quindi comprendere i linguaggi con cui ciascuno porta la sua competenza. «E poi uno sforzo maggiore di formazione, osmosi tra le diverse formazioni: deve essere così se le reti si parlano. Ci sono potenzialità nel Terzo Settore che possono essere utili alle pubbliche amministrazioni. E il mondo profit, che si affaccia verso di noi attraverso la responsabilità sociale e le società benefit, deve essere condotto a capire che non siamo solo portatori di un’esperienza, ma che, grazie alla facilità di relazione tipica del volontariato, siamo riusciti a trovare soluzioni che possono diventare sistema».

Alzare il livello culturale della riflessione

Il cambiamento deve essere proprio nel paradigma. «Deve diventare quello secondo il quale oggi siamo tutti insieme intorno a un tavolo rotondo a lavorare per costruire processi in una situazione generale in cui ci sono molteplici crisi» conclude Cristina De Luca. «Tra cui quella della politica, sempre più incapace di intercettare le problematiche delle persone e dare risposte che siano capite da tutti. La politica dovrebbe cercare di dare spazio a queste risposte invece di andare verso forme di populismo che non risolvono i problemi. Bisogna alzare il livello culturale della riflessione ed essere riconosciuti come portatori di pensiero».

Il problema della burocrazia

«Il tema della burocrazia è ancora più critico» interviene Silvia Stilli, presidente della Fondazione Roma Solidale. «Non si riescono a costruire azioni efficaci perché i percorsi burocratici allungano e bloccano la possibilità di fare politiche innovative condivise e co-progettate tra il mondo dell’associazionismo e delle istituzioni in una città davvero complessa». C’è ovviamente anche un tema di consapevolezza. «Oggi parliamo di economia sociale, e degli enti di Terzo Settore come soggetti e attori economici, non solo soggetti del mutualismo» continua la presidente di Fondazione Roma Solidale. «Quanto il nostro mondo ha una consapevolezza chiara di tutto questo? Sono convinta che questa acquisizione di consapevolezza che c’è oggi, grazie al lavoro del Forum del Terzo Settore, di CSVNet e dei CSV, sia maggiore rispetto al passato».

Rafforzare le reti, anche economicamente

Se tutti sembrano essere d’accordo sulla necessità di rafforzare le reti, c’è in realtà un aspetto ulteriore. «Si tratta di capire quanto le istituzioni siano disponibili a gestire risorse per il funzionamento delle reti di rappresentanza» precisa Silvia Stilli. «Non si può chiedere alle reti di mettere i soggetti d’accordo e di portarli a proposte di sintesi se non si danno strumenti e risorse economiche perché sia possibile per loro farlo. Se il Comune di Roma e le amministrazioni municipali ne sono convinte, è questo che serve e non “ti do due soldi e mi costi meno”. Su questo si deve investire. Devono farlo il governo e l’amministrazione pubblica che ha rapporti con il sociale».

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