WHY WE HATE: PER CAPIRE LE RAGIONI DELL’ODIO. SU DPLUS
Da dove nasce l'odio e come si può combattere? Ce lo spiega Why We Hate, la docuserie disponibile dal 14 ottobre
14 Ottobre 2019
Quante volte, ormai decine di volte al giorno, ci stupiamo nell’assistere a esplosioni di odio nella nostra vita quotidiana? Risse nei dibattiti politici televisivi, post violenti sui social media, episodi di razzismo, scontri in occasione delle partite di calcio. E potremmo andare avanti a lungo. Per capire tutto questo è oggi fondamentale la visione di Why We Hate, docuserie prodotta da Steven Spielberg e Alex Gibney, disponibile dal 14 ottobre su DPLAY PLUS.
Densa come una lezione di sociologia o antropologia all’università, e avvincente come la vostra serie tv preferita, Why We Hate è uno strumento imprescindibile per leggere i tempi che stiamo vivendo. E per capire che, in realtà, arrivano da molto lontano. L’odio ha sempre fatto parte della natura umana, e in forme molto differenti fra loro. Ci sono state tragedie enormi come l’Olocausto o il genocidio in Ruanda, ma anche piccoli drammi quotidiani, come il bullismo nelle scuole o il trolling sui social media. L’odio può influenzare le nostre vite in molti modi diversi.
Ma perché odiamo? Come nasce l’odio? E come si diffonde? Why We Hate prova a rispondere a queste domande in maniera precisa e sistematica, attraverso ricerche scientifiche, giornalismo d’avanguardia e studi approfonditi nel campo della psicologia, biologia e neuroscienza. Ogni episodio coinvolge direttamente diversi esperti, tra cui la scienziata cognitiva Laurie Santos, l’antropologo Brian Hare, il giornalista Jelani Cobb, l’esperta in estremismo Sasha Havlicek, l’avvocato penalista Patricia Viseur e il neuroscienziato Emile Bruneau.
IL TRIBALISMO. Quello che emerge chiaramente, guardando Why We Hate, è che l’odio fa parte dell’uomo dalla notte dei tempi, anzi, fa parte anche degli antenati degli uomini. Nella puntata che abbiamo visto in anteprima, dedicata al tribalismo, Laurie Santos, professoressa di psicologia ed esperta della cognizione umana, ci spiega da dove venga questa divisione tra “noi” e “loro”. Per farlo parte dallo studio degli animali, parlandoci dei macachi: senza le sovrastrutture ideologiche e i concetti che noi prendiamo a pretesto per odiare, sono soliti dividersi in tribù, in lotta tra loro, e l’appartenere all’una o all’altra tribù può voler dire avere un migliore accesso a cibo o acqua. Nella nostra vita crediamo di essere guidati soprattutto dalla nostra individualità, ma in realtà molte delle nostre decisioni sono guidate dal gruppo, dal collettivo. Uno storico studio del sociologo Muzefer Sherif, negli anni Cinquanta in Oklahoma su alcuni ragazzi di 12 anni, ha dimostrato, che il fatto di dividerli in due squadre, di dare a queste un nome e uno stemma e averle coinvolte in una competizione ha dato il via a una serie di dissapori, culminato con la bandiera di una squadra bruciata dai ragazzi della squadra rivale.
Una degli esempi più recenti, e sorprendenti, di tribalismo è quello dei tifosi delle squadre sportive: spesso coincidono con delle identità geografiche, e spesso hanno simboli di affiliazione tribale, cioè stemmi e colori. Lo sport è un’evoluzione della guerra, e i trofei il riconoscimento della vittoria: una partita è spesso una battaglia. Why We Hate segue l’esperienza di alcuni tifosi di Tottenham e Arsenal, due squadre di calcio di Londra, per capire come le seguano fin da bambini e per loro siano come una fede. Si chiama fusione d’identità: si tratta di un’appartenenza estrema, si ha quando l’identità personale si fonde completamente in un gruppo. Nei tifosi di calcio si crea qualcosa di molto simile a quello che accade ai soldati che combattono insieme al fronte: darebbero la vita l’uno per l’altro. Si tratta di un lascito della selezione parentale che è stata essenziale alla nostra sopravvivenza nell’età della pietra, dove si viveva in gruppi ristretti e l’appoggio della comunità era essenziale. Oggi l’orientamento politico sta diventando sempre più tribale. I meccanismi sono gli stessi dello sport: ma, in questo caso, c’è qualche aggiunta. L’appartenenza politica si basa sulle convinzioni, ma spesso queste sono accompagnate da giudizi morali. Ed è per questo che le tribù che nascono in politica tendono ad essere più forti.
DALLE ORIGINI DELL’ODIO ALLA SPERANZA. Il viaggio nelle ragioni dell’odio inizia con “Origini”, il titolo dell’episodio in cui Brian Hare, professore di antropologia all’Università di Duke, cerca di ripercorrere la storia dell’uomo e di analizzare la società contemporanea per risalire alle origini dell’odio. Dopo la parte dedicata al tribalismo, il terzo episodio, “Mezzi e tattiche” (a cura di Jelani Cobb, scrittore e giornalista storico del New Yorker) viaggia in quelli che sono gli strumenti dell’odio, come la propaganda, per spiegarci in che modo possano essere diffusi e alimentati.
Nel quarto episodio di parla di “Estremismo”: Sasha Havlicek, co-fondatrice di ISD, una delle associazioni più importanti a livello internazionale contro la disinformazione e l’estremismo, prova a spiegarci quali sono i fattori in grado di diffondere ideologie violente come il nazionalismo e il terrorismo Islamico. L’episodio cinque è dedicato ai “Crimini contro l’umanità” e prova a dare una risposta a una delle domande che ci attanagliano da sempre: cosa spinge un uomo a prendere parte a manifestazioni estreme di odio? Ma prova a riflettere anche sull’altro lato della medaglia, su quelle persone che impegnano la propria vita nel combattere la violenza: ce ne parla Patricia Viseur Sellers, avvocato penalista, che insegna diritto penale presso l’Università di Oxford, ed è anche docente della London School of Economics.
Si chiude con “Speranza”, per provare a capire se ci sono delle strategie utili a combattere l’odio e le sue manifestazioni. Ce ne parla Emile Bruneau, direttore del Peace and Conflict Neuroscience Lab presso l’Università della Pennsylvania. Capire se e come sia possibile resistere ai nostri peggiori impulsi ci sembra il modo migliore di chiudere questo viaggio.
Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazione@cesv.org