DIPENDENZE: LE STORIE DI DROGA CI RIGUARDANO TUTTI
Le storie di droga non si risolvono criminalizzando, ma puntando su condivisione ed educazione. Lo ribadisce Don Ciotti nel suo ultimo libro
28 Febbraio 2020
Le storie di droga ci riguardano tutti. Chi ne fa uso, in fondo, non è altro da noi. E per affrontarle non ci sono vie facili, né bacchette magiche. È il pensiero di Don Luigi Ciotti, impegnato da 50 anni nella lotta alle droghe, quello che apre il suo libro Droga – Storie che ci riguardano (Gruppo Abele edizioni, 10 euro), un libro che affronta il mondo delle dipendenze in modo lucido, storico, documentato. E, soprattutto, senza pregiudizi, come solo chi conosce il problema a fondo può fare.
Quel “le storie di droga ci riguardano tutti” fa venire in mente quello che afferma Roberto Saviano nel suo “ZeroZeroZero”, il libro dedicato al traffico di cocaina: «la cocaina è un fiume impetuoso, e sotterraneo, che scorre sotto le grandi città in cui viviamo». Le storie di droga non si risolvono con interventi muscolari, ma piuttosto partendo dalle cause che portano ad esse. Si risolvono, prima di tutto, non dimenticando che, per molti, le droghe sono soprattutto un sollievo alle difficoltà della vita. Sta alla scuola e alle famiglie provare a fare la loro parte per combattere il problema, riempiendo di vita e di progetti il tempo dei ragazzi. Perché altrimenti, lasciando le loro vite vuote, si rischia che a colmare quel vuoto siano sostanze di ogni tipo.
Don Ciotti, nel suo libro, fa un excursus storico sulle sostanze stupefacenti, ricordando quel periodo tragico negli anni Settanta, in cui si era arrivati a 50mila morti, soprattutto per eroina, per arrivare agli anni Novanta, quelli in cui sono entrate in scena le sostanze cosiddette “di prestazione”, come l’ecstasy, l’anfetamina, la cocaina. Ma l’eroina non è mai scomparsa. E di droga si muore ancora.
Numeri e storie di droga
Luigi Ciotti alterna storie raccontate in prima persona da ragazzi affetti da dipendenze – dove troviamo il senso di schiavitù verso sostanze e spacciatori, il disagio economico di chi è dipendente, l’importanza di avere una ragione per uscirne – a numeri freddi, impietosi, tragici.
La relazione governativa del Parlamento del 2017, basata su dati ISTAT, ci racconta che sono 6 milioni e 200mila gli utenti che fanno uso di Cannabis, 1 milione quelli che fanno uso di cocaine e 595mila i dipendenti da ecstasy. La relazione del 2018, basata sullo studio IPSAD 2017 del CNR, ci dice che un terzo della popolazione italiana (il 33,5%) in età 15-64 anni ha consumato almeno una sostanza psicoattiva illegale nella vita. E 1 su 10 (il 10,6%) lo ha fatto negli ultimi 12 mesi. Se ci soffermiamo sulla fascia 15-34, la percentuale aumenta ancora, fino al 23,7%.
Numeri che fanno impressione. Come quelli sull’età in cui iniziano le dipendenze. La media dei tossicodipendenti ha iniziato a consumare droghe tra i 14 e i 15 anni. Ma ci sono storie che ci raccontano di una consumatrice di crack che ha iniziato a 12 anni, di un ragazzo che, in Brasile, ha iniziato a sniffare colla a 9 anni, per poi passare ad altre sostanze, e di chi ha iniziato ad assumere pasticche a 13 anni.
Le dipendenze da sostanze legali
Internet, una delle realtà fondamentali della nostra era, in questo non aiuta. Da un lato è essa stessa una “sostanza” che crea dipendenza, a partire dalla “nomofobia”, che è la paura, figlia dei nostri tempi, di restare senza rete mobile, per arrivare a fenomeni come l’hikikomori, una forma di isolamento digitale che affligge molti giovani eremiti. Esiste una forma di dipendenza ormai diagnosticata, che è lo IAD, cioè l’Internet Addiction Disease. Dall’altro alto, internet alimenta altre dipendenze, come il gioco d’azzardo patologico, e il deep web (o dark web) è uno dei principali luoghi d’acquisto di sostanze di ogni tipo. Don Ciotti, per fare un affresco esaustivo del mondo delle dipendenze, ci ricorda anche che le più diffuse sono legate a sostanze perfettamente legali, come alcol e tabacco, e ad altre facilmente ottenibili con una ricetta medica, come psicofarmaci e anfetamine.
Il ruolo della politica
Luigi Ciotti ci ricorda che è utile distinguere, cosa che spesso non si vuole fare, tra droghe leggere e droghe pesanti, perché la differenza è quella che passa tra bere un bicchiere di vino e un bicchiere di whisky: entrambe le sostanze, se abusate, fanno male, ma in modo molto diverso. Il proibizionismo, sinora, non ha mai funzionato, anche perché mette le regole del commercio totalmente in mano ai narcotrafficanti, senza alcuna possibilità di controllo.
Ciotti ci ricorda che in Italia la svolta repressiva è iniziata nel 1988 proprio da lui, Bettino Craxi, dopo l’incontro a New York con l’allora procuratore distrettuale Rudolph Giuliani, poi diventato sindaco repubblicano della città. È da lì che si è pensato di punire severamente, oltre che trafficanti e spacciatori, anche i consumatori, con tutte le conseguenze che conosciamo. Tra gli oppositori di queste politiche, fin da subito, c’è stato il CNCA, la cui visione della soluzione al problema è stata sempre fondata sulla condivisione e su un progetto che fosse prima di tutto educativo e culturale: fare, ma anche pensare e progettare.
A che punto siamo?
È questo che si chiede Don Ciotti alla fine del libro. Oggi nuove sostanze si aggiungono ogni giorno a quelle esistenti, e quelle vecchie, come l’eroina, non se ne sono mai andate. Di droga si muore ancora, ma in silenzio. E, ci ricorda Ciotti, si muore ancora e soprattutto di alcol. Un decesso su 4 dei giovani in età 15-29 anni avviene per questo, per un numero spaventoso di 55mila morti all’anno.
Per affrontare il problema, oggi, serve sempre di più evitare la banalizzazione, la generalizzazione, le criminalizzazioni. Ogni storia di droga è una storia a sé, e va affrontata in modo diverso.
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Luigi Ciotti
Droga. Storie che ci riguardano
Gruppo Abele edizioni, 2020
€ 10,00